I Cantaglorie. Storia calda e ribalda della stampa sportiva - Gian Paolo Ormezzano – Pag. 190 – Euro 18.00
E’ il seguito ideale di “Non dite a mia mamma che faccio il giornalista sportivo”. Stavolta il tragitto passa dal personale alla storia della categoria, quindi dei colleghi. Con relativi pregi e difetti, anche se molti sono passati a miglior vita. Per cui gli assenti non se la prendano, sarà per la prossima volta. Corposa e ribalda carrellata dei nomi più celebri del giornalismo sportivo italiano. Un libro alla rovescia, dove i protagonisti non sono i campioni ma i resocontisti degli stessi. Sviscerati in radiografie dettagliate, sconosciute e intriganti, curiose e qualche volta sorprendenti. I nomi che scorrono dalla penna di questo longevo testimone e diretto interessato, spaziano dai cantori come Pozzo, Ambrosini, Raschi, Carlin, Buzzati e Arpino, agli erotisti Brera, Palumbo, Ghirelli, Zavoli e Tosatti fino ai pornografi Biscardi, Mosca, Cannavò, De Zan e Clerici, dei quali racconta e scava nel profondo delle rispettive personalità.
Gino Palumbo direttore della Gazzetta dello Sport, ascoltava gli umori della gente sul tram, Nicolò Carosio la voce della radio, le partite le inventava più che raccontarle, Gianni Brera straordinario a scrivere, difensore dello sport come espressione atletica e grande studioso delle razze, la timidezza di Dino Buzzati ai Giochi invernali, la memoria visiva di Adriano De Zan nel riconoscere i ciclisti, la personalità di Antonio Ghirelli, un napoletano alla direzione di Tuttosport, la genialità di Bruno Raschi un poeta prestato allo sport. L’umanità di Maurizio Mosca, giornalista discusso e discutibile, sacrificato alla legge del gossip. Una cinquantina di nomi, con poche assenze e ancor meno imprecisioni. Tra queste, forse per eccesso di modestia, non aver ricordato la collana sportiva della Longanesi, che negli anni ’80 pubblicò la storia degli sport più popolari (calcio, ciclismo, atletica, moto, pugilato, ippica e alpinismo) di cui l’autore era responsabile. Mai più replicata. Per i giovani una scoperta, per i meno giovani, un ritorno ad un giornalismo che aveva un’anima, oggi smarrita.