Le leggende dell’Inter. Gli immortali della storia nerazzurra
Centrata la seconda stella attraverso un percorso lungo il quale si sono succeduti trentuno indimenticabili campioni della squadra – Andrea Ramazzotti – Le leggende dell’Inter. Gli immortali della storia nerazzurra - DIARKOS Editore - Pag. 280 - Euro 17.00.
di Giuliano Orlando
Con l’arrivo dello scudetto 2023-2024, sotto la guida di Simone Inzaghi, sulla panchina dal 2021, l’Inter ha centrato il traguardo della seconda stella, traguardo che rappresenta una grande realtà storico sportiva, degna di essere raccontata nel suo assieme. Paragonandosi ad un allenatore che deve trovare il meglio del meglio, simpaticamente l’autore ha messo in risalto le difficoltà delle scelte, rese ancor più difficili se devi indicare trenta nomi, più uno (il jolly) meritevoli di citazione, nel corso di una storia, quella dell’Inter che di anni ne ha compiuti 113. Nell’appendice conclusivo, ripercorre in sintesi i maggiori testimoni di questa storia dai dirigenti ai tecnici, fautori quanto i giocatori di un racconto ultracentenario indimenticabile. In ordine alfabetico, cita “una puntura di spillo”, ovvero Alessandro Altobelli, ritenuto una pietra miliare costruita in undici stagioni interiste. Passando dalla macelleria Merluzzi alternando lavoro e calcio in quel di Sonnino, dove era nato al Brescia, fino all’approdo con l’Inter, il filiforme ragazzino si confermò nel corso delle stagioni un bomber micidiale oltre che un fedelissimo. Dal 1977 al 1988, nelle 466 presenze ha messo assieme 209 gol. Solo il grande Giuseppe Meazza ha fatto meglio: 284 reti. Evaristo Beccalossi fa parte delle icone indimenticabili, nonostante … i rigori sbagliati e le sole sei stagioni nerazzurre. Da ragazzino sognava di imitare Sivori e quindi saper usare il sinistro alla perfezione. Ci riuscì nonostante fosse un destrorso. Spirito ribelle ma talento cristallino, amava il calcio ma odiava gli allenamenti. In coppia con Altobelli, suo grande amico, formò un tandem stupendo. Brera lo ammirava e coniò per lui il soprannome “Driblossi”. Ancora oggi amano chiamarlo Zio, anche se sono passati quarant’anni. Il riferimento è per Giuseppe Bergomi, che deve questo soprannome a Giampiero Marini, suo compagno di squadra. La carriera di Bergomi è sempre stata interista. Quando si presentò ai primi allenamenti, sfoderando un paio di baffi che lo invecchiavano, Marini gli chiese l’età e alla risposta “sedici” in commento fu d’obbligo: “Sembri mio zio”. Da sempre interista, anche se il primo provino lo fece col Milan nel 1974 a 11 anni. Respinto per avergli trovato reumatismi nel sangue. Due anni dopo, lo prese l’Inter, iniziando a giocare nei giovanissimi. Debutta tra i grandi nel 1980 e resta nerazzurro fino al 1999. I numeri dicono che nell’Inter ha giocato 756 partite, per dieci anni capitano. Colonna della nazionale, un grande campione che ai proclami preferiva i fatti e di fatti ne ha realizzati parecchi. Nicola Berti era un romagnolo con l’Inter nel cuore fin da piccolo, anche se il cammino per arrivarci non fu diretto. Di certo non era un milanista, semmai il contrario. Memorabile la battuta: “Meglio sconfitti che milanisti” dopo aver perso la sfida nel 1993. Grande centrocampista, col vezzo del gol, una vita col pallone ad altissimo livello, protagonista anche in nazionale con 40 presenze. Giramondo e sciupafemmine. Estroso e sempre in cerca di nuove sensazioni, non esercitò mai il ruolo di tecnico. Ha vissuto quattro anni nei Caraibi, nell’isola di St. Barth, dove conobbe la mamma dei suoi due figli: Leonardo e Lorenzo. Oggi è il presidente degli Inter Club, e gira l’Italia per la gioia dei tifosi nerazzurri. Roberto Boninsegna, bomber implacabile, passò dal Sant’Egidio, squadra dell’oratorio di Mantova, la città dove era nato, all’Inter all’età di 15 anni. L’avvio non fu facile, complice la nostalgia di casa e il mago Herrera che preferì farlo crescere in altre squadre piuttosto che nelle giovanili nerazzurre. Prato, Potenza e infine Varese. Quando sembrava giunto il tempo dell’approdo in prima squadra, venne venduto al Cagliari per 80 milioni delle vecchie lire. L’avventura nell’isola, giocando con Gigi Riva, fu determinante per la sua maturità, arrivando alla Nazionale. Grande temperamento e carattere impulsivo, perse l’opportunità di disputare l’europeo nel 1967, avendo spintonato in campionato l’arbitro Bernardis, colpevole di non aver fischiato un fallo di mano nell’area di rigore del Varese. Il gesto gli costò undici turni di squalifica, ridotti a nove, costringendolo a seguire l’europeo dalla tv. Nel 1969 il ritorno alla sua Inter, dove trovò nel tecnico Giovanni Invernizzi, che aveva sostituito Heriberto Herrera, l’uomo giusto per il rilancio non da seconda punta, ma da centravanti di sfondamento, esaltandone le sue doti attaccante senza paura e abile anche nel gioco aereo. Vinse il primo scudetto nel torneo 1970-71, oltre che il titolo di capocannoniere con 24 reti. Molte le presenze in azzurro come le polemiche e delusioni nel corso di una carriera che lo ha visto protagonista pure nella Juve. Appese le scarpette al chiodo nel 1981. Intensa e di vertice la carriera da tecnico, c.t. delle squadre giovanili, direttore tecnico del Mantova e detentore di svariati record, tra i quali la serie di rigori a segno, ben 19. Per concludere un piccolo ruolo nella serie televisiva “I Promessi sposi”. Questi i primi cinque della serie. Lascio ai lettori il piacere di conoscere ed apprezzare le qualità di Burgnich, detto la Roccia, uno dei migliori difensori italiani in assoluto. Di Cambiasso, il centrocampista argentino, che militò per dieci stagioni in nerazzurro (2004-2014), un vero computer o forse meglio l’allenatore in campo. Il colombiano Ivan Ramiro Cordoba, una vita errabonda al seguito del padre rappresentante di una banca. I primi calci a tre anni e nella testa giocare nell’Inter. Dove arrivò nel 1999 con Lippi allenatore, restandovi fino al 2012, come giocatore. Proseguendo in ruoli diversi, da manager a procuratore. Non ha mai lasciato l’Italia e vive con la famiglia nel comasco. Mariolino Corso, ala mancina, passato alla storia per le sue punizioni a foglia morta, un tiro incubo per i portieri. Il camerunese Samuel Eto’o, due sole stagioni con un bilancio stratosferico di Trofei. L’indimenticabile Giacinto Facchetti, una bandiera infinita, una carriera tutta e solo nerazzurra. Il signore della pioggia, ovvero Zlatan Ibrahimovic, uno slavo nato in Svezia, un fenomeno assoluto. Figlio di cento patrie, perché dove approdava lasciava il segno. Come fece all’Inter quando arrivò nel 2006 e portò la squadra a vincere lo scudetto che mancava da 18 anni. Il brasiliano Julio Cesar, un portiere saracinesca, Benito Lorenzi detto Veleno, re delle provocazioni, grande attaccante e idolo del popolo interista. Un colosso di nome Maicon, terzino giunto dal Brasile, capace di dare una diversa impostazione al ruolo. Lautaro Martinez è l’oggi della squadra, trascinatore dell’Inter e dell’Argentina portandola al mondiale. Tutti pazzi per Marco Materazzi, interista totale e qualcosa in più. Dieci stagioni attive dove ha vinto tutto. Un panzer chiamato Lothar Matthaus, giunto dalla Germania per non far rimpiangere Kalle Rummenigge, anche lui nei 31, un centrocampista superlativo. Sandro Mazzola, figlio del grande Valentino, aveva scritto il destino nelle stelle. E una stella dell’Inter lo divenne davvero. Dicono gli esperti, con Brera in testa, che se Giuseppe Meazza fosse arrivato nei tempi recenti, avrebbe raggiunto vette di popolarità pazzesche. Era un genio in assoluto e tutti lo idolatravano, sul campo e anche fuori, specialmente le signore della Milano bene. Altro argentino della lunga serie approdata all’Inter fu Alberto Milito, attaccante di altissima qualità e cento storie da conoscere nel capitolo a lui dedicato. Nessuno meglio di Gabriele Oriali rappresenta il detto “una vita da mediano”. Leggere (pagg. 181-188) per credere. Armando Picchi il capitano assoluto di una squadra che eseguiva ciò che questo leader indicava. E’ mancato purtroppo troppo presto, a 36 anni nel 1971. Il vero Ronaldo è lui, quello che giunse all’Inter nel 1997, dopo svariati tentativi. Sul campo sapeva fare tutto ciò che per altri era impossibile, con la semplicità dei fenomeni. E tale era. Lennart Skoglund, genio e sregolatezza sceso dalla Svezia nella Milano da bere e da godere. Cosa che fece in campo e fuori. Dejan Stankovic, Luis Suarez dai piedi fatati, Christian Vieri un bomber in ogni senso. Il popolo nerazzurro urlava dagli spalti: “Un capitano, un solo capitano” ed era Javier Zanetti, da sempre all’Inter. Walter Zenga, l’uomo ragno. Ho letto il libro in toto, anche se non sono interista. Ma è talmente piacevole e trascinante che diventa stuzzicante sapere su ogni calciatore quello che le cronache di quel tempo non avevano scritto. Sottinteso che la mia curiosità deve essere anche la vostra.
Giuliano Orlando