Intervista a Valerio Lamanna, la voce italiana degli annunciatori, pronto al salto verso mete più alte
di Giuliano Orlando
Come in ogni scelta di vita, alla base ci deve essere la passione, quella che ti fa superare gli ostacoli che si frappongono tra la tua aspirazione e la realizzazione del sogno. Valerio Lamanna che definisco “The Voice”, nel campo degli annunciatori italiani, - nel ricordo e nel rispetto dei ruoli, dello straordinario Frank Sinatra, radici italiane (papà palermitano e mamma genovese) con la passione per la noble art, che lo portò a praticarla sia pure a livello di palestra, la noble art. Voce straordinaria e inconfondibile, capace di incantare generazioni e generazioni di tutto il mondo – ha raggiunto la vetta del primo scalino nazionale, lanciato verso traguardi più importanti. Le maggiori organizzazioni italiane lo invitano per dare voce e personalità alla serata. Il suo tono è perentorio, il pubblico lo riconosce e lo applaude come si fa con i protagonisti dell’evento.
Un presente importante, frutto di quella costanza che nasce nel più classico dei modi. Ovvero partendo dal tempio della boxe, dove il rumore degli attrezzi, quello che risuona ad ogni colpo, i consigli spesso urlati dei maestri, il fruscio della corda che ti circonda il corpo come una parentesi infinita, il respiro che accompagna ogni movimento, la concentrazione e tutta la liturgia pagana che il gym ospita, sera dopo sera, sono il supporto dove il pugilato è religione.
Valerio, in questo contesto si è nutrito e maturato, raggiungendo il punto di partenza per volare con la sua voce fino ad ottenere l’attenzione totale come se le sue parole fossero montanti e diretti, ed ogni frase avesse la potenza del pugno da KO.
Quando hai cominciato a pensare di dare il via al tuo sogno?
L’inizio di questa vera e propria storia d’amore è casuale. Nell’ormai lontano dicembre 2005 capii di avere le corde giuste, la spigliatezza e la competenza per poter offrire una buona qualità al ruolo ‘Ring Announcer’, ovvero presentatore di eventi sportivi, nello specifico per gli sport da combattimento. Chiesi personalmente all’organizzatore Davide Buccioni di affidarmi la presentazione della riunione che si teneva al Palazzetto dello Sport Flaminio di Roma, nel S.Stefano pugilistico che fu trasmesso sull’emittente La 7. Un debutto positivo oltre le attese, raccogliendo subito consensi unanimi, anche se avevo comunque capito di dover lavorare ulteriormente per migliorare e rendere più personali le mie performance.
Quanto è stata importante l’esperienza del ring come atleta?
Moltissimo. Riuscire a instaurare un rapporto simbiotico con i fighters è fondamentale per capire quali corde toccare e come farlo per innescare la miccia di una bomba pronta ad esplodere per regalare spettacolo emozionante. La stessa esperienza mi è subito servita per gestire i rapporti con le varie figure professionali ed istituzionali che gravitano nel mondo del pugilato e degli sport da combattimento.
Presenti serate dove la boxe è collaterale in rapporto ad altri sport di combattimento. Il rapporto di lavoro, ovvero la presentazione, come si diversifica?
Cambia, decisamente. Nel pugilato prediligo uno stile più classico, anche se spumeggiante, mentre nelle serate dove presento sport da combattimento, ritengo sia più indicata una tonalità molto dinamica, che si sposi con l’elettricità di eventi che spesso si articolano su incontri più rapidi (di solito non si va oltre le 5 riprese).
Come in ogni scelta, non pensi sarebbe utile contattare qualche organizzatore per fare esperienza anche all’estero. Magari in Francia o in Germania, senza scomodare l’Inghilterra, territorio più difficile?
Per una mia personale scelta, preferisco essere contattato piuttosto che propormi. Ritengo però sia già importante poter vivere un grande evento all’estero con la possibilità di potermi muovere dietro le quinte per capire le dinamiche che sono, purtroppo, molto più avanti dalla realtà italiana. Comunque, lo scorso anno ho avuto l’onore di annunciare una serata all’estero, a Tirana in Albania, con tre campionati in palio. Confesso di aver vissuto un’esperienza pazzesca, col pubblico molto partecipe, capace di arricchirmi parecchio. Sicuramente una grande spinta per migliorare ancora e cercare nuove idee.
Prima di presentare la manifestazione, parli con gli atleti e gli organizzatori?
Assolutamente sì. Condizione fondamentale in quanto, pur essendo un professionista, ritengo necessario capire le idee del responsabile diretto dell’evento. Di solito, chi sceglie di rivolgersi al sottoscritto lo fa con la consapevolezza di affidami ad un professionista, quindi con piena fiducia. Nel corso degli anni ho avuto modo di lavorare tantissimo e di conseguenza, ciascuno ha potuto vedere e capire cosa e quanto posso portare alla presentazione dell’evento che mi viene affidato.
Il rapporto con gli atleti è importante?
Decisamente importante e fondamentale. Loro sono gli attori principali. Ti confesso che spesso, molto spesso, mi chiamano (soprattutto quelli alle prime armi) ammettendo di attendere con emozione il momento che ascolteranno il loro nome dalla mia voce per salire sul ring. A loro avviso, so infondere molta carica e ulteriore adrenalina. Questo, mi rende decisamente orgoglioso.
La lingua inglese quanto serve?
Molto, indispensabile in ogni evento con incontri internazionali, dove attraverso internet siamo diventati globali a livello assoluto, l’inglese tecnico deve accompagnare e intercalare quanto diciamo in lingua italiana. Questo lo vedo come un dovere professionale, un dogma e una forma di rispetto per chi combatte e chi segue gli eventi all’estero attraverso la rete.
Conosci qualcuno degli annunciatori più popolari in Europa?
Ne conosco molti, per non fare torto a nessuno ti rispondo ricordando che una volta a Bergamo, in occasione di un campionato d’Europa, l’allora presidente dell’EBU, mister Bob Logist, mi garantì che ero, insieme ad un collega finlandese, il miglior ‘ring announcer’ d’Europa. Posso definirlo a giusta ragione, considerando la fonte, il complimento più importante mai ricevuto da quando ho iniziato questo grande e meraviglioso viaggio.
Quali sono i colleghi che meglio svolgono questo ruolo?
Stimo molto Jimmy Lennon jr., ovviamente Michael Buffer e anche Lupe Contreras
Hai mai pensato di creare la categoria degli annunciatori?
Ti dico la verità: no. Ho sempre considerato questo ruolo a livello personale e non credo debba essere categorizzato con altri diretti interessati. Dove il pugilato conta davvero sono i grandi network che si affidano agli annunciatori più blasonati. Ognuno percorre la propria strada, da professionisti autonomi. Tra di loro, sono solo colleghi, che svolgono le stesse funzioni sia pure in ambiti diversi. Diciamo che ognuno ha la propria personalità e quindi sta agli organizzatori valutarne meriti e qualità. Scegliendo il meglio.
Anche se in via di estinzione, ci sono giornalisti con i quali tiene contatti e magari scambi consigli?
Nutro molta stima per i professionisti del giornalismo sportivo e pugilistico. Nel tempo mi sono confrontato soprattutto per attingere informazioni. Da vero appassionato, ascoltare e leggere i servizi dei professionisti di grande spessore è sempre utile e arricchisce il proprio bagaglio personale. Il pugilato in particolare ha una continua evoluzione sia tecnica che organizzativa. Cambiano i campioni a ritmo frenetico e tu devi essere aggiornato continuamente. Certo, anche nel campo giornalistico ci sono reporter di serie A e altri meno affidabili.
Hai un sito dove operi a tutto campo, in particolare quello in cui parli di calcio. C’è un riscontro realmente importante tra questi lettori?
Se ti riferisci al mondo social lo vedo sempre molto virtuale. Possiamo definirlo un ampio contenitore dove mettere in chiaro idee e pensieri. Molto diretto ma anche evanescente in quanto ogni cosa scritta viene per forza di cose sovrastata da tutto ciò che arriva dopo. Nel calcio poi, si ha tanta quantità, essendo lo sport nazionale e quindi quello più cliccato. Le discussioni si sprecano e durano intere giornate. Essendo un grande tifoso della Roma, mi imbatto spesso sulle dinamiche della mia squadra e, nolente o volente, mi faccio coinvolgere in quesiti e disquisizioni trascorrendo molte ore in queste discussioni.
Lo stesso discorso quando discuti di pugilato, o i numeri sono inferiori?
Nel pugilato, purtroppo i numeri sono molto inferiori, mancando il catalizzatore, il talento che possa prendersi sulle spalle l’interesse del popolo che ama la noble art. Ci vorrebbe quello che è oggi Sinner per il tennis, quelli che ieri erano i Valentino Rossi per il motociclismo o Alberto Tomba per lo sci. A noi purtroppo, manca un nuovo Giovanni Parisi, per citare l’ultimo dei campioni in grado di scuotere e muovere l’interesse del nostro sport.
Dovendo fare una classifica personale, quali discipline entrano nelle prime dieci e in quale posizione?
Dall’uno al dieci: pugilato, sport da combattimento, calcio, tennis, basket, automobilismo, motociclismo, rugby, nuoto e atletica leggera. Quando c’è l’Italia o gli italiani, tranne nel calcio, sono in prima linea con il tifo e in quel momento lo sport in questione diventa il preferito.
Metti in archivio le interviste, oppure fai scelte precise?
Sono molto orgoglioso di tutte le interviste che mi sono state proposte. Ringrazio e sono onorato di avere considerazione da parte dei professionisti che dedicano tempo e passione ai miei stessi interessi.
Ovviamente ce ne son alcune che rimangono e rimarranno impresse nella mia storia personale per contenuti ed interlocutori. Senza paura di essere accusato di piaggeria, questa la metto in cima alla classifica. Posso raccontare con orgoglio che Rocky Giuliano Orlando, memoria storica del giornalismo sportivo, autore di libri importanti sul pugilato, l’ultimo sulla vita di Rocky Marciano, un romanzo delizioso sul grande campione dei pesi massimi, di origini italiane, ha realizzato per me, un’intervista che rispecchia la mia personalità infiocchettandola con un pizzico di poesia. Un grande onore.
Giuliano Orlando