Sono passati quattro anni dalla sua ultima panchina ma Alberto Malesani si tiene stretti i gradi di allenatore. In un’intervista al Corriere dello Sport confessa: “Il calcio è stato la mia vita e mi manca. Ho un vuoto ma a quanto pare io non manco al calcio: è caduta la stima nei miei confronti, mi ritengono a fine corsa e qualcuno ha voluto che la mia carriera finisse, anche se le colpe principali sono le mie. E aggiungo che i social mi hanno rovinato”.
Dopo l’esperienza con il Sassuolo non sono arrivate chiamate, colpa dei video virali? “Dall'analisi che mi sono fatto credo di aver sempre lavorato bene, con spunti avveniristici e con idee innovative e non quelle trite e ritrite delle quali sento sempre parlare. Il calcio è una ricerca quotidiana e magari non avendolo saputo spiegare sono finito per diventare famoso per quelle cazzate sui social. Non è che non mi senta capito, ma confesso che pensavo di finire meglio la mia carriera. Pensavo di meritare di finirla meglio. Probabilmente ho grosse colpe io per le scelte sbagliate che ho fatto, avrei dovuto farne altre”.
Il problema secondo Malesani è tutto fondato sulla percezione: “Io sono tra quelli che non volevano chiudere, sarei un bugiardo se dicessi il contrario. Ho fatto per la prima volta dei sondaggi per capire come mai nessuno mi chiami più ed è emerso che è caduta la stima nei miei confronti, che qualcuno mi ritiene a fine corsa o che ha voluto che la mia carriera finisse, anche se io non ho nomi e cognomi da fare. Le colpe principali sono mie, il mio sistema di lavoro non è adatto a esperienze brevi, il mio modo di fare e insegnare calcio ha bisogno di più tempo, ma detto questo aggiungo che i social mi hanno rovinato”.
Malesani punta il dito contro il mondo di Facebook, Twitter e Instagram: ”Sono stato giudicato per le immagini e non per il lavoro che ho fatto sul campo come dovrebbe essere. Le mie esternazioni e il mio modo di essere e di evidenziare la passione per il calcio sono stati ripresi dai social; di conseguenza sono stato deriso e sbeffeggiato. Non ci sono altri motivi, e come se il calcio si fosse dimenticato di me, cosa ho fatto di male?”.
L’ex allenatore tra le altre di Chievo, Parma, Verona, Genoa e Palermo affida alcuni consigli ai suoi colleghi: “La gestione è una delle componenti principali del calcio, se uno non sa gestire lo spogliatoio non può fare l'allenatore. A me danno tremendamente fastidio gli scimmiottatori. Va di moda il calcio di Guardiola? Bene, si fa di tutto per scopiazzarlo. Ma è un errore, perché ognuno deve esprimere se stesso, rispettare i valori tecnici e tattici dei propri giocatori. Tu puoi girarla come vuoi, ma se non hai qualità dove vuoi andare. I guru nel calcio non esistono. Ora sento parlare di tiki taka, di calcio circostazionale, di come si devono allenare i calciatori. È tutto sbagliato, mi viene da sorridere, perché gli allenatori devono pensare invece a come allenarsi. Come farlo? Devono crearsi anche loro un menù e una didattica da seguire quotidianamente. Il loro futuro sarà questo e sentendomi ancora un allenatore, parlo pure per me, anche se io su questo menù e sulla didattica ho cominciato a lavorare da tempo”.
Tanti allenatori, una volta detto addio al campo, si sono reinventati come opinionisti: “Mi hanno chiamato in tanti ma dopo tre volte ho smesso di andarci. Non ce la faccio a criticare gli allenatori, magari non sapendo come lavorano e in quale realtà lavorano. Per come intendo io il calcio la figura dell'opinionista mi sembra una contraddizione”.