Anche gli arbitri hanno un cuore. Storie di passione col fischietto
Alla scoperta di un mondo intrigante e misterioso, oltre che pericoloso. Un libro inchiesta – Giulio Mola - Anche gli arbitri hanno un cuore. Storie di passione col fischietto - Diarkos editore - Pag. 414 - Euro 19.00.
di Giuliano Orlando
Ho letto questo libro con grande interesse, scoprendo pagina dopo pagina, il lato più dimenticato di un settore calcistico chiuso in una torre eburnea, dove i vertici si sono sempre espressi in chiave burocratica e impersonale, come se chi arbitra avesse al posto del cuore un orologio, utile esclusivamente a scandire il tempo delle partite. L’autore ha rotto un fronte, quello del silenzio non di vertice ma della base, ovvero dal vivaio di chi prova e spera un giorno di calcare i campi delle serie maggiori. Lo ha fatto, spiega nella parte introduttiva, incuriosito dalla dichiarazione di un mostro sacro del nostro calcio: Gigi Buffon, in occasione della partita di ritorno nei quarti della Champions, tra la Juve e il Real Madrid nel 2018. I bianconeri, sconfitti in casa 3-0, con una rimonta incredibile ribaltarono il risultato. Questo fino al 93’, allorché l’arbitro inglese Oliver assegna un rigore molto dubbio ai madrileni che in virtù di quel gol, passarono il turno. A quel punto Buffon, uno dei giocatori più disciplinati in assoluto, non riuscì a contenere delusione e rabbia, esplodendo con una frase che fece il giro del mondo: “Uno così, al posto del cuore ha un bidone dell’immondizia”. La coda su quell’episodio fu lunghissima e trovò terreno fertile su media e tifosi.
Quando nacque la categoria degli arbitri? A Milano il 27 agosto 1911, nel locale “l’Orologio”, per creare l’Associazione Italiana Arbitri (AIA) a tutela dell’autonomia dalla federazione e dalle società. La categoria in realtà era già operativa dall’8 maggio 1898, ovvero alla partenza del primo campionato italiano, formato da quattro squadre, dirette da Adolfo Jordan, inglese residente a Torino. Una categoria che ha compiuto 113 anni e purtroppo li dimostra tutti, anche se negli ultimi tempi la tecnologia, Var in testa, è arrivata a tutto campo, alleggerendo le decisioni del giudice di gara, ma non per questo le polemiche e la violenza del pubblico sono venute meno. In particolare nelle serie minori, dove il tifo raggiunge livelli di incredibile ferocia e stupidità. La vocazione di chi sceglie di diventare arbitro è molto simile a quella del sacerdozio. Ma, quanti arriveranno alla cima, ovvero al cardinalato dei fischietti? E per arrivarci com’è il percorso? Dire che è ricco di imprevisti significa indorare la pillola. Il purgatorio è nelle serie inferiori e per guadagnarsi il Paradiso, devi superare prove durissime. Eppure, basta leggere alcune loro storie per capire quanto conti la vocazione. “Sono Luigi, medico chirurgo e domenica ho sospeso una partita, mentre ero nello spogliatoio, per un’operazione urgente”. “Sono Arianna, mamma da poco e pronta a lasciare la mia splendida bambina dai nonni, ogni volta che vengo chiamata all’ultimo minuto”. Ancora: “Sono Francesco, studente in ingegneria, che ha proseguito nel suo servizio, nonostante che mi sia beccato, dopo poche partite un bel cazzotto in faccia”.
Qui il libro diventa un’inchiesta cruda e spietata, fotografando realtà incredibili. Raccontando vicende che hanno dell’inverosimile, tanto sono assurde e ingiustificate. E’ pur vero che ogni tifoso è l’allenatore della propria squadra, oltre che l’arbitro assoluto. Ma, leggendo i referti di partite dove le squadre sono dell’oratorio o riguardano le categorie di ragazzi (12 e 14 anni), vengono i brividi. L’allenatore dell’Oratorio Sabbioni (Cremona) Donato Busi, ha preso a schiaffi il direttore di gara Elisa Donelli, per aver ammonito un suo giocatore. Non solo, dopo essere stato invitato a lasciare il terreno di gioco, Busi ha replicato con altri schiaffi. Se ad arbitrare si trova nel campionato esordienti (10-11 anni), in provincia di Treviso, una giovane di origine marocchina, gli spettatori quasi tutti parenti dei baby calciatori, si sentono autorizzati a inveire con insulti discriminatori a sfondo sessuale. Col risultato che le partite successive non avranno spettatori e la società dovrà pagare una multa. Questo è accaduto a Karima Aknioui di Castelfranco, decisa a non mollare. “Arbitro da cinque anni – informa – e purtroppo penso che l’arbitro donna sia vista come soggetto non in grado di dirigere una partita. Per questo diventiamo bersagli facili. Voglio sperare che questa situazione migliori col tempo. Comunque io proseguo nella mia passione”. Storie su storie, episodi tanto violenti quanto assurdi, ombrellate e addirittura mattoni contro l’auto dell’arbitro, inseguimenti per mandarlo fuori strada, un forte purgante nella bevanda rinfrescante dopo la partita.
Gianni Prosser il 7 febbraio 1982 venne chiamato ad arbitrare Montespaccato-Velletri nella promozione. Prosser non era certo alle prime armi. Aveva iniziato nel 1969, ma la sua carriera si era inceppata molte volte per la sua intransigenza nel rispetto delle regole. Che al Comitato regionale erano molto elastiche. “Sono stato l’unico arbitro rimasto per sette anni ad arbitrare i dilettanti. Gli altri venivano promossi dopo un paio d’anni. Un medico lombardo, procurava medicine alla famiglia di un dirigente dell’Aia, un altro faceva l’autista ai dirigenti della Figc e salirono in fretta”. La partita in questione doveva essere l’ultima nei dilettanti. “Le due squadre laziali erano terz’ultima e prima in classifica. La partita pur durissima era arrivata verso la fine, senza alcun provvedimento. Gli ospiti erano avanti 2-0. Nessun segno premonitore. Prima della partita avevo dato un’occhiata ai cancelli che dividevano il campo dagli spettatori ed erano chiusi con le catene, ma qualcuno aveva portato un tronchesino per aprirli. Improvvisamente vi fu l’invasione da parte di una trentina di supporter. Pensai fossero i tifosi locali scontenti della prestazione della loro squadra. Mi sbagliavo. Quando lo capii era troppo tardi. Mi misi a correre, ne schivai diversi, ma uno mi diede un calcio al fegato e caddi a terra. I testimoni mi dissero che un altro mi saltò a piedi uniti sul cranio”. Il dirigente degli arbitri ne ricoprì il corpo col proprio trench. Convinto fosse morto. Mezz’ora dopo si accorsero che respirava ancora e lo portarono d’urgenza al Policlinico Gemelli. Quando si risveglia nel reparto oncologico, ha il viso deforme con fratture moltiple alla mandibola, costole rotte e dentatura distrutta. Subisce operazioni per anni. Era diventato un invalido. “Non sono mai tornato come prima. Ho una emiparesi sinistra al volto”. Furono individuati solo quattro colpevoli, condannati ad un anno, mai scontati. Dopo l’incidente perde anche il lavoro. L’associazione arbitri promette un posto, promessa mai mantenuta. Dopo anni di battaglie sui 225 milioni calcolati del danno subito ne riceve 65. Solo il mondo dei media si ricordò di lui. Neppure una telefonata dal presidente dell’Aia di allora, Campanati. Perché? Intervistato da Bruno Pizzul, critica l’Aia e viene radiato.
Una storia, emblematica, delle cento raccontate con dovizia di particolari sulle pagine di un libro che prima incuriosisce e poi coinvolge al punto che diventata un romanzo dai toni drammatici e fa capire che anche gli arbitri non solo hanno un cuore, ma anche anima e sentimenti e ai quali è vietato sbagliare. Forse troppo.
Giuliano Orlando