Chiedi alla polvere. Quando il calcio non è solo un gioco
Dall’Argentina al Kenya, dall’Uganda alla Sierra Leone, come a New York e a Londra, per scoprire angoli di Paradiso, accerchiati dall’inferno sociale – Francesco Caremani – Bradipolibri editore. Pag. 224 – Euro 18.00
di Giuliano Orlando
Come il male sembra infinito, il bene ha la giusta contrapposizione per vincere. Il calcio come terapia ha origini lontane, lo usarono i missionari in Africa e nell’allora Nuovo Continente, quell’America scoperta per caso, da spagnoli e portoghesi, guidati da nocchieri di casa nostra, diretti verso le Indie. Oggi, gli stessi continenti, hanno altre piaghe, non meno terribili di quelle antiche. L’autore le riporta, dopo averle raccolte e raccontate su Il Calcio Illustrato dal 2014 al 2020. Fotografie di situazioni incredibili e affascinanti, perché ogni vittoria sul male è una favola che diventa realtà. A Buenos Aires c’è un francobollo di terra, chiamato Ciudad Oculta o anche Villa Miseria, talmente putrida che l’allora dittatore militare Jorge Rafael Videla, nel 1978, in occasione dei mondiali di calcio, face nascondere erigendo un muro. In quest’inferno arrivano sia dall’Argentina ma pure dalla Colombia e dalla Bolivia in cerca di fortuna. A Ciudad Oculta, si disputa un torneo di calcio a eliminazione diretta. Per giocare si versa una quota, l’ambiente è unico e irripetibile, Dante lo avrebbe inserito a pieno titolo nell’Inferno. Il torneo ha varie categorie, i partecipanti arrivano da ogni ceto sociale e le regole sono di circostanza. In tale contesto, operano associazioni di volontariato e Ong. Negli anni, qualcosa in meglio è cresciuto. La Under 16 femminile è arrivata alle finali nazionali e si stanno sviluppando altre discipline come boxe, ciclismo, basket, nuoto, ginnastica ritmica e atletica leggera. Un chiarore nel buio. A Città del Messico c’è il quartiere Iztapalama, dove vivono due milioni di persone e dove giocano i Guerreros Azteca, la prima squadra che pratica il calcio con le stampelle. Ne fanno parte Victor Hugo, ex autista di autobus, che ha perduto una gamba in un incidente, c’è Royer che ha la stessa amputazione e Martin, il portiere privo di un braccio, che fa il mendicante e l’unica sua famiglia è la squadra. Si gioca in sette, usare le stampelle contro un avversario comporta l’espulsione e una lunga squalifica. Niente protesi, salvo eccezioni. Quel campionato non è solo passare il tempo, ma lo strumento per riappropriarsi di un ruolo sociale. Kibera è in Kenya, non lontana da Nairobi dove esiste la più antica bidonville del mondo. Oltre che la più popolosa con i suoi 300.000 abitanti, ma il calcolo è chiaramente in difetto. Donata dall’Inghilterra nel 1912 ai spldati sudanesi che combatterono per l’Impero britannico nel 1880. Da allora il mondo è cambiato, non Kibera immobile con la sua povertà, criminalità, mortalità infantile e HIV. Si muore di droga, alcool e violenza di vario genere eppure la vita prosegue e la gente spera che qualcosa cambi in meglio. Forse per questo Kibera ha una scuola e una squadra di calcio, la Slum Soka, grazie a persone come Godfrey Otieno, ex giocatore di primo livello. La squadra cresce anno dopo anno, anche se il percorso è pieno di ostacoli e ad ogni traguardo, rischi di tornare indietro. Mancano i supporti economici e la burocrazia fa parte delle bidonville. Nel fango dove si accampavano i soldati sudanesi al servizio Sua Maestà britannica ci sono altri guerrieri, che combattono per vincere partite di calcio. E lottano come il loro allenatore, Erick Ouma Okoth, il capo di questi nuovi guerrieri, che dice: “La cosa più bella non è aver vinto il campionato, ma pensare che molti di questi ragazzi se oggi non fossero qui con noi sarebbero già morti per droga o per violenza”.
Le bidonville di Buenos Aires e di Kibera non sono certo sole. Si riflettono nel fango e nei rifiuti in altre terre africane dall’Uganda alla Sierra Leone, come negli angoli più remoti di grandi metropoli quali New York e Londra, dove non ci sono solo i ponti che nascondono il marciume che scorre all’ombra del Tamigi e dei vari fiumi che circondano la Grande Mela, guidati dall’Hudson. In quel dedalo di quartieri vegetano sobborghi dove violenza e redenzione giocano partite infinite. Conoscere queste realtà è un esercizio che fa riflettere e meditare, superando il confine di un gioco che dalle nostre parti trova spazio e attenzione su campi degni dei giardini londinesi o dei prati che adornano Versailles. Non sempre è così, molto spesso il calcio è la terapia di sopravvivenza, senza erba e molta polvere.
Giuliano Orlando