Dallo scudetto ad Auschwitz. La storia di Arpad Weisz allenatore ebreo
Il tragico destino di un precursore del calcio d’avanguardia - Matteo Marani – - Diarkos editore – Pag. 220 – Euro 16.00.
di Giuliano Orlando
Non conoscevo la storia di Arpad Weisz e della sua famiglia. Confesso la mia ignoranza e me ne scuso. Cosa abbastanza grave per un giornalista-scrittore che cerca di essere attento ai fatti del mondo. A parziale scusante, non sono un patito del calcio. Evidentemente non si finisce mai d’imparare. A mia volta consiglio il lettore a dare la precedenza alla postfazione che inizia a pagina 209, dove illustra il nuovo percorso del libro, la cui prima edizione risale al 2007, quando come è accaduto al sottoscritto, in pochi erano cogniti della tragedia di cui fu vittima la famiglia Weisz. Il libro ha avuto il merito non secondario di svegliare molte coscienze a riportare alla luce ciò che era caduto nell’oblio. D’altronde eravamo in buona compagnia, visto come ricorda l’autore, lo stesso Google riduceva il tutto al ruolo di allenatore con Inter e Bologna dove aveva trionfato. Oggi, grazie a questo libro l’argomento è arrivato nelle scuole a società di calcio e diverse città, non solo quelle italiane, si sono attivate per dare ai Weisz un segno di gratitudine e ricordo. Riportando alla luce una storia tanto tragica quanto assurda. Aver ripubblicato il libro a distanza di tempo, fa onore alla casa editrice Diarkos.
Arpad Weisz, nasce in Ungheria a Solt, il 16 aprile 1896, cittadina a cento chilometri dalla capitale Budapest, in quel periodo in grande espansione urbanistica ma ancor più culturale. La sua famiglia fa parte della comunità ebraica, cresce in un clima dove la matrice socialista si abbevera alle filosofie di Freud e Nietzsche e odia in modo viscerale la vicina Austria asburgica. Il giovane Arpad dopo essere stato un ottimo studente, arrivando alla laurea, trova un impiego in banca, oltre a dimostrarsi buon giocatore di calcio. Arriva in Italia nel 1929, ingaggiato dall’’Ambrosiana ed è il primo allenatore giunto dall’estero a vincere il nostro campionato. Weisz ha una cultura di base all’avanguardia. Si è aggiornato in Argentina e Uruguay, dove il calcio è ai vertici assoluti. Oltre che aver studiato la nostra lingua, al punto che “Il Calcio Illustrato” lo definisce l’allenatore straniero che della nostra conosce a fondo le nostre finezze. Vive di calcio e ne è uno studioso instancabile. Un tecnico dal grande fiuto, abilissimo a valorizzare i giovani, tra quali spicca Giuseppe Meazza, che fa debuttare a 17 anni in prima squadra. Il percorso del tecnico magiaro nel lungo periodo italiano, prima di Bologna fa tappa a Bari dove salva la squadra dalla retrocessione e a Novara. Quando arriva nella città felsinea incontra l’uomo giusto nel giovane presidente Renato Dall’Ara, uno che vive in sintonia con i giocatori, con in quali ha anche discussioni accese. Siamo nel 1935, e il Bologna deve trovare la strada del riscatto dopo troppe delusioni. Com’è la città in quegli anni? La descrizione che ne fa l’autore Matteo Marani è un quadro imperdibile. Più dipinto che descritto, con delicatezza e vigore, estraendo con le giuste parole, l’atmosfera di quel periodo. Forse i più belli del suo soggiorno in Italia. Dove vince tre scudetti e non solo, perché la sua sapienza calcistica non la tiene schiusa nello scrigno personale, ma la dispensa ai colleghi con la tipica generosità dei grandi. Quando è costretto a lasciare l’Italia, vittima delle leggi razziali, la situazione per tutti gli ebrei è semplicemente tragica. Va a Parigi e poi in Olanda a Dordrecht, dove allena la squadra locale, fino a quando anche quell’ultimo approdo gli viene vietato con la brutalità che solo il demone nazista è in grado di esprimere. La parte finale del libro mi ha turbato come mai mi era accaduto. Pagine di struggente tristezza, che mi hanno ricordato un altro libro letto anni addietro, scritto da Ruta Sepetis, “Avevano spento anche la luna” uscito nel 2011, dove la protagonista afferma: “Mi hanno tolto tutto. Mi hanno lasciato soltanto il buio e il freddo. Ma io voglio vivere. Ad ogni costo”. La storia di una famiglia lituana deportata in Siberia, nell’altra tragedia, quella dei paesi baltici dove milioni di persone morirono nei gulag staliniani. Alla famiglia Weisz, non è concessa nessuna alternativa, nessuna speranza. In quel venerdì del 2 ottobre 1942, il loro viaggio dalla stazione di Westerbork, verso Auschwitz, non avrà altra destinazione che la morte.
Giuliano Orlando