Giochi Di Parigi. Giudici incompetenti o in malafede hanno falsato troppi verdetti, Mouhiidine la vittima più illustre.

Pubblicato il 14 agosto 2024 alle 19:08
Categoria: Boxe
Autore: Wilma Gagliardi

 

Giochi Di Parigi. Giudici incompetenti o in malafede hanno falsato troppi verdetti, Mouhiidine la vittima più illustre.

Abbuffata Uzbekistan al maschile. La guerra CIO e IBA. L’Italia entra nel WB.  Cosa rischia la boxe nel 2028 a L.A.       

                                                                                                                        

di Giuliano Orlando                                                                                                                                                            

Dopo aver raccontato il torneo femminile e il risvolto relativo allo scandalo delle due atlete transgender, esprimo la mia opinione su quello maschile e le prospettive dopo la frattura definitiva tra CIO e IBA e l’ingresso dell’Italia nella World Boxing, interrompendo in modo ufficiale il rapporto con l’IBA presieduta dal russo Umar Klemlev, la cui carriera è stata fulminante. Da presidente della Federazione russa, vice dell’EBUC quando Franco Falcinelli la presiedeva, poi membro dell’AIBA, sostituendo il discusso e discutibile uzbeko naturalizzato russo, Gafur Rakhimov, eletto nel gennaio 2019, mandato durato pochi mesi, costretto alle dimissioni sotto il peso di accuse gravi dagli USA. Al suo posto arriva appunto Umar Klemlev che diventa grande protagonista, potendo contare su uno sponsor sontuoso come la Gazprom, che gli permette di riportare il bilancio dal pesante passivo amministrativo all’attivo. Ma c’è un ostacolo alto come un ottomila. Che spiego più avanti. Cominciamo dalla prima crisi internazionale, iniziata concretamente col boicottaggio dell’Occidente ai Giochi di Mosca 1980 e la risposta dell’URSS a quelli di Los Angeles quattro anni dopo, con Cuba allineata, in quell’epoca fortissima non solo con Teofilo Stevenson. Allora, l’isola caraibica riceveva contributi enormi dall’URSS per nascondere il fallimento politico di Fidel Castro, che nel nome di una dittatura popolare, ricompensava i vincitori dei Giochi Olimpici con una bici e l’auto in prestito.

Furioso con quelli che fuggivano, dichiarandoli traditori, e non campioni alla ricerca di un futuro migliore, grazie alle loro doti pugilistiche, che gli odiati yankee assicuravano. A tutti questi eventi sono stato spettatore diretto in qualità di inviato. Già l’AIBA avevano provato a distruggerla in tanti modi, compreso l’arrivo delle macchinette, vendute come sistema per evitare errori umani, in realtà un business dell’Unione Sovietica, con la partecipazione della DDR e il tacito consenso dell’allora presidente italiano Ermanno Marchiaro, fervente ammiratore dell’URSS. A sentir loro era la conseguenza di quanto avvenuto ai Giochi di Seul nel 1988, dove è stata scritta una delle più brutte pagine della boxe in maglietta. Colpevoli gli organizzatori locali, peraltro mai puniti, come giudici e arbitri conniventi. Un altro tassello, forse quello determinante alla crisi più profonda, si consumò al Congresso dell’AIBA nell’isola di Jeju in Corea del Sud nel 2014, in occasione dei mondiali femminili, quando i due sodali WU e KIM, decisero che il pugilato doveva diventare cosa loro, dichiarando guerra alla sigle pro, stravolgendo regole e situazioni, costringendo ogni nazione a cancellare i regolamenti, finendo qualche anno dopo per distruggere  se stessi, con reati gravissimi sulle spalle, ma nel contempo aprendo la strada al caos di una disciplina che pur tra burrasche e scandali, lotte intestine e politiche, era riuscita a mantenere  la sua autonomia come sport dilettantistico. Ricordo che dopo il discorso di WU, uscendo dal teatro dove si era svolto il congresso, l’allora presidente Brasca, espresse la sua preoccupazione, dicendomi. “Questo Wu è tutto matto, sta sconvolgendo un sistema centenario con una rivoluzione destinata al fallimento sicuro, mettendo in crisi tutte le federazioni”.

Mai previsioni si rivelarono più azzeccate. Tutto questo fino all’altro ieri. La rottura tra CIO e IBA, iniziata nel 2019 è tutta politica, ed è l’ultimo tassello di una conflittualità mai così pericolosa per il futuro della boxe. L’Italia, ovvero la FPI, il 27 luglio scorso ha lasciato l’IBA, entrando nella World Boxing, la nuova organizzazione mondiale presieduta dall’olandese Boris Van der Vors, in contrapposizione all’ente presieduto dal russo Umar Kremlev, in carica dal 2019, l’anno in cui il CIO ritiene che le attività dell’allora AIBA, non siano conformi alla Carta Olimpica e minaccia di sospenderla dal ruolo di federazione riconosciuta dal Comitato Internazionale Olimpico. Da quel momento è battaglia aperta e, nonostante i numerosi ricorsi dell’IBA ai vari gradi dei tribunali sportivi e disciplinari, il risultato finale è stato la sua cancellazione definitiva da federazione olimpica. Lo scorso marzo la Corte Arbitrale dello Sport (CAS) confermava la decisione del CIO di rimuovere in modo definitivo l’IBA dalla famiglia olimpica. Si poteva evitare? Forse, ma il prezzo che Klemlev avrebbe dovuto pagare era troppo alto per accettare le richieste del CIO a cominciare dalla chiarezza del rapporto con Gazprom e tante altre situazioni. Nel 2022, si forma un gruppo che fonda il CCA (Common Cause Alliance), diventata poi World Boxing, con 18 nazioni aderenti, salite a 25 a fine anno. Tra le quali USA, Inghilterra, Canada, Francia, Irlanda, Australia, Nuova Zelanda, Ucraina, Filippine e altre. Le previsioni sono per un forte incremento dopo i Giochi di Parigi. In particolare dall’Asia, la roccaforte dell’IBA con Uzbekistan, India e Cina alle quali i ricchi premi che Kremlev assicura ai migliori dei mondiali e dei tornei che l’IBA allestisce nei vari continenti, fanno gola. Soldi che arrivano attraverso il contributo della Gazprom, l’azienda russa che produce gas, ma fornisce anche i servizi più vari, comprese forze militari (mercenari) a chi li richiede, nella quale lo stesso Putin ha interessi diretti.

Ripeto, il conflitto è esclusivamente politico e si è acuito quando la Russia ha invaso l’Ucraina, creando di fatto la rottura completa non solo nella boxe. I pessimisti ritengono che al momento la WB non abbia la forza finanziaria e di adesioni per sostituire l’IBA che conta oltre 200 nazioni iscritte. Chi sostiene che il CIO non contempla il pugilato a Los Angeles 2028 afferma il falso. Il CIO ha informato i vari comitati continentali che non intende allestire l’organizzazione delle preolimpiche come è stato per Tokyo e Parigi, che debbono tornare in seno ad un ente che lo stesso CIO riconoscerà nel ruolo. Decisione assolutamente necessaria, dopo i disastri di arbitri e giudici ai Giochi di Parigi, con verdetti che hanno eliminato ingiustamente alcuni dei favoriti, tra cui il nostro Mouhiidine (92 kg) ma non solo l’azzurro. Al momento la World Boxing non sembra ancora in grado di accollarsi questa responsabilità. Non una bocciatura, solo una la fase di transizione. Con sviluppi che dovrebbero far decollare la W.B. I cambiamenti riguardano tutti i continenti. Le Americhe e l’Oceania già sono fuori dall’IBA, restano Asia, Africa ed Europa. Di certo l’Italia dovrà optare per il cambiamento.

Tenendo presente che nel sito dell’EUBC, campeggia questa frase: “La missione dell’EUBC è quella di governare lo sport della boxe, in tutte le sue forme in Europa. Come Confederazione, attraverso la direzione e la guida dell’IBA”. Cosa deciderà il presidente europeo, il dottor Ionnis Filippatos, eletto a fine aprile 2022 ad Assisi, dopo un testa a testa con l’olandese Boris Van der Vors, sostenuto dalla Francia e che rifiutava la vicepresidenza offertagli dal neo responsabile europeo, avendo già nei programmi la scissione dall’IBA.  Infine, da sempre le emittenti TV sono le più munifiche nell’elargire in questo caso i dollari al CIO, in occasione dei Giochi. Le olimpiadi in California senza la boxe è impensabile. Inoltre, contrariamente a quanto scritto dai soliti pessimisti la boxe negli USA resta uno degli sport più popolari. Come confermano le borse che introitano i campioni più in voga. Molte risposte arriveranno entro l’anno e ritengo saranno per una svolta definitiva e positiva verso i Giochi 2028.                                                                                                                                                                               

 E qui torno a Parigi, settore maschile. Il bilancio racconta del trionfo collettivo dell’Uzbekistan, grande favorita della vigilia, protagonista già a Rio 2016, quando vinse tre ori, compreso quello di Dusmatov nei 48, che si è ripetuto a Parigi salendo di categoria. A Rio si era presentato anche Jalolov, nei +92, a quel tempo ancora dilettante, battuto nei quarti dall’inglese Joyce, giunto all’argento, mentre l’oro lo conquistò il francese Yoka. Gli altri due uzbeki a vincere furono Zoirov (52) e Gaibnazarov (64), passati pro, sia pure con un bilancio modesto viste le aspettative. A Tokyo per l’Uzbekistan fu un fallimento quasi totale, si salvò solo Jalolov già pro, vincendo l’oro nei +92, tutti gli altri out prima del podio, compreso Zoirov campione uscente. La lezione servì a programmare una preparazione con elementi più motivati, messisi in luce ai mondiali 2019, 2021 e 2023 svoltosi a Taskent la capitale dell’Uzbekistan. 

A Parigi con una squadra molto giovane, salvo Dusmatov e Jalolov, ha vinto cinque ori, diventando la nuova Cuba, che ottenne lo stesso risultato nel 2004 ad Atene, ma dopo i tre ori di Tokyo 2021, per la compagine caraibica il declino sembra inarrestabile, mancando i ricambi e i fondi economici. Nei 51 il mancino Dusmatov, 31 anni, pro dal 2019 con 6 vittorie, residente a Indiana (California), decide di concedersi il bis a cinque cerchi. Vince il mondiale 2023, dove batte anche il francese Bennama in finale, si impone nella selezione in Cina per Parigi e arriva ai Giochi in forma perfetta. L’ostacolo maggiore è il kazako Bibissinov, più alto e molto rapido che lo ha già battuto. La sfida tra i due nei quarti è incertissima e il 3-2 per l’uzbeko non convince l’angolo del kazako, che protesta ma il verdetto non cambia. Il resto è tutto facile compresa la vittoria finale contro Bennama, che incassa la seconda sconfitta, sempre 5-0.                                                                                                                          

 Anche nei 57 kg. la musica è uzbeka e si chiama Abdumalik Khalokov, 24 anni, campione del mondo 2023, professionista con una vittoria nel record, ottenuta il 17 marzo 2023 in casa, battendo il russo Alek Egorov per KO. Da dilettante ha un record di 84 vittorie e 10 sconfitte. Ai mondiali 20021 a Belgrado, era stato sconfitto dal francese Sofiane Oumiha. Vincitore ai Panasiatici un Cina nel 2023, Prima di Parigi ha vinto il torneo Strandja a Sofia in Bulgaria.  Ai Giochi ha vinto tutti gli incontri 5-0, compresa la finale contro il kyrgyso Seiitbek, che aveva impressionato per la continuità offensiva, in grado di fermare sia il cubano Rodriguez Horta che la marcia del bulgaro-cubano Ibanez in semifinale.

L’unico finito alla pari era stato Jahmal Harvey (Usa), 21 anni, oro mondiale 2021 a Belgrado a 19 anni, ma tre giudici lo indicano vincitore sul pugile di Oxon nel Maryland, che il prossimo anno passerà pro.  Terzo oro uzbeko ad Asadkhuja Muydinkhujaev nei 71, 23 anni, attivo dal 2018, promosso ai Giochi nella preolimpica di Busto, dopo aver fallito ai Panasiatici, fermato dal kazako Hhymbergenov, che a Parigi è uscito all’esordio. L’uzbeko ha faticato parecchio in semifinale contro Jones (Usa), sconfitto con un 3-2 molto dubbio. Nella finale ritrova Marco Verde, che lo scorso febbraio a La Nucia in Spagna lo aveva superato. A Parigi si è preso la rivincita che valeva l’oro. Ad onor del vero, il messicano ha pagato la fatica per battere l’inglese Richardson in semifinale, con il solito 3-2 digerito a fatica dal britannico che a sua volta era andato avanti con due vittorie (3-2) sul serbo-russo Abbasov, europeo 2022 e il tosto jordano Eashash. La categoria ha raccolto il record dei verdetti di misura, ben otto decisi per 3-2. Gli altri due successi (92 e +92) li tratto a parte con gli italiani interessati.                                                                                                                                                                                

  Restano i 63.5 e gli 80 kg. Nella prima categoria il successo è arriso con giusto merito al cubano Erislandy Borges Alvarez. Ai Panamericani di Santiago in Cile, Cuba aveva mandato il non più verde ma titolato Lazaro Estrada Alvarez, 33 anni, oro a Rio 2016 nei 57 kg. e bronzo a Tokyo 2021, oltre a quattro mondiali (2011, 2013, 2015 e 2017). A bloccarlo subito ci pensa l’ottimo canadese Sanford che vincerà il torneo. Alvarez ci riprova a Busto, ma il tagyko Usmonov lo ferma sia pure di misura. A questo punto il responsabile cubano gioca la carta di un altro Alvarez, il più giovane Borges, 24 anni, pro dal 2023, con 3 vittorie e un record da dilettante di 35 vittorie e 5 sconfitte. Niente di straordinario. Per Cuba è l’ultima opportunità per portare il quinto atleta a Parigi. Tanto più che Estrada Alvarez ai mondiali 2023 si era fermato ai quarti, battuto dal mongolo Baatarsukm.

In Thailandia il cubano arriva in semifinale con un pizzico di fortuna, battendo d’una sfumatura l’ucraino Khartsyz, poi il kazako dal cognome infinito: Mukhammedsabyr con un 3-0 emblematico della confusione dei giudici. Promosso a Parigi, ne diventa protagonista assoluto, con una prova in finale degna di nota, battendo l’idolo di casa Sofiane Oumiha (131-19-1) da dilettante e 5 vittorie da pro, 29 anni. Nato a Tolosa, radici magrebine, il francese più medagliato dell’ultimo decennio: due ori mondiali (2021 e 2023), due ai Giochi del Mediterraneo, doppio argento europeo (2015-2019). Su questi Giochi aveva puntato tutto, dopo l’argento di Rio 2016. In finale si è battuto come meglio non avrebbe potuto, ma Alvarez aveva più stamina e maggior potenza, sfruttate al meglio. Il 3-2 finale non regala nulla al cubano. Personalmente lo avevo visto vincere più nettamente.                                                                                                         

  Come ha vinto giustamente l’ucraino Olek Khyzhniak (126-17), 29 anni, attivo dal 2011, conquistando l’oro degli 80 kg. anche se è un medio naturale. Una medaglia che il guerriero di Poltava attendeva e inseguiva da tre anni, da quel maledetto 7 agosto 2021 sul ring di Tokyo, quando sul finire del terzo round della finale quando, dopo una battaglia pesante e non facile contro il kazako Nurbek Oralbay, campione del mondo in carica (2023) fratello di Albek presente nei 92, l’arbitro gli alzava il braccio decretandolo vincitore con un 3-2, piuttosto severo. Senza nulla togliere al valore dell’asiatico, il rapporto dei colpi a bersaglio, doveva premiare meglio l’ucraino. Comunque, visti i disastri dei giudici, già è un miracolo non abbiano preso lucciole per lanterne, come hanno fatto col nostro Mouhiidine, sbattuto fuori all’esordio con un verdetto a dir poco scellerato. L’ucraino si era qualificato a Cracovia senza problemi, dedicandosi alla preparazione per i Giochi, con pochi tornei e molto lavoro in palestra, spesso fuori dalla Patria. A Parigi dopo un avvio abbastanza semplice, gli ultimi due incontri sono stati tanto spettacolari quanto faticosi. In semifinale entra in rotta di collisione col cubano Arlen Lopez Cardona, semplicemente oro 2016 e 2021. Per il caraibico i quarti sono stati un passaggio al brivido.

L’uzbeko Khabibullaev, il più giovane (20 anni) della squadra, si è meritato il posto, vincendo la selezione interna e arrivava a Parigi abbastanza ambizioso. Cardona per superarlo ha lottato strenuamente, rischiando di uscire, visto il 3-2 finale. Stessa musica contro Khyzhniak, ma il 3-2 è per l’ucraino, che si conferma una macchina da guerra inarrestabile. Come già detto, la finale è altrettanto violenta ed equilibrata, per molti la sfida più spettacolare del torneo. Che condivido. Si è detto molto sul dispendio di energie dell’ucraino e della scarsa difesa. Dell’argomento ne parlai col suo allenatore ai Giochi europei 2019 a Minsk in Bielorussia. Che mi rispose: “Olek ha una carica agonistica e una capacitò offensiva superiore alla media. Limitare queste caratteristiche significava sminuire il suo rendimento. Se un felino perde il senso dell’agguato, diventa un gattone. Consapevoli di questa situazione abbiamo fatto in modo che portasse i colpi da vicino girandoli per essere più precisi. Nel contempo, mancando all’avversario la distanza per la replica, questi pugni hanno meno potenza.  Inoltre Olewk non è fermo sul tronco e questo crea problemi all’antagonista. Con lui è sempre guerra, questo è certo”. Dopo lo stop di Rio, nessuno l’ha più battuto.  Adesso passerà pro e quasi sicuramente sarà sotto l’ala di Egis Klimas  e la K2 Promotions Ucraina, di cui fa parte il pluritolato Olek Usik, suo grande amico. Ed eccoci ai tre azzurri: Salvatore Cavallaro (80), Aziz Abbes Mouhiidine (92) e Diego Lenzi (+92) sperano di ben figurare. Nelle preolimpiche ci avevano provato invano Federico Serra (51), Michele Baldassi e Francesco Iozia (57), Gianluigi Malanga (63,5) e Salvatore Cavallaro jr. 71.                                                                                                   

     Per Cavallaro negli 80 chili, sorteggio subito in salita. Se batte il turco Aykutsun trova il cubano Lopez Cardona, oro in carica sia Rio che a Tokyo. Purtroppo si ferma prima e la vittoria del turco è regolare, anche se resta il rimpianto di aver visto l’azzurro contratto, incaponitosi a cercare lo scambio corto, con un rivale che esprimeva il meglio boxando di rimessa. Solo nel terzo round cambiava tattica, costringendo Aykutsun a scambiare con le serie, ormai troppo tardi per vincere. E qui arriviamo a Mouhiidine, la nostra carta più importante, che debutta contro l’uzbeko Mullojonov, campione nazionale, mancino molto veloce che usa anche la testa. Dirige il canadese Verhoeven, dalla pancia enorme. L’azzurro è più veloce e preciso, ma l’asiatico non è da sottovalutare. A metà ripresa la testa di Mullojonov incrocia la palpebra destra di Aziz e la spacca. L’arbitro la considera ferita su un pugno. I giudici segnano un 4-1 per l’asiatico che sconcerta. Secondo e terzo round con l’azzurro bravo ad anticipare, evitando le repliche, ma solo Chia Chan Lin di Taipei ha il coraggio di esprimere con i numeri (30-27) la superiorità dell’italiano.

Addirittura la tedesca Susann Kopke e l’olandese Cem Dunar danno tutti e tre i round all’uzbeko. Il sospetto della malafede è più che concreto.  Algerino e Sri Lanka segnano 29-28 contro Aziz. Un verdetto sconcio, che butta fuori dai Giochi il pugile che avrebbe vinto l’oro, visto che Mullojonov, dopo il regalo prosegue avanti ai danni del brasiliano Machado, del tajko Boltaev e in finale dall’azero, nato a Cuba, Dominguez, che si sveglia nel round finale per tentare l’impossibile rimonta. Grazie a quattro giudici scellerati, Aziz torna a casa bocciato e l’uzbeko Lazizbek Mullojonov, 25 anni, professionista dal 2021, con quattro vittorie tutte per KO, conquista l’oro. Il neo campione, potrà riprendere l’attività da pro, sospesa il 26 agosto 2023, con Frank Warren, il potente organizzatore inglese, che gestisce anche Usyk, spedendo KO all’ottavo round il kazako Amanzolov (7-1) fino a quel momento imbattuto sul ring di Wroclaw in Polonia.                                                                                                                                            

     Meno amara la sconfitta del gigante emiliano Diego Lenzi nei +92, giunta alla soglia della semifinale, contro il tedesco africano Tiafack, europeo 2022, al momento meglio attrezzato sui tre round. Ma i progressi dell’azzurro sono costanti e i suoi 23 anni, la garanzia di ulteriori passi avanti. Intanto all’esordio ha battuto il gigante USA Edwards, che nella preolimpica americana aveva bocciato il cubano Arzola, contro il pronostico avverso. Alla cima si è confermato l’ennesimo uzbeko, ovvero Bakhodir Jalolov, gigante mancino alto 2,01, 30 anni, pro dal 2018, con 18 vittorie tutte per KO, residente a New York, dove si allena con sparring di alta qualità. In attesa di agganciare una cintura di sigla, toglie ai dilettanti l’opportunità di vincere l’oro olimpico. Come ha fatto nel 2021, è tornato a casa, ha vinto la preolimpica e il secondo oro. Non mi stancherò mai di criticare la normativa del CIO approvata dall’AIBA di aprire ai professionisti senza mettere un minimo di risultati. Personalmente ritengo che dopo dieci incontri venga vietata la partecipazione ai Giochi. Il perché è chiaro. I dilettanti hanno solo le olimpiadi come traguardo massimo, i pro una marea di sigle. La sproporzione è evidente.  Torno ai 92 kg. il cubano Julio la Cruz, 35 anni, attivo dal 2009, l’ultimo mostro sacro della nazionale caraibica, 16 volte campione nazionale, oro a Rio e Tokyo, cinque volte iridato, l’ultima nel 2021 a Belgrado, quando ottenne il verdetto sul nostro Mouhiidine in finale che si era dimostrato nettamente migliore, dove è finito?

Anche lui fuori all’esordio, con un 3-2 per Alfonso Dominguez, diventato azero nel 2018, dopo una lunga carriera a Cuba dove è nato e cresciuto. Verdetto bugiardo come tanti altri, e qui entra in ballo la supponenza del CIO, che avrebbe potuto inserire i 36 arbitri e giudici sospesi dopo Rio dal 2016, utilissimi per insanguare una categoria che a Parigi ha toccato il fondo. Si sono visti direttori di gara salire sul ring, le donne in particolare, incapaci di leggere l’andamento del match. Richiamando il pugile che aveva subito il fallo, ignorando abbracci e colpi irregolari, bloccate dall’emozione, lo specchio dell’inesperienza al livello dei Giochi. Inoltre, la difformità nel valutare la situazione. Chi sceglie la tecnica e chi favorisce la battaglia intensa. In troppi scelgono chi assale senza una base tecnica. E’ pur vero che il problema di giudici e arbitri non è recente ma si perde nella notte dei tempi, addirittura con la nascita dei Giochi (1896), per la precisione nel 1904 a St. Louis negli USA quando entra il pugilato per la prima volta, quindi alla terza edizione, con i soli pugili USA presenti. Nella finale dei 65,8 venne data la vittoria ad Albert Young su Harry Spanier che aveva già vinto l’oro nei 61, scatenando la rabbia dei tifosi dello sconfitto, minacciando l’incolumità sia dell’arbitro che del campione. Dovette intervenire la polizia con gli idranti per raffreddare i bollori dei fans dello sconfitto. Per arrivare ai tempi più recenti. A Los Angeles 1984, Giochi osteggiati da Russia e Cuba, oltre ai Paesi nell’orbita dell’ex Urss, nella semifinale degli 81 kg. l’arbitro squalifica al secondo round Evander Holyfield, che aveva dominato il match contro il neo zelandese Kevin Barry, spedito al tappeto nel secondo round, su un presunto colpo basso.

Ero presente a bordo ring e come molti altri colleghi ci parve regolare. Comunque Barry non si rialzò, quindi fu un KO, con la squalifica di Holyfield da parte dell’arbitro jugoslavo, connazionale di Josipov, che in precedenza aveva superato l’algerino Moussa. Tale verdetto permise a Anton Josipov di vincere l’oro, senza combattere, visto che Barry era impossibilitato a salire sul ring. Scandaloso fu anche il verdetto che assegnava la vittoria in semifinale a Henry Tillman, pugile di casa sul nostro Angelo Musone nei 91 kg. Ai Giochi di Seul 1988, i giudici si trovarono nelle loro stanze Rolex autentici per “orientare” i verdetti verso i pugili di casa. Il nostro Nardiello e ancor più Roy Jones (Usa) ne furono vittime illustre, con Park Si Hun portato letteralmente all’oro. Jones che sovrastava tutto il lotto della categoria, venne premiato o meglio beffato, con l’assegnazione della Coppa Val Barker il trofeo che indica il miglior pugile dei Giochi. A Londra nel 2012, nei supermassimi l’inglese Anthony Joshua “doveva” vincere l’oro per due motivi precisi: assicurarsi la quotazione stellare come campione olimpico, facilitando l’ingaggio con l’organizzazione scelta sia con le emittenti televisive che gli sponsor. A rompere le uova nel paniere trovarono il nostro Roberto Cammarello che dopo aver sofferto sia contro il marocchino Arjaoui nei quarti e il russo-azero Medzhidov, capovolgendo una situazione che appariva disperata, in finale strabattè l’inglese. I giudici fecero i salti mortali per favorire Joshua ma non andarono oltre la parità. A quel punto gli interessi politici di connivenza con l’AIBA, trovarono nella maniera più sporca possibile il modo di inventarsi la vittoria di Joshua, andando a scovare il numero totale dei colpi a segno lungo tutto il match. Una vicenda da vergognarsi tutta la vita.

Cosa che, come prevedibile, non fecero assolutamente. A Rio nel 2016 sempre WU e KIM i due dittatori dell’AIBA, inventarono un gruppo di arbitri che definirono perfetti per quelle olimpiadi. Ai fatti questi signori saranno anche stati bravi, ma pure troppo venali: per qualche dollaro in più guidavano il prescelto alla vittoria. Denunciata la faccenda, l’AIBA volle mostrare la faccia feroce, sospendendo tutti e 36 i signori in bianco, in attesa di giudizio. Che come ho scritto sopra, a distanza di 8 anni, deve ancora arrivare. Responsabile anche la supponenza del CIO che ad una osservazione di Franco Falcinelli, sulle difficoltà ad allestire un torneo complesso come le qualificazioni olimpiche di pugilato, il presidente Thomas Bach, replicò che non era mica una scienza missilistica. Sicuramente non lo è, ma visti i troppi risultati falsati, se dava via libera al rientro di almeno una parte dei sospesi, qualche missile avrebbe centrato il bersaglio dei verdetti corretti. Se la Cina al femminile con i suoi tre ori e due argenti ha dominato a Parigi, tra gli uomini l’Uzbekistan ha centrato cinque ori sui sette in palio, lasciando il resto a Cuba e Ucraina. A Tokyo, Cuba aveva centrato ben quattro ori e un bronzo, lasciando a Inghilterra, Brasile, Turchia, Uzbekistan e Russia (ROC) il resto, con un titolo a testa. Il tracollo di Cuba era previsto, considerata la situazione generale economica sull’orlo del tracollo.

Per quanto riguarda l’Uzbekistan, da anni è la nazione più forte in assoluto, semmai aveva sorpreso lo scarso bilancio di Tokyo. Per quanto riguarda la Cina al femminile è solo questione di sovvenzioni, considerata la base enorme. Visitando questo immensa nazione, scopri che il pugilato è popolare e le palestre a cielo aperto sono una continuità.  In ogni cortile basta mettere quattro zainetti per formare un quadrato e trovare chi tira pugni dai bambini ai vecchietti. Quando il ministero dello sport, investe sul pugilato crescono le medaglie ovunque. Tutto questo non erano certo a conoscenza coloro che Sky ed Eurosport hanno scelto per commentare la boxe a Parigi. Ricordo che negli anni ’50, Nicolò Carosio la voce più popolare del calcio alla radio, attivo dagli anni ’30 fino al 1970, dava alle partite un pathos altissimo. Descrivendo discese e dribbling, parate e gol di assoluto valore. A chi gli faceva osservare che a volte raccontava una partita inventata, rispondeva tranquillo: “Mica la vedono!”.

Tutto il contrario della boxe a Parigi. Trasmessa in tivù e quindi visibile a tutto tondo. Il conduttore e gli altri due di supporto, spesso andavano fuori controllo, raccontando un altro match. Tramutando in dramma uno scambio prolungato, strillava che un pugile aveva il viso imbrattato sangue, poi scoprivi che sulla faccia non c’era traccia. Un normale pugno a bersaglio era una bomba atomica. Improponibili paragoni con campioni del passato, passando da La Motta a De La Hoya, i Klitschko, da Mayweather a Ray Sugar Leonard ad Hagler e   Lomachenko, scomodando perfino Dempsey e Marciano. Con tutto il rispetto per i pugili visti a Parigi, nessuno al momento ha le stimmate dei predestinati. Tantomeno il gigantesco Jalolov, giunto al secondo oro. E’ bastato un destro dello spagnolo magrebino Ghadfa, per farlo diventare prudente e addirittura timoroso di un bis. In aggiunta a queste perle, il gruppo ignorava che l’organizzazione di tutti i tornei relativi ai Giochi, sono stati allestiti dal CIO. Per questo terzetto è stata l’IBA! Mi auguro che qualcuno intervenga per non appaiarli ai giudici di Parigi. Ringrazio l’Associazione degli allenatori di pugilato, che mi hanno scritto chiedendomi perché non pubblicavo nulla sui Giochi. Era una pausa di riflessione. Spero di essermi fatto perdonare. Avviso ai naviganti. Con la scomparsa di Boxe Ring, dovete leggere gli articoli su Data Sport, unico sito che racconta con dovizia di particolari questi appuntamenti. Potete anche fare copie cartacee, come fa il sottoscritto, Perché restino a testimonianza e riferimento, per ricordare e rileggerli all’occorrenza. Buona lettura a tutti.                                                                                                                                                                       

    Giuliano Orlando

 

 

 

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