La criptonite di Zlatan Ibrahimovic si chiama Champions League. O meglio, solo la fase ad eliminazione diretta. Sì, perché il gigante svedese che da vent'anni sfonda le porte in qualsiasi campionato e spacca in due i gironi di qualificazione del massimo torneo continentale, perde inspiegabilmente la bussola non appena la competizione entra nel vivo, vale a dire quando il passaggio del turno si decide con gare di andata e ritorno.
Ha disputato quindici edizioni di Champions e solo una volta è arrivato in semifinale (col Barcellona nel 2010), collezionando appena 10 gol in 44 partite della fase finale. Decisamente poco se si pensa che col Psg, sul finire della quarta stagione, è a quota 105 reti su 117 partite di Ligue 1: una media mostruosa. Poi però arriva marzo e anche quest'anno, come di consueto, lo svedese attacca all'appendiabiti il mantello di Superman.
A Manchester è andato in scena l'ennesimo capitolo della triste telenovela: lo svedese sbaglia un rigore all'andata, si mangia due gol già fatti, poi ne segna uno ma non basta, anche perché al ritorno in Inghilterra fa la comparsa e il City esulta balzando in semifinale. Per Ibra fanno 8 eliminazioni ai quarti su 9 disputati, di cui gli ultimi quattro consecutivi con i parigini: un record negativo poco invidiabile.
E lo scarso feeling di Zlatan con la fase finale di Champions se la ricordano anche le italiane: prima con la Juventus otto partite tra ottavi e quarti (nel 2005 e nel 2006) con zero gol, poi all'Inter tre stagioni agli ottavi (dal 2007 al 2009) e neppure un gol con Valencia, Liverpool e United, infine i due anni al Milan con la deludente prova col Tottenham (2011) e l'unico gol segnato nel 4-0 interno rifilato negli ottavi del 2012 all'Arsenal.
Pensare che quest'anno, nell'ottavo contro il Chelsea, il vento sembrava cambiato: una rete all'andata e una al ritorno. All'Etihad però un nuovo stop: "Sono molto arrabbiato, abbiamo giocato con un modulo mai provato", sbotta Ibra nel post partita. Parole che sanno di addio, per lui si aprono le porte di altri top club europei: su tutti, United con Mourinho e Bayern con Ancelotti. Per riprovare, per l'ennesima volta, a volare su quella "maledetta" Champions.