Quelli che non gli vogliono troppo bene, e che vivono di gelosie, sono pronti con le malignità. Questa, per esempio: “Vorremmo vedere Pep Guardiola alla guida di un altro club. Chissà se ripeterebbe gli stessi risultati”. Anziché esagerare con i complimenti e stendere tappeti rossi da Barcellona fino al resto del mondo, gli fanno le pulci. Avanti con le provocazioni: troppo facile con la cantera, è un prodotto finito, c’è un grande laboratorio, inevitabile raccogliere. Gufi e invidiosi, brutte categorie.
Il Barcellona viaggia quasi sempre al 70 per cento di possesso palla. Quando vuole e come vuole. Lo aveva fatto all’andata, 72 per cento, nel tempio del Real Madrid. Incartandogliela fin dal primo minuto, grazie alla sciagurata scelta di Mourinho di aspettare e ripartire. Aspettare troppo, ripartire mai. E la banda di Pep si è messa a ricamare, tic-toc, a pressare, a inventare, a colpire. Un orchestra fantastica: nessuno ha la puzza sotto il naso, tutti sanno cosa fare. Suonano la stessa musica, parlano la medesima lingua, memorizzano un unico credo. E se poi devono proporre il tenore più bravo che ci sia, lasciano il microfono a Leo Messi. Musica, maestro.
Ieri sera il signor Mou si è rintanato in una suite, quasi consapevole di una sentenza già scritta (il Barcellona in finale), piuttosto che speranzoso di ammirare un Real in grado di compiere l’impresa. Ha cambiato formula rispetto all’andata, si è degnato di inserire una punta (Higuain, spento), ha rilanciato Kakà dall’inizio con ritorni minimi, vanamente alla ricerca del Ronaldo smarrito. Bene, non c’è stata storia. Se Casillas non avesse fatto Casillas, il Real avrebbe chiuso il primo tempo sotto di almeno due gol. La cosa incredibile di questo Barcellona è che non ammette calcoli. Ha vinto 2-0 al Bernabeu? Non interessa. Il messaggio è: non snaturiamoci, giochiamo come sappiamo, pressiamo in eterno, siamo o non siamo i più forti? E qui aumenta la rabbia del popolo Real: se Mou all’andata non avesse lasciato tutte le munizioni nel ventre dello stadio, probabilmente sarebbe uscito lo stesso, ma almeno non sarebbero emersi i rossori di una resa ancora prima di scendere in campo.
Vorrei tornare alla premessa. Non mi interessa capire se Pep Guardiola riuscirà a ripetere altrove quanto sta facendo a Barcellona, che discorsi sono? Certo, guardiamo al futuro, ma intanto onoriamo il presente. Diciamolo forte e chiaro: Pep ha dato un’impronta, bisognerebbe pagare il biglietto anche seduti in poltrona, una gioia per gli occhi.
Questa è poesia, caro Pep. Con dedica agli invidiosi.