Nonostante il famoso proverbio sostiene che “la miglior difesa è l’attacco”, ad intendere che il modo più efficace di difendersi dagli attacchi nemici è attaccare per primi, nel calcio moderno questo assunto è stato ribaltato. E dunque, come si evince dalla classifica Serie A, il migliore attacco è ancora la difesa.
Eppure il noto proverbio sembra sia figlio di tale Gentil Alves Cardoso, allenatore brasiliano classe 1906, votato all’attacco. Non parliamo proprio dell’ultimo arrivato. In carriera vinse diversi campionati, allenò campioni del calibro di Garrincha e fu tecnico della Seleção nel ‘59. Insomma, uno che di calcio ne capiva molto. Come si spiega tutto questo? La risposta non è semplice, e dipende da tanti fattori.
I recenti campionati ci dicono che il Milan, vincitore dello scudetto 2021/22, ha terminato il campionato al primo posto con la miglior difesa. Stesso discorso per l’Inter campione d’Italia nel 2020/21. E ancora, la Juventus è arrivata prima in classifica con la miglior difesa dalla stagione 2014/15 alla 2018/19. Unica eccezione fu nel campionato 2019/20, con lo scudetto alla Juve ma la miglior difesa alla seconda classificata.
Dati che confermano quindi che difendere è davvero più importante che attaccare. Cambiano le dinamiche delle partite, e di conseguenza variano anche le puntate possibili sulle piattaforme di gioco e i bonus scommesse online assumono più importanza. Ora si può scommettere anche su mercati strettamente legati ai difensori, come fuorigioco, contrasti e falli commessi.
C’è grande attenzione nel reparto difensivo. Sembra un calcio votato alla protezione della porta, con difensori sempre più pagati e moduli di gioco a favore di una difesa assoluta, ma è davvero così? Eppure non sembra di vedere il catenaccio degli anni ‘50. Che fine hanno fatto i ruoli del “Libero” e dello “Stopper”? Facciamo una rapida disamina sull’evoluzione del calcio moderno.
Lo Stopper era qual difensore centrale impegnato nella marcatura a uomo della punta avversaria. Non aveva altri compiti se non quello. Tralasciando le caratteristiche tecniche necessarie a svolgere tale ruolo, la parte tattica praticamente non esisteva. L’unico obiettivo era seguire ovunque la punta avversaria e intervenire in qualsiasi modo per impedirgli di giocare.
Un giocatore quindi con spiccate doti di marcatura, un fisico importante e un carattere duro da gladiatore con le scarpe da calcio. Caratteristiche presenti in tanti giocatori moderni, ma per fortuna non le uniche. Vedremo poi come si è evoluta questa figura. Prima però occorre analizzare l’altro difensore schierato a supporto dello Stopper, cioè il Libero.
Mentre il primo aveva compiti di marcatura stretta all’attaccante avversario, il Libero, come suggerisce il termine, era libero di muoversi per il campo. Aveva ruoli comunque difensivi e giocava perlopiù davanti al portiere, alle spalle della linea difensiva, ma interveniva sia in tackle per “rimediare” agli errori dei compagni, sia in fase di costruzione come un centrocampista aggiunto (in realtà quest’ultima interpretazione era una dote di pochi campioni come Baresi, Beckenbauer, Scirea...).
Sembra sia stato introdotto con l’utilizzo del catenaccio e si sia estinto verso la fine degli anni ‘90 a causa soprattutto delle evoluzioni tattiche del calcio moderno. In che modo?
Libero e Stopper hanno avuto grande importanza in un calcio strutturato con la marcatura a uomo rigida. Ma nel calcio di oggi, dove si gioca perlopiù con la difesa a zona o la marcatura a uomo flessibile, questi ruoli hanno perso di valore. Adesso si gioca con difensori abili tecnicamente non solo a difendere, ma soprattutto ad impostare il gioco come dei veri registi. In più sono cambiate le richieste tattiche di reparto e collettive. Il gioco è molto più veloce, ravvicinato e “ordinato” rispetto a prima. Immaginare una difesa a uomo rigida a tutto campo e un libero alle spalle della difesa sembra davvero impossibile.
Concludiamo questo articolo con una riflessione:
Secondo la logica dei numeri, non si dovrebbe dare troppa importanza alla difesa, ma al contrario si dovrebbe cercare di impostare un gioco il più possibile votato all’attacco. Questo perché, dalla stagione ‘94/95, il sistema dei punteggi per il campionato italiano è passato dai 2 punti per la vincente agli attuali 3 punti.
Vincere una partita ha molto più senso rispetto al pareggio, perché permette di conquistare, in percentuale, un premio maggiore rispetto agli altri due risultati. Pareggiare equivale quasi a perdere. Si lascia un punto per strada che non va a nessuna delle due squadre. Non c’è un’equa spartizione.
Immaginiamo due squadre, e facciamo un'ipotesi sulle 36 partite di campionato escludendo i due scontri diretti. Se una squadra pareggiasse sempre e l’altra vincesse sempre avremmo: con il sistema a 2 punti una squadra a 36 e una a 72, mentre con il sistema a 3 punti avremmo sempre una squadra a 36, ma l’altra arriverebbe addirittura a 108. Un divario impressionante che giustificherebbe la ricerca della vittoria a tutti i costi.
Eppure, questa teoria non sembra essere applicata. Ci sono motivi tattici e strategici che vanno oltre la semplice matematica, e le fondamenta di qualsiasi squadra si basano sempre sulla costruzione di una solida difesa. Ma per concludere possiamo dire che, sembra banale dirlo, alla fine la squadra che arriva prima è sempre quella che vince più partite. E le partite non si vincono con la difesa, ma attaccando.