Se sei bergamasco sei atalantino, non si discute – Vittorio Feltri con Cristiano Gatti – Atalanta la dea che mi fa godere - Rizzoli editore – Pag. 160 – Euro 17.00.
di Giuliano Orlando
Un Vittorio Feltri in tranche amorosa a tutto tondo, col supporto del collega Cristiano Gatti, altro orobico doc per scrivere un poema sulla squadra del cuore. Raccontare la sua Atalanta è una dichiarazione di totale passione, viscerale e mentale. Per non far mancare nulla ai lettori, parte dalla nascita della squadra, il 1907 al ristorante Correggi nella città bassa, con cinque amici ventenni, fuoriusciti dalla Giovane Orobia, la società della città alta. Vogliono dare alla nuova squadra un nome originale e moderno. Infatti la chiamano Atalanta, riandando al libro di Ovidio Metamorfosi, di qualche millennio fa, che la descrive come una ragazza bella, velocissima ma, soprattutto crudele. Ognuno ha i suoi gusti e la scelta viene approvata all’unanimità. La società nasce come polisportiva e, orrore, ha una maglia bianconera, come la gobba Juventus. Un peccato di gioventù, subito emendato. Passano gli anni, meglio i decenni e la squadra arriva ai vertici del campionato maggiore. Scorrono nomi che hanno fatto la storia dell’amata società, compreso il mitico Scirea di cui racconta tutta l’evoluzione, dai primi calci seguito dal padre, al grande salto nella Juve a all’azzurro della nazionale. Tra l’altro l’esordio con l’Atalanta è casuale, avendo sostituito il titolare Savoia, un inamovibile nel ruolo, vittima di un infortunio improvviso. Da quella domenica, l’Atalanta, scrive Feltri, si metterà al bavero la figurina del suo giocatore più grande. Un modello in tutti i sensi. Ovviamente l’Atalanta spadella anche memorabili bidoni, perché con i pulcini dei vivai funziona come con i pulcini veri, inizialmente sembrano tutti uguali, ma pochi diventano brave galline. Anche se altri giovani hanno fatto fortuna uscendo dal vivaio atalantino. L’autore racconta il suo ingresso nel mondo orobico pallonaro, confessando di avere una seconda passione, appena sotto la Dea. Si tratta della Fiorentina, in particolare quella di Montuori che vede dal vivo contro l’Atalanta il 18 marzo 1956. Prima di quel battesimo si confessa atalantino ancora larvale e defilato. Dopo quella partita gli entra nel sangue, anche se con lievi tracce viola, che resterà la sua seconda preferita. Non si scopre oggi la vena ironica di Feltri e non poteva certo mancare in questo libro che diverte e appassiona. La galleria degli episodi è infinita, grazie all’arguzia dell’autore, che percorre anno dopo anno, imprese e delusioni di una società che mantenendo il suo ruolo di “provinciale” ha saputo alzare spesso la testa, dando lezione alle prime della classe. Ammette con la solita sincerità che ad un buon piazzamento in Champions preferisce la vittoria in Coppa Italia, l’unico trofeo che figura nella storia atalantina, titolo conquistato nel lontano 1963. Entra anche in rotta di collisione nella valutazione dei giovani, anticipandone il futuro. Tra questi Angelo Domenghini, nato ad Aglio, un fisico da fame in India e ginocchia a X, che gli esperti ritengono negato al grande calcio. Solo il giovane Feltri insiste nel definirlo un sicuro campione e i fatti gli daranno ragione ad oltranza. In chiusura Cristiano Gatti ha salutato così: E’ stato come viaggiare liberi in una storia di vita e di passione, noi senza bisogno di astronave.
Giuliano Orlando