Le leggende della boxe. Storie di campioni dentro e fuori il ring - Fausto Narducci Pag. 460. Euro 19.00. Edizioni Diarkos.
di Giuliano Orlando
Già la cover del libro lascia capire il fascino di queste storie, il match tra Benvenuti e il cubano Rodriguez sul ring di Roma il 22 novembre 1969, la foto immortala il gancio sinistro di Nino, che spense le luci all’americano nel corso dell’undicesimo round, con Rodriguez in vantaggio. Il nostro campione possedeva tutti i requisiti per svettare sul ring, un fisico perfetto, biondo e bello, elegante e potente, ha fatto impazzire non solo i fans e le fans del ring. La rivalità con Mazzinghi, le sfide con Griffith fecero il resto. Con lui la boxe italiana ha vissuto uno dei periodi più fecondi e fulgidi. Con lui e con altri guerrieri, che hanno firmato la storia in guantoni dell’Italia. A cominciare fu Carnera il gigante buono, diventato pugile suo malgrado. Erano gli anni trenta e quel pugile dalle misure incredibile, nel momento in cui divenne il primo italiano, campione del mondo dei pesi massimi, era il 29 giugno 1933, si tramutò nel simbolo del fascismo. Questo e tanto altro nel capitolo dedicato alla sua storia. Come tanto lo trovi, leggendo il capitolo su Sandro Mazzinghi, il guerriero toscano, più forte di ogni avversità. Indovinato, indicarlo come il re degli arrabbiati, contro tutto e tutti ma, soprattutto con Benvenuti. Scopre la boxe al cinema, vedendo “Lassù qualcuno mi ama”, la storia di Rocky Graziano. Il decollo in Francia e il trionfo a Milano battendo Ralph Dupas per il mondiale. Il resto, non meno interessante lo dovete leggere sul libro. Non meno gustose le storie su Duilio Loi, il campione più cerebrale, un computer fantastico, Bruno Arcari, l’antidivo, organicamente una roccia indistruttibile. Ogni match una battaglia, contro gli avversari e le ferite, che lo hanno sempre tormentato. Il ragioniere del ring Gianfranco Rosi, il perugino che fece raccolta di mondiali, senza possedere il pugno della domenica. Francesco Damiani, che avrebbe meritato l’oro dei Giochi 1984 a Los Angeles, uno dei pochissimi ad aver battuto il grande Stevenson, il romagnolo era un gigante che al posto dei muscoli possedeva l’intelligenza e il talento per arrivare prima all’europeo e poi al mondiale. Il tutto unito alla simpatia che sprizzava da ogni poro. Patrizio Oliva, in contrapposizione all’apparenza fragile, sfruttando un talento pazzesco, ha vinto tutto, smentendo i detrattori per partito preso. “Icio”, ovvero Maurizio Stecca, un “grissino” capace di cogliere l’oro a cinque cerchi, in virtù di una completezza tecnica da fuoriclasse completata e confermata nei pro. Infine, l’ultimo vero gioiello in guantoni, Giovanni Parisi, che ha scritto pagine indimenticabili, vincendo sfide impossibili, nel segno del riscatto dalle avversità della vita. Chiusa anzitempo. Di questi eroi di casa nostra l’autore ne descrive i tratti come un pittore che fissa sulla tela immagini e ricordi. Lo fa con eleganza e discrezione, trattando una disciplina, impropriamente definita violenta, in un film di parole spesso ricche di sentimenti dolcissimi. Lo stesso pathos, quando racconta le vicende di altri 25 super, da Jack Johnson, il primo pugile di colore che divenne campione del mondo, Jack Dempsey, Henry Armstrong, Joe Louis l’inesorabile bombardiere, Ray Sugar Robinson il genio assoluto, Jake Lamotta e Rocky Marciano, Liston, Griffith, Monzon, Frazier, Foreman, Holmes, Duran ed il meraviglioso Hagler, Leonard, Chavez, Holyfield, Lewis, Lopez, De La Hoya, Tyson il cattivo, Mayweather la difesa più impenetrabile del ring, Pacquiao il fenomeno filippino e il messicano Alvarez a chiudere un fantastico racconto, dove pugni e sentimenti condividono le priorità. E Muhammad Ali? Narducci apre la sua storia definendolo “Nessuno come lui” per far capire quanto sia stato grande. Aggiungo che vale la pena leggere anche l’introduzione, colta e stuzzicante. Una sola cosa non ho condiviso, quando accenna alla crisi attuale della boxe, che rischia l’esclusione dai Giochi. Stiamo parlando di un settore, quello dei dilettanti, gestito fino a pochi anni fa dall’AIBA, con furfanti e corrotti, facendo l’impossibile per distruggere le credibilità di un movimento che mette sul ring migliaia e migliaia di atleti in rappresentanza di oltre 200 nazioni. Situazione che ha offerto al CIO mille occasioni per escluderla dai Giochi. Per fortuna la noble art, nel suo assieme, resta uno degli sport più seguiti nel mondo. Giuliano Orlando