"Decide il destino. Esiste un disegno superiore che dobbiamo accettare. Se io, quel giorno di undici anni fa (quando fu scelto dall'allenatore del Monaco Claude Puel, giunto a Nizza per valutare in realtà Dominique Aulanier, che invece non divenne mai famoso, ndr) avessi avuto la febbre, non avrei giocato. Nessuno saprebbe chi sono. Andrei in giro per Lione a dipingere pareti e installare parquet". Esordisce così Eric Abidal, fuoriclasse del Barcellona, nell'intervista esclusiva a GQ che gli dedica la copertina con una foto esclusiva in cui mostra per la prima volta la cicatrice dell’intervento chirurgico a cui è stato sottoposto ormai 5 mesi fa.
La storia del difensore francese cambia improvvisamente un giorno di marzo del 2011, quando il medico del Barcellona, Josep Fuster Obregon gli dice senza mezzi termini: "Hai un tumore, un tumore al fegato, ti opero la settimana prossima". "No" - rispose subito Abidal – "Mi operi domattina. Non voglio pensarci tutto quel tempo". Come poi sia andata, lo sa chiunque abbia visto Eric, con la fascia da capitano, sollevare la coppa dopo la finale di Champions League, vinta con il Manchester United.
"Per anni, con il Barcellona, sono andato in giro per ospedali e istituzioni a visitare gente malata, orfani – prosegue nel suo racconto Abidal - Dunque ero preparato, sapevo che cosa dire e cosa fare. Ho imparato che è una cosa normale, che è la vita, può colpire chiunque. Perché proprio a me? Non l'ho mai pensato, sarebbe stato disonesto". Alla notizia del male che aveva colpito Abidal, tutto il mondo del calcio gli si è stretto attorno, ma la frase che Eric non scorderà mai è quella del professor Fuster subito dopo l'operazione: "Mi ero appena svegliato dall'anestesia e mi ha detto: Caro Eric, ci vediamo a Wembley, io ci vado di sicuro e tu quella sera ci sarai. Pensavo fosse matto".
Ma la profezia di Fuster - ai tempi il Barcellona era solo ai quarti di Champions - si avvera puntuale, anche se Abidal, un'ora prima di scendere in campo, non sapeva che avrebbe giocato. "Guardiola ci ha dato le ultime raccomandazioni e ci ha letto la formazione. Nessuno ha battuto ciglio. Tranne me, ovvio. Poi ho cercato Puyol con lo sguardo e gli ho chiesto: Ma perché non giochi? Lui mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: Io adesso non conto, quello che conta sei tu, non preoccuparti di me. Capisci che capitano abbiamo? Questo è il Barcellona, la squadra, il gruppo, i compagni vengono prima di tutto. Guadagniamo un sacco di soldi, ma ci alleniamo con la stessa voglia di quand’eravamo bambini e ci trattiamo come fratelli". Da queste parole è facile intuire perché Abidal è da considerarsi un Campione, con la c maiuscola, dentro e fuori dal campo.