Egoisti di squadra. Esaltare il gruppo senza sacrificare il talento
Capace di far convivere le qualità individuali e il collettivo – Ferdinando De Giorgi – Egoisti di squadra. Esaltare il gruppo senza sacrificare il talento - Mondadori Editore – Pag. 153 – Euro 18,50.
di Giuliano Orlando
Un libro complesso, affascinante ma non facile, con una traccia unilaterale: stimolare per crescere e migliorare sempre. Concetto che percorre ogni pagina come un mantra, uno stile di vita, un vestito interiore dal quale non devi mai uscire. Con questi principi Ferdinando De Giorgi è salito ai vertici assoluti della pallavolo. Scalino per scalino, ma al contrario dei più popolari, non con le schiacciate, che sarebbe come dire il gol per il calciatore, alzando palloni impossibili, dare ai compagni l’opportunità di fare i punti per portare la squadra alla vittoria. A proposito del calcio, il pugliese di Squinzano, paesello in provincia di Lecce, ci aveva provato da ragazzo. Ma l’esercizio, a giudizio dei genitori, gli portava via troppo tempo, togliendolo allo studio. Trova una società di volley, la Vis Squinzano che lo fa crescere a livello di qualità e mentalità, come dice nelle prime pagine del libro. E specifica: “La pallavolo è diventata la mia passione e il mio percorso di vita. Lo sport mi ha fatto capire che i risultati si ottengono con i sacrifici, accettare i propri limiti e cercare di migliorarsi. Non è tanto importante vincere quanto piuttosto prepararsi alla vittoria”.
Certo, ha trovato maestri giusti che ne hanno facilitato la crescita, prima da giocatore e poi da tecnico. Due ruoli ben distinti, che possono convivere con un terzo, quello di giocatore-allenatore. Da regista, dove ha raggiunto il tetto assoluto da giocatore, ha interpretato anche il doppio ruolo svolto talmente bene da poter affermare di aver raggiunto nella sua permanenza a Cuneo la massima espressione tecnico-agonistica. Ci vuole anche un pizzico di fortuna per raggiungere ogni scopo. Quella di trovare una società come il Cuneo Volley Granda, nel cui alveo si cullò la prima volta dal 1994 al 1997, con compagni del calibro di Andrea Lucchetta, Claudio Galli, Rafaele Pasqual, Samuele Papi, Nikola Grbic e un allenatore di grande spessore quale Silvano Prandi. Conclusa la prima esperienza approda a Desenzano, ma il cuore non si è mai staccato da quella città e quando stava per decidere di appendere le scarpette al chiodo, il presidente del Cuneo Volley, Bubo Fontana lo chiama per tornare da… allenatore. Aveva quarant’anni ma all’arrivo, mise le carte in tavola: “Le mie articolazioni non sono ancora state colpite dall’artrite, e poi ho ancora voglia di divertirmi, di allenarmi”. Esperienza fantastica e pure una novità assoluta. Che l’autore spiega in un contesto più umano che tecnico, tanto utile alla crescita in quel ruolo inedito. Spiega la sua filosofia e come formare le due componenti. Lo staff che supporta la squadra, deve risultare necessariamente di alta qualità per dare ai giocatori l’opportunità di migliorare su tre campi: quello fisico, quello tecnico e quello mentale. Aggiunge quanto sia importante poter contare sul supporto di collaboratori di grande valore, ma sottolinea quanto sia difficile tenerli al fianco. “Vi confesso che ho lottato più per aver loro nello staff della Nazionale che non per il mio compenso da allenatore”. Ripeto, un libro dalle riflessioni infinite, forse un po’ troppo ripetitive, comprensibili in un uomo dai principi sani e ferrei. La sua missione è quella di informare per formare, istruire per migliorare e ancor più convincere quanto sia giusta e valida questa teoria della disciplina come condizione essenziale. Nei vari capitoli le teorie si sviluppano come rivoli che scorrono tutti verso il letto del torrente, per arricchirne la quantità. Questo e tanto altro, da un campione vero, che ha allenato in Russia e in Polonia nei club più importanti, che ha nella sua feretra scudetti, Champions League e tre mondiali. Con la nazionale maschile, che ancora conduce, ha conquistato europei e titoli iridati. Sarebbe ingeneroso dimenticare la simpatica ironia che fa parte del suo carattere. Così racconta la sua prima convocazione in Nazionale, giunta nel 1986 a 25 anni. “Fernanduuu te olenu te la pallavolo (ti vogliono quelli della pallavolo)”. Strillato da nonna Elvira, vivacissima e lucidissima nonostante l’età, detta la leonessa, che aveva risposto al telefono. Il professor Silvano Prandi, c.t. dell’Italia lo invitava per un collegiale a Bormio. Emozione a mille e festa in famiglia. Poi, la domanda fondamentale: “Ma dov’è Bormio? A Cuneo, giocava anche il bulgaro Ljubo Ganev, un gigante di due metri e dieci, la cui attività preferita si realizzava a tavola. L’ultima volta che lo ha incontrato pesava 160 kg. spiegati così: “Sì Fefè, ma ben distribuiti”. Quando giocava era sempre a dieta e su questo ci scherzava. Una volta ci informò che seguiva quella dell’ananas: “Mangio tutto escluso l’ananas”. Un campione suo malgrado. Dopo una lunga dissertazione dell’allenatore Prandi, che spiegava perché aveva subito tre murate. “Loro sanno dove attacchi e per questo ti murano” ripetuto tre volte. La replica fu illuminante: “Coach, se non so neanche io dove attacco, come fanno a saperlo loro?”. Da quel momento fu dichiarato patrimonio dell’umanità. Chiudo, col battesimo ortodosso di un salentino in Siberia. Nel 2012 decide di accettare l’offerta di allenare il Novy Urengoj, foormazione ambiziosa di un paesino a 60 km. dal circolo polare artico. La tifoseria era composta dagli operai della Gazprom, addetti all’estrazione del gas. La squadra si allenava a Mosca e si spostava a Novy il giorno precedente la partita. Quattro ore e mezzo di volo e due di fuso orario. Ogni anno in Russia il 19 gennaio, si compie il battesimo ortodosso, gesto di assoluta importanza per la gente di fede ortodossa, che consiste nell’immergersi fino alla testa per tre volte nelle acque dove ti trovi. Quel giorno la squadra gioca in casa e la temperatura è abbastanza calda: -38 gradi, visto che spesso supera i -50. Il presidente lo sollecita a dare l’esempio. Al rifiuto iniziale, il presidente insiste: “Coach, se lo fai i giocatori ti guarderanno con occhio diverso”. Ricorda De Giorgi: “L’impatto fu devastante, quando uscii andammo verso la sauna. Inizialmente non sentii nulla, come fosse spenta, anche se il termometro segnava 110 gradi. Allora siamo morti, pensai. Poi il mio corpo tornò alla normalità. In effetti al mio ritorno, durante gli allenamenti i giocatori mi guardavano con un misto di ammirazione e incredulità”.
Il saluto dell’appendice raccoglie domande e osservazioni, che definisce frammenti, frutto di particolari esperienze come allenatore. Ovvero, esaltare il gruppo senza sacrificare il talento.
Giuliano Orlando