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Prima dell'ascesa di Buffon, di dubbi non ce n'erano: nessun estremo difensore in Italia era mai stato grande come Zoff. Da sempre poco interessato ai record e alla popolarità, questa considerazione era più che altro il coronamento dei principi su cui ha basato la sua carriera, ovvero l'impegno e il sacrificio. È sempre sembrato chiuso, un po' scostante Dino Zoff, un tratto del carattere tipico di un ragazzo cresciuto nella campagna friulana, che non voleva apparire spettacolare o istrionico, ma solo fare il proprio compito bene, con poche parole e tanti fatti. È così che Zoff ha costruito una vita piena di successi e soddisfazioni. Nato nel 1942 a Mariano del Friuli, cresce in una famiglia contadina con pochi grilli per la testa. Durante l'adolescenza, in cui fa anche il meccanico, prova l'avventura calcistica, ma viene scartato da Inter e Juve per la sua altezza, 160 cm, considerati troppo pochi dalle due squadre per accettarlo. Crebbe di oltre 20 cm, grazie anche alla dieta a base di uova della nonna, e iniziò finalmente il suo percorso tra i pali, militando nell'Udinese all'inizio degli anni Sessanta. Prese cinque gol al debutto e i bianconeri vennero retrocessi in B, non un gran modo per iniziare quindi, ma rimboccandosi le maniche Zoff scalò le gerarchie nella serie cadetta, prima di essere venduto al Mantova. Rimase quattro anni con i lombardi, anni di maturità in cui iniziò a essere titolare fisso in Serie A, che si conclusero nel famoso match in cui la Grande Inter di Herrera perse lo Scudetto, 1-0 per i virgiliani in quella gara decisiva. 130 milioni di lire spese il Napoli nell'estate del '67 per assicurarsi le prestazioni di un portiere ormai sulla bocca di tutti. L'anno dopo, promosso titolare in Nazionale, giocò benissimo a Euro '68, vincendo il primo e unico titolo Europeo dell'Italia. Ai suoi anni napoletani mancarono solo i trofei, perché Zoff era ormai uno dei migliori portieri in circolazione: con i partenopei giocò per 143 partite di fila subendo solo 110 gol, ma arrivò secondo al primo anno e perse la finale di Coppa Italia contro il Milan al termine della sua ultima stagione in azzurro.
Nel 1972 Dino Zoff passa alla Juventus per 330 milioni di lire. Compiuti da poco i trent'anni, saranno le stagioni della definitiva consacrazione del portiere friulano, facente parte di una Juve leggendaria, sei volte campione d'Italia nel decennio. Sono anche anni in cui prende definitivamente il ruolo di primo portiere dell'Italia, dopo essersi seduto in panchina a Messico '70 per far spazio ad Albertosi, diventerà titolare nei successivi Mondiali, diventando capitano e primo a superare le 100 presenze in Azzurro, dove stabilirà anche il record di di imbattibilità generale per le Nazionali di calcio, 1142 minuti senza subire gol. In maglia bianconera gioca per undici anni, dal '72 all'83, senza mai saltare una partita, 330 incontri di fila disputati, uno dei pochi primati che lo rendono orgoglioso. Diventerà anche il giocatore con il maggior numero di presenze in Serie A, record superato in futuro da Paolo Maldini. Ha 40 anni quando affronta il Mondiale di Spagna con Enzo Bearzot, terminato in trionfo, con l'Italia campione del mondo per la terza volta, anche grazie alla sua storica parata sul brasiliano Oscar, di cui bloccò sulla linea il colpo di testa, consentendo all'Italia di vincere per 3-2. Unico italiano ad aver vinto sia Europeo che Mondiale, il proverbiale pelo nell'uovo è la mancata vittoria della Coppa dei Campioni, in cui fu sconfitto in finale sia nel '73 contro l'Ajax che dieci anni dopo contro l'Amburgo, nell'ultima partita prima del ritiro. "Non posso parare anche l'età", dichiarò con amara ironia l'ormai ex portiere, dedicatosi negli anni successivi alla carriera da allenatore. I più grandi successi li ottenne subito, di nuovo alla Juve, nel 1990, anno in cui vinse Coppa Italia e Coppa Uefa, trofeo che aveva già sollevato da giocatore. Nel decennio successivo sarà protagonista alla Lazio, di cui ricoprirà anche incarichi presidenziali, oltre che di panchina. L'ultimo highlight della sua vita calcistica sono gli Europei del 2000, in cui condusse l'Italia al secondo posto, al termine di una finale persa sul filo di lana contro la Francia. Dopo la sconfitta fu duramente criticato da Silvio Berlusconi, e lui si limitò a rispondere di come si sentisse attaccato come uomo, più che come allenatore, rassegnando immediatamente le dimissioni. Testa alta, schiena dritta, una carriera mitica in cui ha pagato il lavoro e l'impegno: questo è stato Dino Zoff.
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