The importance of being Mario Balotelli

Pubblicato il 29 giugno 2012 alle 16:22:11
Categoria: Nazionali
Autore: Piergiuseppe Pinto

Lancia la maglia della propria squadra per terra come fosse una chitarra elettrica da spezzare in due, distrugge auto costosissime per il brivido dell’eccesso, cerca risse senza senso in campo e nelle notti di Manchester. E’ capace di certi assoli in notti di giugno, da far pensare che il calcio sia davvero un’arte e lui il maestro baciato da Dio. Un predestinato del pallone, nato coi piedi buoni e il fisico scultoreo (che fisico, c’ha ragione!). Non solo, italianissimo ma di colore, per aggiungere una piacevole nota d’eccezione alla maglia azzurra. Quella che ha perso e riconquistato di continuo, messo da parte per questioni “etiche”, ripescato sempre per evidente superiorità tecnica e atletica. Fosse solo questo Balotelli sarebbe un campione come altri, macché, Super Mario è oltre perché rappresenta - in tutta la sua follia - la variabile impazzita di un mondo drammaticamente prevedibile e piatto.

Mettetevi davanti al piccolo schermo, togliete il volume e provate a recitare le dichiarazioni dei protagonisti del nostro calcio. La verità è che non vi servirà molta fantasia: “Sono contento per il mio gol, ma l’importante è stato conquistare i tre punti”, “Abbiamo giocato una buona gara, però loro sono stati più cinici”, fino alla gettonatissima nel finale di stagione: “Ci aspettano 8 (ma anche 9/10/11 perché no 20?, ndr) finali”. Aiuto. Balotelli raccoglie l’SOS e fa gracchiare la puntina del giradischi. Se qualcuno non gradisce, fatti e problemi suoi. Perché Mario fa quello che vuole, perché non conta solo vincere, conta conquistare l'attenzione della folla. E quando non può farlo con i gesti in campo e i limiti della dialettica affiorano, nonostante come maestro/nemico abbia avuto all’Inter José Mourinho, il giovane cresciuto a Brescia supplisce con quelle che qualcuno ha definito “mattane”.

Una al mese, già, e ce ne è per tutti i gusti: ha indossato per "Striscia" la maglia del Milan (per il quale non ha mai nascosto il tifo, nonostante sia cresciuto in nerazzurro), gettato per terra la sua in una magica notte di Champions contro il Barcellona sfidando a muso duro tutto San Siro, distrutto un’Audi A8 appena arrivato a Manchester. Preso a cazzotti con un compagno del City (Boateng), rifilato un calcione volante a un avversario in Europa League e distribuito gomitate qua e là. E ancora, coltivato flirt con stralette di ogni tipo, incendiato casa con dei fuochi d’artificio, tirato freccette contro i ragazzi delle giovanili del City con annessa giustificazione: “Mi stavo annoiando”.

Roba da “mononeurone”, “immaturo”, “bad boy”, hanno scritto in Italia e all’estero. Macché, roba da rockstar pura. Anarchico, strafottente ed esagerato. E come ogni icona che si rispetti, straordinariamente dotato: la Germania ha il segno delle sue dita incise sulle guance. Un assolo controcorrente in un panorama di noia.