L’uomo che è rimasto nella storia… Potrebbe essere senza dubbio questo il titolo che meglio “veste” il desiderio di raccontare la storia di Robert Beamon, “Bob” per il mondo intero, l’atleta che si è reso protagonista di una impresa sportiva che ancora oggi, dopo interi decenni, è ricordata con tutti gli onori del caso. Prima di arrivare al fatidico giorno, è doveroso raccontare la vita dell’uomo che nacque a New York il 29 agosto del 1946. L’infanzia è di quelle che “lasciano il segno”: Robert vive il dramma della precoce perdita della mamma, colpita dalla tubercolosi. La sua adolescenza è divisa a metà: di notte Beamon frequentava gente poco raccomandabile e spesso era coinvolto in risse, coltellate e quant’altro. Di giorno, invece, andava allo stadio e lì coltivava la sua grande ed innata passione per lo sport: pallacanestro ma soprattutto atletica leggera dove, supportato da un talento superiore alla media, venne notato da alcuni osservatori che gli garantirono una borsa di studio per entrare all’Università di El Paso, nel Texas. Le prime gare confermarono ogni positiva indicazione su quel ragazzo che trovava la sua massima espressione sulla pedana del salto in lungo. Bob Beamon divenne un atleta di interesse nazionale. Il primo acuto arriva nel 1967: a Winnipeg, durante i Giochi Panamericani, conquista la medaglia d’argento grazie ad un balzo di 8,07 metri.
Entra con pieno merito a far parte della squadra americana in procinto di partecipare alle Olimpiadi di Città del Messico. Carattere fermo, princìpi solidi, Robert Beamon ad inizio nel 1968 si rifiutò di gareggiare in un meeting con la presenza di mormoni, persone notoriamente poco affini alla gente con la pelle nera. Un gesto che gli costò caro: la sospensione della borsa di studio da parte dell’Università. Non la notizia migliore, per Bob Beamon, alla vigilia del suo esordio alle Olimpiadi. Venerdì 18 ottobre un temporale minacciava la sua presenza poco prima che i protagonisti della gara di salto in lungo si presentassero in pedana. Il vento forte ed i problemi legati all’altitudine (si gareggiava ad oltre 2000 metri) condizionarono il giapponese Yamada, il giamaicano Brooks e il tedesco Baschert: per loro il primo salto fu nullo. Alle 15.45 Robert Beamon entrò in gara per quarto. La rincorsa fu perfetta, in costante accelerazione. Bob staccò a pochi millimetri dalla linea di battuta, diede un colpo di reni e balzò laddove nessuno era mai planato. Già a prima vista ci fu la netta sensazione di aver assistito ad una grande impresa. Se ne accorse anche il giudice incaricato di confermare la misura: l’apparecchio ottico non arrivava al segno lasciato sulla sabbia da Bob Beamon. Si ricorse così all’antica procedura del nastro. Dopo interminabili secondi di attesa, ecco lo straordinario verdetto: 8,90 metri, 55 centimetri in più rispetto al precedente record mondiale (che era detenuto dall’americano Ralph Boston e dal sovietico Igor Ter-Ovanesjan).
Un boato unì l’intero stadio quando venne comunicata la misura raggiunta da Beamon, il quale impiegò qualche minuti prima di rendersi conto. In quel preciso momento si lasciò andare a scene di incontenibile gioia prima di inginocchiarsi e baciare la terra. Nessuno riuscì anche minimamente ad avvicinarsi al risultato di Bob Beamon che vinse così la medaglia d’oro. Che quel salto era destinato ad entrare nella storia dell’atletica leggera lo si capì meglio nelle successive generazioni. La misura di 8,90 raggiunta da Beamon rappresentò il record del mondo nel salto in lungo per ventitré anni, sino a che, tra l’altro nell’ambito della stessa gara, il 30 agosto del 1991 prima Carl Lewis raggiunse 8,91 (pur con oltre 2 metri al secondo di vento a favore), e pochi minuti dopo Mike Powell balzò a 8,95. Erano, quelli, i Campionati del Mondo di Tokyo, Per cui ancora oggi, a 52 anni di distanza, Bob Beamon detiene il record olimpico di salto in lungo. Non per nulla, l'exploit di Città del Messico è stato inserito da Sport Illustrated come uno dei cinque più grandi momenti sportivi del XX Secolo. Travolto dalla popolarità, dopo aver inutilmente tentato di intraprendere la carriera di giocatore di pallacanestro, Bob Beamon sperperò tutti i soldi che riuscì a guadagnare dopo l’impresa olimpica. Si narra che, oltre ad una mania per le scarpe, Bob Beamon aveva sette televisori. Girava poi al volante della costosissima Cadillac Rosa. Solo quando i soldi cominciarono a scarseggiare, Bob Beamon riprese ad allenarsi con serietà. Il suo obiettivo erano le Olimpiadi di Monaco del 1972, ma l’agilità non era più la stessa e questo lo costrinse anche a cambiare tecnica di salto. Per questo non riuscì a superare i Trials e non partì per i Giochi. Tornò a gareggiare ma riuscì solo in una circostanza a raggiungere 7,90. Iniziò allora ad occuparsi di ragazzi con disagio sociale. Nel 1979 tornò a Città del Messico, sede dei Giochi Universitari, dove cercò, invero inutilmente, di riconquistare un po’ di celebrità raccontando il suo mitico gesto.