FONDI. Dopo un digiuno di quattro anni, l’Italia pugilistica riporta nella bacheca del professionismo, una cintura mondiale. Merito di un Michael Magnesi (18) quasi perfetto che lo ha conquistato per la sigla IBO superpiuma, costringendo alla resa quasi allo scadere del quinto round, il cosfidante ruandese Patrick Kinigamazi (32-2), che nella lunghissima carriera non aveva mai sopportato una sconfitta così bruciante. Dato il merito al giovanotto di Palestrina, è obbligo ricordare l’allenatore Mario Massai e l’organizzatore Davide Buccioni. Il primo, tecnico di lungo corso ha fatto compiere al neo campione un bel salto di qualità, presentando sul ring di Fondi (Latina), un Magnesi di nuovo conio: più attento in difesa e mobile sul tronco, meno avventato in attacco e con un disegno tattico preciso: sinistro al fegato e gancio al bersaglio alto, un colpo che arriva tra mento e orecchio, toccando i centri nervosi, con effetto devastante. Il destro definitivo arrivato a meno di 30” dal termine del quinto round, non è stato casuale, ma il risultato di un lungo esercizio in palestra. Kinigamazi ha pagato l’età (37 anni), la militanza di ring che ha toccato i 15 anni, un tempo decisamente lungo e la qualità e quantità offensive espresse dall’italiano, presentatosi al top della condizione. Il ruandese, l’avevo anticipato, nelle ultime stagioni era meno esplosivo di quando e pur non essendo un picchiatore imponeva ai rivali un ritmo asfissiante, difficile da controbattere. Più o meno quello che gli ha imposto Magnesi. Match molto lineare, con Magnesi sempre in grado di anticipare l’avversario in virtù della maggiore velocità e precisone di braccia. Kinigamazi ha tentato più volte di uscire dall’assedio, portando colpi in serie, senza riuscire ad essere preciso come il suo avversario. Il primo segnale era arrivato al terzo round, sempre col destro messo a segno al viso del rivale, costretto al conteggio. Si era rialzato subito e addirittura nel quarto sia pure d’una sfumatura, poteva anche farsi preferire. Lo sforzo purtroppo per lui, gli è costato la sconfitta, giunta nella ripresa successiva. Bene ha fatto l’arbitro svedese Mikael Hook, fino al quel momento praticamente disoccupato, vista la grande correttezza dei pugili, a fermare Kinigamazi, le cui gambe apparivano malferme dopo il conteggio, anche se intendeva riprendere, come ogni guerriero del ring, che non concepisce la resa. Certamente non deve essere una bella sensazione, dopo quindici stagioni di combattimenti, con due sole sconfitte sempre ai punti. La seconda persona che ha costruito questa impresa è Davide Buccioni, l’organizzatore dell’evento, che questa sfida l’ha cercata e realizzata. Il promoter romano ha un rapporto con tutti i suoi pugili che va oltre la solita conoscenza. Buccioni vive con intensità ogni momento della loro attività, da appassionato e tifoso. Adesso che è arrivata la cintura mondiale, a distanza di 4 anni, quando un altro romano, il supermedio Giovanni De Carolis (28-9-1), 36 anni, ancora in attività, che la conquistò il 9 gennaio 2016 sul ring di Offenburg, battendo il tedesco Vincent Feigenbutz (32-3) ko all’11° round, per la WBA, difendendolo il 16 luglio a Preuzlauer Berg, sempre in Germania, pareggiando contro Tyron Zeuge (24-1-1). A distanza di quattro mesi, il 5 novembre 2016 a Postdam, dovette cederla allo stesso Zeuge, che si impose per ko nell’ultimo round, con la situazione in equilibrio. Magnesi ha raccolto il testimone e da quanto si è visto, potrebbe trattarsi di regno a non breve scadenza, con l’opportunità di andare a mettere i guantoni anche in altre sigle. Statisticamente Magnesi è diventato il 31° iridato di casa nostra, per quanto riguarda i campioni delle sigle riconosciute della FPI. Che sono: 1) Primo Carnera, 2) Mario D’Agata, 3) Duilio Loi, 4) Sandro Mazzinghi, 5) Tore Burruni, 6) Nino Benvenuti, 7) Sandro Lopopolo, 8) Bruno Arcari, 9) Carmelo Bossi, 10) Franco Udella, 11) Rocky Mattioli, 12) Vito Antuofermo, 13) Loris Stecca, 14) Patrizio Oliva, 15) Gianfranco Rosi, 16) Sumbu Patrizio Kalambay, 17) Maurizio Stecca, 18) Francesco Damiani, 19) Valerio Nati, 20) Massimiliano Duran, 21) Mauro Galvano, 22) Giovanni Parisi, 23) Silvio Branco, 24) Vincenzo Nardiello, 25) Michele Piccirillo, 26) Emiliano Marsili, 27) Stefano Zoff, 28) Cristian Sanavia, 29) Giacobbe Fragomeni e 30) Giovanni De Carolis. Nella storia ci sono altri cinque italiani che hanno conquistato la cintura WBU, sigla fondata nel 1995 da Jon W. Robinson ad Atlanta in Georgia (Usa), che ha sede in Germania, mai riconosciuta dalla FPI. Si tratta di Alessandro Duran, Luigi Castiglione, Agostino Cardamone, Vincenzo Cantatore e Antonio Perugino. Per Davide Buccioni, la conquista del mondiale da parte di Magnesi, significa una tappa importante ma solo di passaggio e non certo il traguardo, dopo il quale puoi riposare. Nella scuderia dell’organizzatore ci sono molti cuccioli che stanno affilando le unghie per salire in alto e in fretta, oltre ad un terzetto guidato dal piuma mancino Mauro Forte, altro romano di alta qualità, dal medio Khalil El Harraz e il superwelter Damiano Falcinelli in rampa di lancio. Da notare quanto Buccioni sia attento alla scelta degli avversari a cominciare da Magnesi, guidato con cautela. Tenendo conto della generosità del laziale, lo ha fatto crescere scegliendo con grande acume gli avversari e arrivando al mondiale al momento giusto contro un avversario giusto. Altrettanto farà con Mauro Forte, un gioiellino da far salire con giudizio. Nel frattempo si gode la soddisfazione di avere riportato in Italia una cintura mondiale, che mancava di quattro stagioni.
Nel programma della BBT Boxing Team in collaborazione con la A&B Events di Alessandra Branco, moglie di Michael Magnesi, altri quattro incontri hanno completato la serata. Il più spettacolare è stata quello tra i supergallo Alex Ferramosca (3-1), 37 anni, passato pro nel 2018, dopo lunga attività in azzurro, nel 2012, sfiora la qualificazione per Londra, perdendo ai mondiali di Baku in Azerbajan, contro l’ispano De La Nieve per un punto. Vanta quattro titoli nazionali, tra il 2005 e il 2015 e Muhamet Qamili (2) albanese residente a Roma, Che sotto la bandiera del suo paese natale, ha disputato europei e i Giochi Olimpici Giovanili, oltre ad aver combattuto in nazionale. Nonostante i vent’anni ha alle spalle oltre 60 incontri in maglietta e questa esperienza gli ha permesso di imporsi sul mancino emiliano di nascita, toscano di residenza. E’ stata una sfida molto equilibrata che Qamili ha fatto sua in virtù di una maggiore consistenza atletica, con un fisico da piuma. Il successo gli vale l’ingresso in semifinale del torneo WBC-FPI. Per il superwelter Damiano Falcinelli (13), il rientro dopo undici mesi di sosta forzata, è stato più che positivo. Non tanto per la relativa resistenza del test, il brasiliano Idiozan Matos (36-20), stagionato globetrotter, rispuntato dopo cinque anni di silenzio, avendo preso residenza da alcuni mesi nel Lazio, che ha dato quanto aveva, dimostrandosi generoso fin che il fiato ha retto, quanto per la dimostrazione del romano di avere molte frecce nell’arco che dovrebbe portarlo a tempi brevi verso il traguardo tricolore. La sfida è si è conclusa al terzo round, dopo che Matos aveva fatto da ascensore nella precedente ripresa. Chi ha rischiato di interrompere la striscia vincente è stato il supermedio senese Simone Bicchi (4), 30 anni, contro il kosovaro Nikola Mancic (1-9-1), 27 anni, residente in Serbia, pro dal 2018, che nel quinto round trovava un destro insperato che mandavano al tappeto il toscano e pur rialzandosi appariva in grande difficoltà. Nella sesta e ultima ripresa, solo l’orgoglio gli permetteva di non cedere e ottenere una vittoria giusta ma poneva anche l’interrogativo di una fragilità per niente tranquillizzante. Nessun rischio ha corso il medio locale Yuri Lupparelli (6), 31 anni, passato pro nel 2018, che ha offerto ottima boxe e nulla ha potuto il serbo Sladjan Dragisic (5-22-2) se non affidarsi a gambe e tronco, per evitare lo stop prima del sesto e ultimo round.
Giuliano Orlando