Quando l’editore Luca Turolla mi informò di aver rilevato i diritti per pubblicare la storia di Sugar Ray Robinson, gli feci i miei più sinceri complimenti. Finalmente, anche in Italia veniva portata a conoscenza nel dettaglio la vita del più grande pugile in assoluto. Mai fu così azzeccato il nickname di Sugar, per un pugile. Jonny Jarrett, giornalista e scrittore di lunga milizia, ha cadenzato minuto per minuto una carriera infinita, senza cadere nell’enfasi, ma raccontando con ricchezza di particolari la vita di un artista del ring dalla culla all’addio terreno definitivo, con tocchi di grande sensibilità rendendo meno crudo il tramonto di un protagonista assoluto, l’espressione più nobile nell’arte del combattimento sul ring. L’incertezza sulla data e la città di nascita (Ailey o Detroit) sono un fattore secondario. Prendiamo per buono il 1921 ed oggi il grande campione avrebbe compiuto 100 anni. Il padre Walker Smith, dopo svariati mestieri trovò lavoro ben retribuito in un cantiere edile a Detroit, riunendo la famiglia. Purtroppo gran parte del guadagno era destinato ai drink e ai vestiti alla moda. Situazione che non andava bene alla moglie Leila, costretta a reggere il peso della famiglia, dove crescevano Marie, Evelyn e appunto Junior. Stufa dell’uomo che dilapidava i guadagni, liquidò il marito e portò avanti da sola il peso dei figli. Il maschietto evitò il rischio delle gang di strada, frequentando il Brewster Centre, circolo ricreativo riservato ai ragazzi di colore, dove il pugilato era il punto di riferimento. Junior inizia così quella che sarebbe diventata la favola della sua vita. Junior è affascinato da Joe Louis Barrow, un giovane gigante che anni dopo diventerà il più grande massimo di tutti i tempi. Il pregio del libro sono i tempi di una cronaca che procede come un treno dove ad ogni fermata propone qualcosa di nuovo. L’incontro con George Gainford, il maestro che lo accompagnò per tutta la carriera, il debutto sotto falso nome, la volta che divenne “Sugar” e come tale restò per sempre. Ogni episodio è un cammeo. La prima volta che sale sul ring, non ha ancora 16 anni, e solo nel 1940 a 19. passerà professionista. Da ricerche fatte, il ragazzo disputerà oltre un centinaio di incontri, conquistando tutti i trofei a disposizione compreso il Golden Gloves, con pochissime sconfitte. Attività più o meno legale, visto che qualche dollaro o premi di altra natura li porta a casa. Tra i battuti figura anche un ragazzo italiano, Willie Papaleo, che spopolava nella zona di New York e da professionista diventerà anche campione del mondo. Tale fu la sorpresa, che un dirigente locale fece trascorrere una notte in prigione a Gainford e Junior, accusando il pugile di essere un professionista. Chiarito l’equivoco, vennero rilasciati, senza chiedere neppure scusa. Precoce in tutto anche in amore. Matrimonio e primo figlio all’alba dei 18 anni. L’esordio nei pro il 4 ottobre a diciannove nel vecchio Madison Square Garden di New York, battendo Joe Echevarria, portoricano di stanza nella City, finito KO al secondo round. Quello che rende il libro stuzzicante è l’incalzare degli eventi, un resoconto minuto per minuto, in cui il campione resta sempre protagonista, ma nel contempo trovano spazio centinaia di altri attori per creare l’effetto che rende teatrale il racconto. Per questo evito di anticipare i risultati di una carriera che non ha uguali. Le conquiste e le riconquiste, le battaglie contro Jake La Motta, l’acquisto della Cadillac rosa fenicottero, i viaggi in Europa con una corte degna del Re Sole, l’esperienza da ballerino, le innumerevoli sfide, il passaggio dalle grandi arene, col pubblico in delirio e borse astronomiche alle sale di anonime cittadine, pochi spettatori e pochi dollari. D’una malinconia struggente. Le grandi rivincite, il perfetto gancio sinistro finito alla tempia di Gene Fullmer che in carriera non aveva mai conosciuto l’amaro sapore del KO. Questo avveniva nel maggio 1957, allo Stadium di Chicago davanti a quasi 15.000 spettatori. Robinson aveva 35 anni e affrontava il mormone, dieci anni più giovane, che lo aveva battuto a gennaio, privandolo del mondiale dei medi. Quel colpo, passerà alla storia come il gancio mancino più bello in assoluto. Venticinque anni di ring sono l’eternità di una carriera, sicuramente troppi, ma sarebbe ingeneroso e ingiusto processare quel percorso. Sugar è stato il re degli eccessi e delle emozioni. Ho avuto la fortuna di vederlo combattere due volte a distanza di tredici anni, con sensazioni molto diverse. La prima a Torino, nel 1951, frequentavo la terza media, accompagnato da uno zio appassionato di boxe. Non ho un ricordo molto preciso, anche se capii che si trattava di un pugile molto elegante e velocissimo a colpire. A Roma, nel novembre del 1964, da giornalista al Corriere dello Sport e La Boxe nel Mondo diretto da Gilberto Evangelista e Rodolfo Sabbatini, seguii Robinson, che rappresentava il mio idolo, da bordo ring. Purtroppo il campione era a fine carriera (44 anni suonati) e combatteva col destro infortunato da mesi. Affrontava Fabio Bettini, un romano residente in Francia, col quale aveva pareggiato a Parigi due anni prima. Risultato che si ripetè al Palazzetto dello Sport, in una serata allestita da Zucchet e dalla Itos. Il pubblico romano fu abbastanza paziente e quando nella nona e decima ripresa, Robinson sciorinò alcune azioni degne del campione quale era stato, gli applausi si sprecarono. L’editore ha inserito il mio nome per il pur limitato contributo. Lo ritengo un onore e lo ringrazio.
Giuliano Orlando