Londra 2012 ricorda al mondo perché si chiamano Giochi

Pubblicato il 13 agosto 2012 alle 08:42:31
Categoria: Olimpiadi
Autore: Piergiuseppe Pinto

Ci abbiamo provato. Sì, ci hanno provato i media italiani e quelli stranieri, persino gli stessi britannici. Abbiamo cercato un falla, un difetto, anche solo un neo. Qualcosa che non va. Prima di partire per Londra ho letto di tutto: "La città non è pronta: le metropolitane non reggeranno", o "Ci sono pochi militari. Non sono nemmeno addestrati a dovere". Fino alle polemiche meteo: "Pioverà sempre e le gare saranno segnate". Senza dimenticare: "Fa troppo caldo, l'Inghilterra non è abituata". Si parla e si sparla quando arriva un'Olimpiade, è normale. Ma dopo 17 giorni passati nella capitale inglese, mi prendo la serena responsabilità di dire che era praticamente impossibile fare di meglio.

Partiamo dall'inizio. Un giornalista giovane e dall'inglese "balbettante" arriva in una delle principali città del mondo per seguire i suoi primi Giochi. Aiuto: "Cosa dirò? Come mi muoverò? Dove riuscirò a lavorare?". In Inghilterra - sarà un'illusione o meno - ma sembrano tutti come te. Tutti da fuori, tutti lanciati sul campo. Estrapoli le prime informazioni, raggiungi la tua dimora. Poi parti verso le "venues" olimpiche. Non puoi perderti, è impossibile. Ci sono insegne ovunque, a ogni metro. Correlate da simpatici giovani (ma anche anziani, madri, ingegneri...) di ogni paese che con manoni giganti di polistirolo ti indicano la via. Replicano a italiani, francesi, spagnoli, coreani che parlano gesticolando. Come non bastasse, interagiscono con la folla, fanno battute, invitano all'ordine con simpatia. A ogni ora del giorno e della sera, sotto il solleone come sotto il diluvio. A loro il mio personalissimo Oscar di questa Olimpiade.

Poi ci sono i poliziotti, i militari. L'ordine era quello di non far sembrare Londra una città sotto assedio. Riuscito, anzi di più. Ho visto uomini in divisa ballare la samba con dei ragazzi brasiliani all'uscita di una partita di volley, altri farsi fotografare nella "posa Bolt" insieme ai passanti. Tutti con il sorriso, disponibili. Persino ai giapponesi e ai loro scatti maniacali con qualunque cosa sappia di England.

Ma il clima di festa, questo celebre spirito olimpico, si respira. E' diffuso nell'aria. Non ho buttato una cicca di sigaretta per terra, benché i cestini scarseggiassero per la paura attentati. Esattamente come quando si dice che un branco possa trascinare nell'eccesso, qui è accaduto il contrario.  

Un fiume di gente organizzato, sorridente. C'è chi canta, chi balla, chi cammina sotto la pioggia per ore e non bestemmia. Ci sono code ordinate e velocissime. Ci sono i volontari, dediti alla loro missione. Una reale sbronza di Giochi. Forse eccessiva, è vero, ma in fondo 17 giorni ogni quattro anni si può fare. Scoprendo, noi amanti del pallone malato di calcioscomesse e polemiche, che fa anche molto bene.

P.s. Un'unica polemica: nel 2012 i giudici non possono ancora favorire l'atleta di casa. L'argento di Roberto Cammarelle dopo aver dominato la finale è una vergogna. Al Cio l'arduo compito di non ripeterla mai più.