In una lunga intervista esclusiva pubblicata sulla Gazzetta dello Sport, il ct della nazionale Roberto Mancini ha parlato della sua esperienza e delle sue ambizioni sulla panchina azzurra, dei giovani azzurri più promettenti ma anche di temi più scottanti come il razzismo e più intimi come la malattia del suo amico Gianluca Vialli.
SU BARELLA - "Lo dicevo a Tardelli a Coverciano che gli assomiglia. Ha qualità tecnica, tiro, non perde palla, la prende di testa nonostante non sia alto, non molla mai, si inserisce ma deve segnare qualche gol in più. per essere un giovane con poche partite in A, ha una padronanza del ruolo molto importante. Un modello per quei giovani che hanno tutto tranne quel qualcosina in più da trovare dentro per il salto di qualità".
SU ZANIOLO - "Oggi fa il trequartista, ma per potenza atletica lo vedo anche a tutto campo, alla Pogba".
SUL CAMPIONATO - "Il campionato non è chiuso: il Napoli non deve mollare, anche se credo che alla fine vincerà la Juve".
SULLA NAZIONALE - "Sacchi ha cambiato il calcio, ma è stato un evento eccezionale, di quelli che capitano ogni 20-30 anni, appunto. Noi stiamo seguendo quella linea, anche senza fuoriclasse: una squadra che faccia sempre gioco e attacchi con continuità, sperando che fra vent’anni se ne possa parlare come di un qualcosa di altrettanto innovativo".
SUL RAZZISMO - "Gli ululati e i fischi sono cose assurde, e i giocatori in campo potrebbero fermarsi. Noi italiani abbiamo un grande cuore: dobbiamo seguirlo perché le persone vanno aiutate, come successe a mio padre quando emigrò in Germania per lavorare".
SU GIANLUCA VIALLI - "Gli sono sempre stato vicino, non abbiamo mai smesso di sentirci. Ma della malattia non abbiamo parlato. Io non ne avrei avuto la forza, lui non lo ha fatto e ho rispettato il suo silenzio. C’è una cosa che non gli ho mai detto: per me Gianluca è sempre stato un esempio, da quando ci conosciamo, per l’impegno e la serietà con cui faceva le cose".