Ci ha lasciato Yawe Davis, campione sul ring e fuori.

Pubblicato il 16 gennaio 2024 alle 23:01
Categoria: Boxe
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Ci ha lasciato Yawe Davis, campione sul ring e fuori.

Dall’Uganda a Genova, lungo un percorso che lo ha portato all’europeo, sfiorando il mondiale.

di Giuliano Orlando

GENOVA. Yawe Davis, l’ultimo viaggio lo ha percorso accompagnato dalle note di “Three little Birds” l’indimenticabile canzone di Bob Marley, eseguita dagli archi dell’orchestra del Teatro Carlo Felice di Genova, che ha suonato anche brani di Hayden, Bach e Handel. Davis risiedeva all’ombra della Lanterna  dagli anni ‘80, dove si era sposato con la dolcissima Nadia, tragicamente scomparsa in un incidente stradale dopo che le aveva dato il figlio Michael. Davis è stato ottimo pugile, conquistando il tricolore e l’europeo dei mediomassimi, sfiorando sia il titolo del Commonwealth che la sfida al mondiale, ha dato l’addio definitivo alla vita terrena, all’età di 61 anni, lasciando un ricordo indimenticabile di campione sul ring e non meno di persona buona e generosa fuori dal quadrato. Questo ha detto don Stefano Vassallo, il parroco della chiesa di Santa Fede, dove si sono svolte le esequie alla presenza di tanti ex campioni e amici di Davis, col figlio Michael giunto da New York dove risiede, accanto a Mwehu Beya, congolese di nascita, campione italiano supermedi nei primi anni ’90 e sfidante al mondiale mediomassimi IBF nel 1991, legato da lunga amicizia con Davis. Dopo la cremazione, Davis è stato sepolto nel cimitero di Staglieno. Tra i presenti la famiglia Cavini, nella cui colonia ha combattuto dal 1998 fino al 2002, l’anno del definitivo ritiro dal ring, dopo oltre un decennio con i manager Rocco Agostino e Bruno Arcari. Debbo queste informazioni all’amico Paolo Celano, l’attivissimo maestro genovese che guida la Celano Boxe, coadiuvato da un gruppo di appassionati, animati da grande entusiasmo.                                                                                                                                                          

  Yawe Davis era nato in Uganda, in un villaggio non lontano dalla capitale Kampala, il 27 settembre 1962. Entra in palestra a 13 anni e l’anno successivo debutta sul ring. A 16 anni, all’insaputa della famiglia, si imbarca per la Francia, assieme ad un gruppo di giovani decisi a fare fortuna in Europa come pugili. Quei primi anni, li ha ben presenti nella memoria e me li racconta quando negli anni ‘80, faceva parte della colonia Fernet Branca di Rocco Agostino, ospitato alla Villa Flora di Bogliasco, graziosa cittadina alle porte di Genova, allenandosi nella Palestra di Via Cagliari, nei pressi della Stadio calcistico di Marassi.                                                                     

   “Per quasi un anno ho vissuto a Marsiglia, allenandomi in una palestra dove insegnava un maestro italiano, che mi segnalò all’organizzatore Rodolfo Sabbatini, assicurandolo delle mie qualità come giovane pugile. Il signor Sabbatini mi pagò il biglietto da Marsiglia a Roma, dove disputai una ventina di incontri da dilettante. Mi allenavo presso la palestra Europetroli che presiedeva Claudio Di Cesare, titolare di una ditta che vendeva legna e carbone. Il maestro era Goffredo Placidi, che mi allenava assieme ad altri connazionali. Con loro al mattino, andavamo nel magazzino del presidente a scaricare legna e carbone, assicurandoci il guadagno per sopravvivere”. A confermare il tutto è il maestro Eugenio Agnuzzi, che in quel periodo muoveva i primi passi come pugile, nel gym romano e che mi ha inviato la bellissima foto, che appare in testa all’articolo. Aggiungendo alcuni particolari. “Quando chiuse il Dopolavoro Ferrovieri, dove insegnava il maestro Giovanni Del Ciello, il manager Benito Viligiardi venne alla Europetroli portando il pugile Nicolò Cirelli che divenne un ottimo sparring per i numerosi pugili africani che frequentavano la nostra palestra e ricordo che appunto Davis già allora si stava dimostrando uno dei migliori. Quando nell’ottobre del 1992 passò professionista, si affidò appunto a Viligiardi che operava sotto la direttiva di Rodolfo Sabbatini”.  Viligiardi, dopo una carriera giovanile nel calcio, ottimo mediano nella Trastevere, giungendo alla maglia azzurra nella squadra giovanile, dovette interrompere l’attività per un grave incidente ad un ginocchio, scopre il pugilato, arrivando dall’agonismo fino al ruolo di manager. Davis il 2 ottobre 1981, non ancora ventenne, debutta al professionismo in quel di Frascati, battendo il brasiliano residente in Italia, Mauricio da Cruz (3-43-5) sui sei round. Pareggia a Ischia col campano Gennaro Mauriello e a Pesaro nel marzo 1982, perde contro il più esperto Lutshadi Mudimbi, congolese, a sua volta residente in Italia, già suo rivale ai tempi del dilettantismo, divisi da accesa rivalità, gestito da Umberto Branchini. Nell’83 passa con la Fernet Branca, affidato a Bruno Arcari che fa parte del team di Rocco Agostino e inizia un trittico francese. A Villenave viene battuto dal pugile di casa Rufino Angulo sugli otto round, con un verdetto molto dubbio. La buona prova inducono gli organizzatori francesi a proporlo il 10 febbraio 1983 contro l’imbattuto Yombo Araka (5), gigante del Cameroon, residente a Marsiglia dal pugno micidiale. La sfida dura meno di due round, con Araka KO, tra lo sconcerto del pubblico. I francesi insistono, il 25 marzo sul ring dello Stade Pierre de Coubertin di Parigi, la serata è imperniata sulla difesa europea dei medi di Louis Acaries (39-6), origini algerine, contro il gitano Frank Winterstein, fino ad allora imbattuto (28+ 1=) con 22 KO all’attivo. Niente da fare per lo sfidante, messo out al quarto tempo. Davis lo mettono di fronte a Silvain Watbled (34-3), che dopo una brillante carriera da dilettante, in otto stagioni da pro, pur senza conquistare alcun titolo si era costruito un ottimo record, con due sole sconfitte contro 31 vittorie. Davis, considerata la scarsa esperienza e il record non certo sensazionale (2-2-1) doveva rappresentare una tappa verso qualcosa di importante. Sogno infranto dal più giovane ugandese (21 anni) che spedisce nel mondo dei sogni il parigino, al sesto tempo. Nell’84 disputa tre incontri, sconfitto a Fano dal serbo bosniaco Slobodan Kacar (22-2), con licenza italiana, gestito prima da Angelo Zoggia e poi da Ennio Galeazzi, prestanomi del clan serbo a quel tempo non riconosciuto, che conquisterà il mondiale IBF mediomassimi nel 1985 a Pesaro. Le altre due sfide, riguardano Mudimbi, col quale prima impatta e poi vince, riportando il bilancio in perfetta parità. All’ombra del burbero ma benefico Rocco Agostino, approdato giovanissimo a Genova, dalla natia Casal Velino in provincia di Salerno. Con Agostino, Davis in 14 stagioni, dal 1983 al ’96, ha disputato 50 incontri, con 7 sconfitte, 2 pari e 41 successi. Aspettando la nazionalità italiana, nel gennaio del 1990 sul quadrato di Blacktown in Australia tenta la conquista del Commonwealth, contro il locale Guy Waters (25-7-1), nato a Londra emigrato in Oceania giovanissimo, passato pro nel 1985 a 21 anni. L’andamento della sfida, a giudizio della stampa dopo un inizio a favore di Waters, dal sesto round la pressione offensiva di Davis capovolge l’esito del match e al dodicesimo round il vantaggio dell’ugandese-italiano appare chiaro. Non per i tre giudici che danno a Waters un punto di vantaggio. La carriera di Waters si è svolta quasi tutta in Australia con solo quattro trasferte su 33 incontri. Il debutto avvenuto il 3 aprile 1985 a 21 anni è disastroso, l’irlandese Geoff Peate, lo spedisce KO al secondo tempo. La sconfitta non lo scoraggia. Torna a combattere e inanella una striscia di 13 vittorie e un pari fino allo stop il 19 gennaio 1991 ad Adelaide, impostogli da Dennis Andries (49-14-2), inglese della Guyana, che difende con successo il WBC mediomassimi. Sei mesi dopo l’ingiusta sconfitta Davis riprende a combattere, battendo due volte l’argentino Jorge Salgado, prima a Capo d’Orlando e poi a Montecarlo. Chiude il 1990 superando l’inglese Derek Myers a Ferrara KO al quarto round. Il primo aprile 1991 a Montecarlo affronta Carl Tompson (34-6) l’inglese di Manchester, uno che in carriera (1988-2005) ha battuto Massimiliano Duran per l’europeo oltre a Ralf Rocchiggiani e Chris Eubank per il mondiale, ma contro Davis finisce KO al secondo round. Gli altri due match recano il segno negativo, ma i cui nomi altisonanti giustificano le sconfitte. Il primo è il tedesco dell’Est, al tempo della DDR, Henry Maske, simbolo della politica sportiva sovietica che abborriva il professionismo e che dopo la caduta del muro, inizia la carriera da pro guadagnando una barca di milioni, con sponsor di qualità a cominciare dalla Gilette. Lo intervistai a fine settembre 1989, all’aeroporto di Mosca in attesa del volo per Berlino, fresco vincitore del secondo titolo iridato in maglietta, il primo nel 1986 a Reno nel Nevada. Tra le altre cose gli chiesi il suo pensiero sul professionismo. La sua risposta fu lapidaria: “E’ la piaga dello sport, lo sfruttamento disumano dell’atleta. Non lo accetterei mai”. Pochi giorni dopo, il 9 ottobre si sgretola il Muro di Berlino e l’ineffabile paladino dell’URSS, accetta con entusiasmo l’offerta dell’organizzatore-manager tedesco Wilfried Sauerland, che aveva nella sua scuderia John Mugabi, il terribile africano, di passare professionista. Debutta il 9 maggio 1990 allo stadio Wembley di Londra, battendo il messicano Antonio Arvizu  (1-13) messo KO al primo minuto.  Maske ha 26 anni e non conoscerà sconfitta fino al 23 novembre 1996, quando il non più verde Virgil Hill (51-7) lo spodesterà dal trono IBF e WBA, sui quali sedeva dal 1993. Si calcola che nel corso della carriera da pro, abbia guadagnato qualcosa come 6 miliardi di marchi, oltre 10 miliardi delle nostre lirette. Per uno che mi dichiarò come il professionismo fosse la piaga dello sport, ha accettato il rischio di contaminarsi con grande coraggio! Il 31 maggio 1991, sul ring di Berlino, lo statuario tedesco ebbe non pochi problemi a tenere Davis a distanza e il verdetto fu di MD, con qualche fischio del pubblico, e anche l’unico verdetto non unanime nella carriera di Maske.  Il 3 agosto 1991 la boxe approda a Selvino, centro a vocazione sciistica in Val Seriana, posto a 1000 metri di quota e a 20 km. da Bergamo. Ad organizzare il tutto con Rodolfo Sabbatini è il sudafricano Cedric Kushner, residente a New York, dai grandi baffi che gestito un esercito di campioni, tra i quali Shannon Briggs, Chris ByrdGerrie CoetzeeMichael GrantVirgil HillIke IbeabuchiKirk JohnsonMark JohnsonReggie Johnson, Oleg MaskaevJameel McClineShane Mosley, Ross PurittyHasim RahmanCorrie SandersMarlon StarlingObed SullivanDavid TuaTony Tucker e appunto Frank Tate, oro ai Giochi di Los Angeles nei superwelter, battendo in avvio il nostro  Romolo Casamonica. Nonostante l’ubicazione collinare, sono in 5000 ad assistere alla riunione, ingresso gratuito. Il pugile di Detroit difende l’Intercontinentale IBF mediomassimi, conquistato sei mesi prima, dopo aver perso il mondiale IBF dei medi contro Michel Nunn, un talento assoluto, finito malamente a fine carriera. Tate non può perdere e infatti dopo un avvio pimpante di Davis, la migliore tecnica dell’americano ha la meglio, anche se Davis replica con coraggio. Il 1992 inizia con la buona notizia della nazionalità italiana raggiunta. Vince tre incontri e finalmente ha l’opportunità europea il 23 settembre a Campione d’Italia, l’enclave tricolore nel Canton Ticino in Svizzera. Il titolo dei mediomassimi è stato lasciato vacante da Graziano Rocchigiani, tedesco di famiglia sarda. Yawe Davis se lo gioca contro l’inglese Crawford Ashley (33-10-1), nativo di Leeds. Nell’elegante Salone delle Feste del Casinò, serata ad inviti e boxe di qualità tra l’inglese più chiuso ma rapido nelle repliche e l’italiano di fresco conio, più deciso ma anche più esposto. Personalmente ritenevo che Davis meritasse la vittoria, ma dei tre giudici, solo l’olandese Meijers (116-114) era d’accordo col sottoscritto. L’arbitro Dueroch (Francia) optava per il pari e lo svizzero Marty aveva visto ben tre punti per l’ospite, confermando l’atavica avversità per i nostri pugili. Un vero peccato per la grande occasione sfumata, che si realizzerà dopo un’attesa di nove anni. Arco di tempo, dove il 12 maggio 1993, Davis fallirà il secondo tentativo contro l’olandese Eddy Smulders, che si presenta a Cassino imbattuto (23). Per sette riprese la boxe elegante e concreta dell’orange, regge bene all’urto offensivo di Davis, all’ottava tornata colpito al corpo in modo pesante, Smulders abbassa la guardia e subisce l’assalto prolungato del rivale che lo pone in grande difficoltà, senza riuscire a farlo crollare. Suona il gong a salvarlo e il minuto di riposo lo rigenera e come spesso accade, la situazione si capovolge e Davis, in debito d’ossigeno viene contato e fermato dall’arbitro. Al momento dello stop l’italiano era in vantaggio per i tre giudici. Una vera beffa. Nel ’94 un solo incontro, riprende l’anno dopo, conquistando il titolo nazionale a Casavatore in casa di Giovanni Nardiello, finito KO alla seconda ripresa. Davis ha 32 anni e una spalla che fa i capricci, limitandone il rendimento. Nonostante il problema, combatte due volte in Germania, riportando due vittorie. Nel ’96 sale solo una volta sul ring, battendo il modesto slovacco Michael Roman (1-13) a Montevarchi in meno di un round. A quel punto si concede uno stop e inizia a pensare al futuro senza il ring come protagonista. Ama la ristorazione e su questo itinerario precede con la massima convinzione. A metà del 1998, torna a combattere. Difende il tricolore superando gli sfidanti Mario Tonus e Massimiliano Saiani, sotto l’ala della famiglia Conti-Cavini e il manager Sergio Cavallari all’angolo. Nel 1999 conquista l’Intercontinentale WBC ai danni del francese Pascal Warusfel (19-5), liquidato alla nona tornata. Nel 2000 doppia difesa della cintura e il 6 aprile 2001 il ritorno sul ring di Grosseto, per conquistare finalmente l’europeo mediomassimi. A sostenerlo migliaia di spettatori e prima dell’incontro sfilano molti dei campioni del recente passato, quali Giulio Rinaldi, Sandro Mazzinghi, Francesco Damiani, Gianfranco Rosi e Silvio Branco. Avversario è l'inglese Neil Simpson (26-9-1) che inizia molto bene, colpendo in velocità, mentre Davis deve ancora scaldarsi. Cosa che inizia nel secondo round e si completa nel terzo, quando il nostro pugile trova prima il diretto destro e poi il montante sinistro al bersaglio alto e a Simpson si spengono le luci in modo definitivo. L’ugandese-italiano a 39 anni corona un inseguimento che sembrava non arrivare mai al traguardo. Il titolo gli consente di tentare l’aggancio al mondiale, affrontando l’altro inglese Clinton Woods (42-5-1) a Sheffield, che vince ai punti e tenta di scalzare Roy Jones jr. (66-10) forse il miglior mediomassimo con Archie Moore della storia. Il 7 settembre 2002 a Portland (Usa), Woods prova a prendersi le sei cinture di Jones, ma il sogno svanisce al 6° round. Davis a sua volta aveva difeso l’europeo il 26 gennaio 2002 ad Aulla nello spezzino, superando il francese Kamel Amrane (30-6-2) sui 12 round. Si avvicinano i 40 anni e la spalla lo tormenta sempre di più. La borsa che l’organizzatore tedesco Klaus Peter Kohl di Amburgo, il più importante in assoluto della Germania – hanno fatto parte della sua colonia, tra gli altri Firat Arslan, Markus Bott, Ruslan Chagaev, Stipe Drews, Zsolt Erdei, Khoren Gevor, Juan Carlos Gomez, Artur Grigorian, Istvan Kovacs, Michael Loewe, Dariusz Michalczewski, Ralf Rocchigiani, Marco Rudolph, Wladimir Sidorenko, Thomas Ulrich, Oktay Urkal, Andriy Kotelnik. Oltre ai fratelli Vitali e Wladimir Klitschko - gli offre, per affrontare il 12 ottobre 2002 a Schwerin, l’emergente Thomas Ulrich (32-7) è irrinunciabile e il KO subito al secondo round non troppo doloroso. Come l’addio all’attività dopo oltre un ventennio di ring. Sceso dal quadrato sale sul treno della ristorazione, prima come dipendente, poi da titolare e sempre con successo. Confermando abilità e simpatia, che equivalevano al successo anche in questo campo Nel 1984 il popolare cantante napoletano Nino D’Angelo lo chiamò per farlo lavorare nel film “Uno scugnizzo a New York” e anni dopo, con il trio Aldo, Giovanni e Giacomo fecero lo stesso nel lavoro: "La leggenda di Al, John e Jack".

Giuliano Orlando