Papà campione russo, ingaggiato a Spoleto, dove nasce Ivan, cresciuto a Perugia, azzurro ai Giochi.
Mia. Come sono diventato lo Zar fra pallavolo e beach volley
Autore: Ivan Zaytsev con Marco Pastonesi
Rizzoli - 285 pagine - 18€
Chiariamo subito il concetto, Ivan Zaytsev, uno dei più forti pallavolisti italiani non è un soggetto facile, semmai il contrario. Alto e bello, forte e dotato di talento, trasmesso da mamma e papà, entrambi campioni rispettivamente nel nuoto e nella pallavolo. Papà Vyacheslav Zaytsev, detto Slava, ha vinto tutto sotto la bandiera dell’URSS, addirittura eletto atleta del ventennio, meglio di Jascin e Brumel e Olga Karbut, miti indimenticabili. Con un particolare, i guadagni tassati fino al 70%. A lui restano le briciole. Poi arriva Gorbaciov e tutto cambia. Si aprono le frontiere e Slava approda in Italia. Sotto l’ala di Pittera, uno dei geni della panchina. Nel 1988 nasce Ivan che diventa una specie di laboratorio del padre. Ovvero volley da mattina a sera, Il figlio lo chiama rompiballe e ci sta tutta. Infanzia da schifo, tra cambi di nazioni e la continuità del minivolley, anche se sogna di diventare portiere di hockey su ghiaccio. Giovinezza da vivere nel segno del tempo. Cercando di rimorchiare per necessità ormonale. Avventure e pallavolo in parallelo anche se non si direbbe. In realtà il ragazzo nonostante i rifiuti mentali e altre paturnie, cresce nel mondo e nel nome del padre. Inizia sul serio a Perugia nel 2004 a 16 anni scarsi, poi a Roma e avanti tutta, torna in Russia e poi tocca gli Emirati Arabi, nella punta del Qatar in una città chiamata Doha dove la vita è tutta avvolta nell’aria condizionata. Si cambia solo la collocazione, dall’albergo al Palazzetto, dai supermercati ai negozi. Da impazzire. L’esperienza in azzurro, dai Giochi ai mondiali. Emozioni a go-go, ma anche delusioni cocenti, sanzioni disciplinari mai digerite. Vita da azzurro, randagia e solitaria, salvo se vai in Giappone, una nazione che ama. Ashling, padre romano e mamma irlandese, è la moglie di Ivan da tredici anni, un figlio delizioso chiamato Sasha, un record per un lupo solitario come lui. Per descriverlo, ci vogliono molte pagine, come quelle scritte in collaborazione di Marco Pastonesi, un genio in questo tipo di storie.
Recensione a cura di Giuliano Orlando