IL CENTRAVANTI E LA MECCA

Pubblicato il 3 giugno 2023 alle 15:06
Categoria: Libri di Sport
Autore: Redazione Datasport.it

 IL CENTRAVANTI E LA MECCA 


Inchiesta a tutto campo, nei paesi musulmani dove il calcio, fenomeno di massa, si scontra con realtà opposte. Guerra di religione e di petroldollari. L’Africa e lo sfruttamento giovanile. Bellafonte, Cocchi, Franceschini, Piazza, Spiridigliozzi e Vannucci – Il centravanti e la Mecca – Paesi edizioni – Pag. 12 – Euro 12.00.

di Giuliano Orlando

Se nella botte piccola ci sta il vino buono, questa pubblicazione molto contenuta, risponde al vecchio proverbio, nel modo migliore. Inchiesta a tutto campo, denunciando, quanto la religione, in questo caso quella mussulmana e le nazioni più intransigenti, pur in aperta rotta di collisione, trovino il modo di allearsi e fare affari. In Turchia, l’ex calciatore Recep Tayyip Erdogan, detto Il Sultano, salito al potere della nazione, usa lo sport della sua gioventù come strumento di potere e arma per sconfiggere gli avversari più tenaci, ovvero la sponda kurda presente anche nel calcio, privilegiando il suo Galatasaray e osteggiando il Besiktas. Non badando al metodo, tipico dei dittatori. In Africa, lo sfruttamento giovanile nel mondo del pallone, tocca il picco assoluto. Secondo stime degne di fede, arrivano dal Continente Nero ogni anno in Europa quasi 18.000 giovani con la prospettiva del calcio come professione futura. Si passa dalle scuole di calcio più o meno legali ai viaggi nei barconi, come avvenne nel 2007, quando a Tenerife tra il centinaio di emigranti, una quindicina di giovani sostenevano di aver programmato un test col Real Madrid. Un capitolo molto emblematico per capire i molteplici aspetti di un Continente che esporta la sua ricchezza per ingrassare sfruttatori senza scrupoli. Il cosmo mussulmano è lo specchio di contraddizioni assolute. Nel Medio Oriente la molla che ha fatto scattare l’interesse per il calcio e non solo, nasce con i diritti televisivi, un bocconcino miliardario, recepito dagli Emirati e in particolare dal Qatar. La minuscola penisola, incuneata tra l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi, sommersa di petrolio, nel giro di pochi anni ha conquistato il mercato europeo a livello di club calcistici. In barba alle restrizioni e crudeltà dell’Iran e dell’Afganistan, che combattono la passione per il calcio del popolo con arresti ed esecuzioni. Il loro prezzo, fondamentale per mantenere nel nome della religione il potere politico. Il Qatar ha aperto al calcio al punto d’organizzare i mondiali 2022. Stesso discorso affaristico, da parte degli Emirati Arabi che nel giro di pochi anni sono diventati proprietari di club gloriosi come l’Arsenal, il Real Madrid, il Paris Saint Germain, il Manchester City e tanti altri. A questa invasione hanno fatto eccezione la Germania e l’Italia. Per motivi diversi. I tedeschi sono vincolati da una legge che vieta agli stranieri di varcare la soglia del 49% nella proprietà di club sportivi, mentre nel Bel Paese, oltre al basso impatto promozionale, la mastodontica burocrazia frena ogni iniziativa. Iran e Afganistan, specchiano drammaticamente quanto il potere religioso sia inteso come un fortino dove ogni alternativa, in particolare lo sport rappresenti un movimento contro lo stato. Non valgono le proteste di piazza, in particolare promosse dalle nuove generazioni che pagano a caro prezzo il coraggio di chiedere un minimo di democrazia a far cambiare idea al potere. La loro risposta è l’aumento di arresti, torture e assassinii. In particolare contro le donne, in una nazione dove l’elemento femminile ama molto il calcio. Emblematico il caso di Sahar Khodayari, che sfidò la legge che vieta il calcio e la loro presenza allo stadio, travestendosi da uomo, per assistere ad una partita della Lega asiatica. Arrestata e condannata a sei mesi, si diede fuoco e morì dopo nove giorni di agonia. Purtroppo ad oggi nulla è cambiato. Il ritorno dei Talebani in Afganistan, dopo l’inglorioso ritiro degli USA, ha riportato la nazione indietro e non poco, in particolare nel mondo femminile e nello sport, attualizzando quel fondamentalismo che avevano imposto nel 2000. In quegli anni, non vietarono il calcio ma, ritenendolo impuro, prima delle partite, davano il via ad un macabro rito, il taglio delle mani ai ladri, che restavano appese per tutta la durata della gara. Completando il tutto con la decapitazione degli assassini, la mutilazione delle adultere e altre torture del genere. Cacciati i Talebani, il ritorno alla democrazia, diede i frutti sperati: il ritorno a scuola delle bambine, la ripresa dello sport aperto a tutti. Al loro rientro, la situazione peggiorò e oggi in Afganistan le donne sono tornate fantasmi, alle quali è tutto vietato. Così in altri stati africani, vedi la Somalia, dove le corti islamiche fin dal tempo di Al Qaeda nel 2007, hanno cancellato lo sport e il calcio in particolare. Il governo ha cercato una via d’uscita, facendo indossare ai giocatori tute sotto il ginocchio, ma neppure questo soddisfa i più estremisti che replicano con sanguinosi attentati. Un oscurantismo preoccupante e drammatico, ancora in atto. Il contraltare alle prenotazioni di un prossimo viaggio sulla Luna e al primo sbarco su Marte.

Giuliano Orlando