Boxe: gli ultimi studi sui possibili danni alla salute

Pubblicato il 7 aprile 2025 alle 09:04
Categoria: Salute
Autore: Matteo Fausto Di Felice

 

La boxe è da sempre al centro di dibattiti accesi riguardo ai suoi effetti sulla salute fisica e mentale. Se da una parte è considerata una disciplina che sviluppa resistenza, coordinazione e autodisciplina, dall’altra suscita preoccupazioni per i potenziali rischi, in particolare quelli legati ai colpi ripetuti alla testa. Ricercatori e medici sportivi stanno approfondendo i legami tra trauma cranico e disturbi neurologici nei pugili, analizzando i dati con un approccio sempre più multidisciplinare. Di seguito, un'analisi basata su studi recenti che gettano luce sulle conseguenze a lungo termine della boxe.

Lesioni cerebrali traumatiche e rischio di encefalopatia

L’encefalopatia traumatica cronica (CTE) è uno dei rischi più discussi tra i pugili professionisti. Uno studio pubblicato su The Lancet Neurology nel 2023 ha evidenziato che oltre il 40% degli atleti da combattimento sottoposti ad autopsia mostrava segni compatibili con questa patologia. La CTE è associata a perdita di memoria, depressione, aggressività e demenza precoce.

Un’altra ricerca, condotta dal team della Boston University CTE Center, ha analizzato 400 casi di atleti deceduti: tra coloro che avevano praticato boxe a livello professionistico per oltre 10 anni, l’85% presentava segni clinici di degenerazione cerebrale. Le lesioni cerebrali traumatiche (TBI) derivano spesso da impatti ripetuti, anche di bassa intensità, ma prolungati nel tempo.

Alterazioni cognitive e disturbi dell’umore

Secondo uno studio pubblicato nel 2022 sul Journal of Neurotrauma, i pugili professionisti presentano un declino cognitivo accelerato rispetto alla media della popolazione. I test neuropsicologici condotti su un campione di 93 pugili mostrano un rallentamento nella velocità di elaborazione delle informazioni, difficoltà nella memoria a breve termine e compromissioni nell’attenzione.

L’aspetto psicologico non è da meno. Disturbi d’ansia, irritabilità, apatia e depressione sono stati riscontrati nel 37% degli atleti esaminati da uno studio dell’Università di Sydney nel 2021. Il collegamento tra questi disturbi e microtraumi cerebrali appare sempre più evidente, anche nei pugili dilettanti.

Differenze tra pugilato dilettantistico e professionistico

Non tutti i pugili sono esposti agli stessi rischi. Una review sistematica pubblicata su British Journal of Sports Medicine (BJSM) nel 2020 ha sottolineato come la frequenza e l’intensità degli impatti cranici sia significativamente maggiore nel pugilato professionistico. Tuttavia, anche i dilettanti non sono immuni: colpi subiti con casco protettivo possono comunque generare forze rotazionali sufficienti a causare danni cerebrali.

Il Comitato Olimpico Internazionale ha promosso l’introduzione di linee guida più stringenti per gli incontri dilettantistici, ma i dati suggeriscono che la durata dell’esposizione nel tempo sia il vero fattore critico, più ancora dell’intensità di singoli colpi.

Strategie di prevenzione e monitoraggio

L’evoluzione della medicina sportiva ha portato allo sviluppo di strumenti diagnostici più precisi, come la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e la diffusion tensor imaging (DTI), che permettono di rilevare alterazioni cerebrali anche nei soggetti apparentemente asintomatici.

Alcune federazioni di boxe, tra cui la USA Boxing e la British Boxing Board of Control, hanno introdotto programmi di valutazione neurocognitiva periodica, con test standardizzati eseguiti ogni anno. In parallelo, si stanno studiando materiali innovativi per i guantoni e caschi protettivi, progettati per ridurre la trasmissione delle forze d’urto al cervello.

Nonostante questi progressi, la piena prevenzione dei danni cerebrali nella boxe rimane una sfida aperta. La consapevolezza e l’informazione, sia tra gli atleti che tra gli allenatori, sono oggi strumenti fondamentali per affrontare il tema con responsabilità.