Era il giorno dell'uomo più veloce del mondo, del fulmine, dell'extraterrestre venuto dallo spazio per infrangere la barriera della luce. C'è stato, o perlomeno ci siamo andati vicino. Usain Bolt si reincarna - come a Pechino nel 2008 - nel vento e vola verso il secondo oro e record olimpico consecutivo. Se pensate che sia abbastanza per una giornata indimenticabile a Londra 2012, vi siete persi quello che è successo circa un'ora prima. Perché c'è stato qualcuno che ha dimostrato addirittura qualcosa di più.
Prima di tutto che i limiti sono fatti per essere affrontati, sempre, anche quando sono lontani e invalicabili. Secondo che a quel punto ci si arriva solo se si è disposti a sputare sangue sulla terra, consumare le falangi, sentire la milza esplodere. Tutto per sfiorarli soltanto magari, perché se i limiti esistono un maledetto motivo ci sarà pure. Dannazione, essere respinti indietro è un attimo e questa è una sconfitta comunque, con onore o meno certo, ma sempre una sconfitta. Se volete chiamatela così quella di Oscar Pistorius, voi giudici severi di chi oggi si è commosso. Io non lo farò, perché a Londra c'ero e ho visto cosa è successo.
Perché è vero: l'Olympic Park si infiamma per Bolt, Blake, Gatlin e Gay. I flash che rendono gli spalti una colonia di lucciole non riescono nemmeno, data la velocità dei soggetti in questione, a immortalare a dovere i campioni di Giamaica e Usa. Ma il brivido del giorno lo si prova prima. Alle 20.35 per l'esattezza, ora locale, quando un ragazzo di 25 anni si posiziona in partenza della semifinale dei 400 metri. Le gambe non ce le ha, ha due strani arnesi da sempre sotto accusa, perennemente sbugiardata dai dati, di aiutarlo in qualche modo. Peccato che quei cosi bisogna saperli usare e se facessero volare Oscar davvero più del dovuto, forse Pistorius non sarebbe il solo e primo atleta biamputato a partecipare alle Olimpiadi.
Bastava questo traguardo. Insieme alle battaglie per arrivarci, alla determinazione, a quell'obiettivo inseguito in ogni sede e in ogni attimo. Ha voluto e creduto di fare di più. Si è qualificato alla semifinale, con un tempo assolutamente onorevole. Ha gareggiato con i "normali" e ha dato l'anima. Risultato? Ultimo, senza appelli possibili contro madrenatura. Ma a fare un dispetto alla sorte, che infame ti può togliere entrambe le gambe a soli 11 mesi di vita, ci ha pensato l'Olimpiade di Londra 2012.
Ho visto il suo arrivo, in ritardo rispetto a tutti gli altri in gara. Ho visto il pubblico che lo aspettava, che lo applaudiva anche da ultimo. Perché il cronometro non c'entra proprio più nulla. Dov'è lo sport? C'è altro, c'è di più. Pistorius non ha fatto i Giochi per partecipare e nemmeno per i disabili di tutto il mondo. Li ha fatti per dimostrare che poteva competere con tutti. Ci è riuscito e chi ha vinto la sua semifinale (Kirani James) gli ha chiesto la pettorina, come fosse il Messi della corsa. Il resto è per chi commenta da lontano, come ha detto la mamma del sudafricano qualche anno fa: " Perdente non è chi arriva ultimo in gara, ma chi si siede e sta a guardare".