C'è una fotografia che è già il simbolo di queste Olimpiadi. È quella che dell'impronunciabile Alaaeldin Abouelkassem, che prega sulla pedana dell'ExCel di Londra 2012 con la fronte rivolta verso la Mecca. Una storia olimpica vera, quella di questo egiziano classe 1990. Primo africano in una finale olimpica di scherma, addirittura medaglia d'argento.
Sì perché il ragazzo ha talento e lo mostra da subito. E' alto e potente, simbolo forse di una nuova corrente del fioretto. Non a caso in finale trova il cinese Lei, un altro che fa della fisicità l'arma vincente, ma contro il potere dei Dragoni Rossi - di questi tempi - è difficile competere. Peccato, certo, se c'era da sognare era lecito farlo fino in fondo, però l'egiziano prima è riuscito a combinarle comunque di tutti i colori. Agli ottavi elimina il tedesco quattro volte campione del mondo Peter Joppich, mentre ai quarti a farne le spese è quello in carica, il nostro azzurro Andrea Cassarà. Poi in semifinale trova il coreano Choi, avversario ostico (ne sa qualcosa Andrea Baldini, che con lui ha perso la medaglia di bronzo). Colpi su colpi e anche una brutta caduta dalla pedana. Ma era il suo giorno e la finale è arrivata.
Perde di misura, lo fa con onore. In palio però c'era altro. Un successo comunque, anche perché dietro alle quinte veniamo a sapere che ha perso il padre da poco. La prima dedica è per il suo paese, per l'Africa intera. "In Egitto c'è bisogno di più fondi, ma anche di una maggiore attenzione da parte dei media", sono le sue prime parole appena sceso dalla pedana. E se c'è ancora chi si chiede se abbia senso tutto sto casino per delle Olimpiadi sportive, la risposta è in storie come queste.