Sono passati dodici anni dal caso Catania (eravamo nel 2003) e oggi quasi nessuno ricorda più quello spaccato di calcio nostrano. Se la Serie B attuale è composta da 22 squadre il motivo è da ricercare proprio lì. Breve riassunto: gli etnei non evitarono la retrocessione in C, ma fecero ricorso dopo l’1-1 interno contro il Siena (che aveva schierato un giocatore squalificato) e dopo una serie di appelli e controappelli ottennero la ragione dal Tar di Catania, il quale ordinò il 2-0 a tavolino a loro favore (con quei due punti in più i siciliani, allora presieduti dalla famiglia Gaucci, avrebbero evitato la discesa in serie C). Seguirono settimane di delirio che si chiusero con una delle tante sentenze all’italiana: blocco delle retrocessioni, Serie B allargata a 24 e tutti felici e contenti.
Quei mesi di gran caos dovevano essere una spiacevole parentesi, purtroppo si sono rivelati l’inizio di un pandemonio che ogni anno si arricchisce di capitoli sempre più allucinanti. Tra Calciopoli, fallimenti, società indebitate che non pagano ma che ripartono dalla D grazie al Lodo Petrucci (pulite e profumate), classifiche stravolte dai vari gradi di giudizio si potrebbe riempire un’enciclopedia: tempistiche inadatte, situazioni che si trascinano per mesi (in certi casi anni), regolamenti poco chiari ma soprattutto non applicati allo stesso modo, sentenze che lasciano più di un dubbio. Ce ne sarebbero di cose da dire, ma non servirebbe a niente: quando si pensa di aver toccato il fondo ci si accorge che si può sempre scavare e in tutto questo sistema pieno di falle c’è troppa gente che sguazza. Rimanendo in Lega Pro, arriva il periodo delle vacanze e puntualmente si parla di “estate bollente”, non certo dal punto di vista climatico: siamo arrivati al punto che gli stessi campionati vengono modificati a calendari già stilati e incontri già organizzati (il ripescaggio dell’Arezzo di un anno fa, con quelle assurde tempistiche, è l’esempio più clamoroso), qui da noi le carte in tavola vengono cambiate quando il croupier ha già esclamato la frase “les jeux sont faits” e nessuno sembra più scandalizzarsi. Il tifoso medio è anestetizzato e ciò che gli interessa è solo guardare le partite, non importa quando e come: toglietemi quello che volete, ma io devo tifare la mia squadra nella speranza che batta quei maledetti rivali.
Tutto è lecito, tutto si può accettare, anche il fatto che un campionato finito da una settimana venga riscritto con delle sentenze tanto incomprensibili quanto bradipesche: il Pro Piacenza era stato penalizzato di otto punti meno di dodici mesi fa perché nel 2013-14, in D, aveva schierato per diverse giornate un calciatore squalificato. Possibile che solo a fine maggio si sia deciso di ridurre quella penalità, stravolgendo di fatto i playout? Possibile che la Reggina sia passata da una maxipenalizzazione (con tanto di retrocessione in D, eravamo ad aprile) ad un ricorso vinto in extremis, il quale ha garantito i playout a spese del Savoia (che dunque ha chiuso la sua drammatica stagione nel modo più brutto immaginabile)? Possibile che società come Monza e Savoia (giusto per citarne un paio, ma ce ne sarebbero altre) abbiano partecipato al campionato accumulando debiti quando invece in altri casi si procede con i deferimenti per molto meno? Non ci siamo proprio e lo scandalo Dirty Soccer, unito alle frasi shock di alcuni dirigenti e ai continui ribaltoni all’interno della stessa Lega Pro (i casi Macalli e Ghirelli insegnano) aggiunge a tutto questo un’ulteriore dose di veleno che contribuisce alla decadenza del pallone. Ma al tifoso medio interessano solo i tre punti e il calciomercato.