La 20° edizione dei mondiali in maglietta, allestiti dall’AIBA, è arrivata alla stretta finale. Oggi riposo, domani venerdì la semifinali e sabato le finali che assegnano le otto medaglie d’oro ai vincitori. Edizione faraonica, con spreco di fari che illuminano le ampie volte dell’Expo Center l’impianto di Ekaterinburg attraversate da luci psichedeliche, stile hollywoodiano, per l’ingresso dei pugili sul ring. Nella città capoluogo dell’Oblast, parte orientale degli Urali, quasi un milione e mezzo di abitanti, che festeggerà nel 2023 i 300 anni dalla fondazione, lo sport fa parte della vita della quarta città russa per abitanti, e il pugilato è uno degli sport con più attività, anche a livello professionistico. Per l’occasione, si sono presentate 78 nazioni e 365 atleti, compressi in 8 categorie, alcune con più di 50 iscritti, per cui partenza dai 32°, una assurdità, che potrebbe diventare anche un pericolo, costringendo i pugili medagliati a dover disputare cinque match in meno di dieci giorni. Infatti è stato un torneo con molte ferite e questo è un pessimo segnale, che conferma due cose, pugili affaticati e arbitri poco tempestivi. Al termine di 333 incontri, sono usciti i 32 pugili promossi al podio, in rappresentanza di 15 nazioni.
La parte più sostanziosa se la sono divisa Kazakistan (6), Uzbekistan (5), Inghilterra (4), Russia e Cuba (3) e India (2), Francia, Filippine, Mongolia, Brasile, Armenia, Bulgaria, Ecuador, USA (1). Clamorose alcune eliminazioni, tra cui ben quattro campioni uscenti: i cubani Veitia (52) e Savon (91), il francese Oumiha (60) e il kazako Yeralyev (57). Assenti il cubano Argilagos (49), l’uzbeco (Giyason) e l’azero-russo Majidov (+91) passati pro, mentre l’ucraino Khyzhniak, campione europeo 2017-19 e del mondo nei medi, si è concesso un periodo di riposo. Restano in lizza per il bis, solo i cubani Gomez Cruz (63) e Julio La Cruz (81). Purtroppo l’Italia in guantoni chiude i mondiali AIBA, prima delle semifinali e torna a casa da Ekaterinburg in Russia, senza medaglie. E’ questa la terza edizione consecutiva che gli azzurri restano fuori dal podio. Bisogna tornare ad Almaty 2013 in Kazakistan, per trovare l’Italia tra le protagoniste. In quell’occasione Clemente Russo vinse il suo secondo mondiale e Cammarelle e Valentino conquistarono il bronzo. Nel 2015 a Doha nel Qatar e nel 2017 ad Amburgo in Germania, il medagliere azzurro resta fermo e lo è tutt’ora a 6 ori, 2 argenti e 14 bronzi L’edizione attuale, la 20° di questa rassegna, iniziata nel 1974 per volere di Fidel Castro all’Havana, è scesa da 10 a 8 categorie, come imposto dal CIO, per allargare la presenza femminile, che sale a cinque categorie contro le tre a Londra 2012 e Rio del Janeiro 2016, avendo riscontrato alto interesse nei media e nel pubblico. Le vicende drammatiche che hanno portato l’AIBA ad un passo dallo scioglimento, non certo ancora risolte, non sembrano aver ravveduto gli attuali dirigenti, visto che la rassegna, all’insegna del gigantismo, ma senza assegnazione di pass olimpici ha fatto vittime illustri non sempre con verdetti corretti. I giudici continuano ad essere l’anello debole del settore. Anche se ufficialmente la rassegna prosegue apparentemente senza problemi, concedendosi l’unico turno di riposo, dopo una settimana di attività frenetica su due ring. Dietro le quinte si lavora per accaparrarsi i voti che serviranno a fine anno per la rielezione dei vertici. Il medio Salvatore Cavallaro, dato sconfitto con molti dubbi dal brasiliano Da Conceicao, potrebbe essere stato vittima di questi disegni costruiti a tavolino. Anche se siamo alla supposizione. A pensar male, spesso ci cogli. Un altro episodio fa riflettere. Nell’ultimo incontro dei quarti, il +91 uzbeko Jalolov, professionista dal 2018, residente a New York, un gigante di 25 anni, alto 2.01 mancino che ha vinto tutti i nove match disputati per ko, quindi un professionista di vaglia, incontra Richard Torrez (USA) 20 anni, alla prima esperienza iridata e subisce un KO pesante con relativo ricovero in ospedale, poi dimesso senza conseguenze. Tutto questo è possibile, grazie ad una normativa scellerata, introdotta nel 2014 al Congresso AIBA a Je-Ju in Corea del Sud, guidato da WU (presidente) e Kim (coordinatore), che fece enormi disastri di cui ancora oggi la boxe sta pagando le conseguenze. Uno di questi è stata l’apertura dei professionisti ai Giochi, iniziativa dimostratasi un floppy storico, ma anche l’apertura a soggetti come l’uzbeko di poter partecipare ad un evento che dovrebbe essere riservato ai dilettanti, purtroppo “open”. Non sarebbe il caso, che venisse annullata questa norma, lasciando il pugilato olimpico ai dilettanti rimettendo l’acronimo amateur agli eventi loro riservati? Condivido in pieno la dichiarazione di Mauricio Sulaiman, presidente del WBC. "È crudele e criminale allo stesso tempo, permettere al pugile professionista Jalolov, con un record di 6 vittorie tutte per KO, di affrontare un dilettante di 20 anni degli Stati Uniti, inferiore in classe, dimensioni e soprattutto esperienza".
Il c. t. dell’Italia, Giulio Coletta è rimasto molto contrariato in particolare da due verdetti, le sconfitte ai danni di Federico Serra (52), contro Angeletti (Usa) e Salvatore Cavallaro nei confronti del brasiliano De Conceicao nei medi. Questo il suo pensiero: “I tempi gloriosi di Cammarelle e Russo, Picardi e Mangicapre sono lontani, stiamo con molta fatica cercando di ricostruire la squadra e non chiediamo favori a nessuno, Vorremmo solo che ci venisse riconosciuto quello che meritiamo. A questi mondiali ci siamo presentati in 6, consapevoli delle difficoltà. Iozia (63) era fuori peso, Malanga (69) si è ferito (testata) nel match vittorioso con l’estone Kamanin, mentre Mouhiidine (91) ha sofferto l’emozione del debutto, che non mi aspettavo. Carbotti (+90) è ancora impreparato a questi livelli. Dopo l’ingiusta sconfitta di Serra, speravo che almeno a Cavallaro, la nostra punta, fosse dato quanto meritava. Invece i giudici lo hanno fregato clamorosamente, assegnando la vittoria al brasiliano De Conceicao, che faceva scena ma portava colpi spesso irregolari, mentre quelli di Salvatore erano più precisi e numerosi. Quando ho visto che i giudici USA, Russia e argentino avevano dato la vittoria all’americano il sospetto che qualcosa non funzionasse è diventato quasi una certezza. I fischi del pubblico e il parere di molti tecnici mi hanno confermato un verdetto scandaloso”.
E adesso?
“Andiamo avanti e continuiamo a lavorare, anche se questi verdetti scoraggiano pugili e tecnici. Il problema grave e che ai vertici dei vari settori, restino burocrati che decidono il destino della boxe. Se il livello dei giudici e degli arbitri è così basso un motivo di sarà. E noi siamo le vittime”.
Giuliano Orlando