L'Italia non è ai Mondiali e dopo le dichiarazioni di Carlo Tavecchio, che era in carica nel periodo che ha portato alla disfatta azzurra, ora è l'ex commissario tecnico Giampiero Ventura che spega le sue ragioni sull'eliminazione subita ai playoff da parte della Svezia. Una sconfitta che, come racconta in esclusiva alla Gazzetta dello Sport, ha radici ben più lontane e che portano le colpe del disastro mondiale anche oltre la sua gestione nello spogliatoio della Nazionale.
Ventura, ma lei il senso a questa storia che ci ha estromesso dal Mondiale, l’ha trovato?
"Non ho trovato un senso, ma ho una spiegazione: ho fatto calcio per 35 anni, sul campo, ma non mi sono mai occupato della politica sportiva, non ho mai fatto parte di un sistema. Ho sempre pensato che l’essere conta più dell’apparire. Il progetto che avevo messo sul tavolo stava andando bene. Avevo ereditato l’Italia più anziana degli ultimi 50 anni e la stavo svecchiando con l’inserimento massiccio di giovani: ho fatto esordire 14 giocatori nuovi. Se ci fossimo qualificati questi giovani sarebbero stati inseriti nella lista per il Mondiale dove continuo a credere che l’Italia avrebbe fatto bene. Russia 2018 doveva essere il trampolino di lancio per essere poi tra i favoriti all’Europeo 2020. Tutto aveva un senso e ha funzionato fino alla gara con la Spagna. Siamo arrivati a quella partita reduci da 7 vittorie e 2 pareggi e dell’appoggio dei tifosi. Dopo quella gara è partita invece una demolizione senza precedenti, un delitto premeditato mai visto prima".
La Spagna dunque è stata lo spartiacque della sua disavventura azzurra?
"Senza alcun dubbio. Dopo quella sconfitta è iniziata una delegittimazione continua: sono diventato l’unico colpevole di tutti i mali. La Figc spettatrice, la squadra salvata: tutta colpa di Ventura.Fino alla Spagna io ho fatto l’allenatore della Nazionale, dopo ho fatto il pungiball".
Allenatore? Voleva dire c.t.
"No, io ho allenato, ma non sono mai stato il c.t. Perché quella è una figura istituzionale, che implica il rispetto e il sostegno di chi gira intorno a lui. E io non l’ho mai sentito davvero fino in fondo. Già prima della Spagna mandai un’email ai vertici della Federazione dicendo che mi sentivo solo, non più al centro di un progetto, senza sostegno. C’erano già stati atti che andavano verso una delegittimazione mai vista. E pensare che ero ancora imbattuto".
Mi perdoni, la fermo subito. Se già sentiva intorno a sé terra bruciata, perché è rimasto?
"Me lo chiedo anche io...Per passione, per affetto, per presunzione, non lo so bene neanche io. So solo che in quel momento sentivo forte dentro di me l’attaccamento all’Azzurro e a tutto quello che per me aveva sempre rappresentato. Sentivo che nonostante tutto ce l’avremmo fatta. Di certo questa è una mia grandissima colpa. Dovevo dimettermi quando dopo essere stato scelto da Lippi, che doveva essere il d.t., mi ritrovai senza più Marcello accanto. Dovevo dimettermi dopo che era stato annunciato che sarei stato io il d.t. di tutte le Nazionali e invece quella carica fu affidata ad altri per motivi “elettorali”. Nel calcio, come in una azienda, se vieni delegittimato, non conti più, sei un bersaglio, puoi solo sbagliare".
E si ritorna alla Spagna…
"Un minuto dopo la prima sconfitta tutti già chiedevano le mie dimissioni. E dicevano tutti che dovevo vergognarmi di aver perso contro la nazionale più forte del mondo, quella che poi ha rifilato 6 gol all’Argentina. Tre giorni dopo, contro Israele, dopo 10 minuti lo stadio di Reggio Emilia già fischiava. Una cosa mia vista. In quel momento dovevo capire che l’avventura era finita. E per la terza volta ho sbagliato a non dimettermi. Andando incontro a uno stillicidio quotidiano. Non c’è stata una sola persona, né dentro né fuori le istituzioni sportive che abbia preso le mie difese".
Un doppio confronto con la Svezia con una vigilia pesante.
"Sembrava non si aspettasse altro che una caduta. Tutti al momento dell’uscita del calendario sapevamo che l’Italia, salvo miracoli, sarebbe andata agli spareggi. Una volta lì, è stato dipinto come un incubo. C’era un clima da resa dei conti, sono finito dentro un ingranaggio più grande di me. Si anticipava che l’uscita dell’Italia avrebbe portato, come poi è successo, non solo la mia caduta ma altri cambiamenti. Tanto che io mi sono chiesto: ma chi voleva andare davvero ai Mondiali?".
C'era una soluzione?
"Bastava arrivare uniti a quel doppio confronto, qualificarci e poi salutarci. Cosa che avevo già preannunciato di fare. Al Mondiale non sarei andato comunque. Invece venne scritto che avevo abbandonato il ritiro e tante altre sciocchezze per minare l’ambiente, senza che nessuno facesse muro. Come se convenisse il caos. Infatti dopo l’eliminazione è partito il tutti contro tutti che ha portato al Commissariamento, che molti attendevano".
Il caso Insigne: giocò solo mezz’ora nella prima gara con la Svezia e non entrò nel ritorno. Fu colpa grave?
"Con me Insigne aveva giocato sempre. Ho fatto delle valutazioni in base all’atteggiamento tattico della Svezia che non metteva in condizioni Insigne di esprimere al meglio le sue caratteristiche. Ma stia pur certo che se avesse giocato Insigne, il problema sarebbe diventato El Shaarawy o un altro".
Segnavamo poco: Balotelli sarebbe servito alla Nazionale?
"Balotelli avrebbe fatto parte dell’Italia che avevo in testa per i Mondiali. Ero andato a Nizza a parlarci per recuperarlo, non si era lasciato bene col gruppo azzurro. A Nizza aveva iniziato bene la stagione, andava reinserito al momento giusto, stavo creando quelle premesse. Sarebbe stato convocato per le amichevoli contro Argentina e Inghilterra".
Ora sta seguendo i Mondiali?
"Sì, con interesse e amarezza. Resto convinto che avremmo fatto bene e saremmo potuti essere protagonisti con i giovani che stavano crescendo. Ma parlo sempre con le convinzioni che avevo fino alla partita con la Spagna. Dopo quella sconfitta e la delegittimazione che ne seguì, non ero più l’allenatore dell’Italia".
Questa storia che un senso non ce l’ha, la ha più abbattuta o...
"Non le lascio neanche finire la frase. Non sono depresso, sono incazzato nero. Sono carico come una molla e non vedo l’ora di riavere per le mani una squadra per fare calcio. Il calcio che ho sempre fatto, senza interessi e politica intorno. Ho ascoltato tante falsità, retroscena inventati, mi sono stufato di fare il pungiball di tutta Italia. Ho dovuto anche leggere le lezioncine tecnico-tattiche da chiunque, anche da chi non ha mai allenato neanche all’oratorio. Ho 35 anni di calcio a parlare per me, in tre mesi sono passato da “maestro di calcio” a “Ventura mangia i bambini”. Nel calcio si vede di tutto, ma così è troppo".