Se sei a bordo vasca, appassionato di nuoto oppure un semplice appassionato di sport e fai correre la mente alla voce “grandi imprese”, sono due i nomi che ricordano antiche ed esaltanti imprese: Michael Phelps e Mark Spitz. C’è però una differenza sostanziale nel definire i due atleti che sono usciti dalle rispettive esperienze olimpiche con una quantità di medaglie d’oro tali da entrare di diritto nella leggenda. Michael Phelps, in un certo qual modo ha “fatto il suo dovere”, ovvero è arrivato ai Giochi Olimpici da favorito ed ha “riscosso dividendi” dal suo evidente strapotere fisico e tecnico. Su Mark Spitz, invece, va fatto un discorso diverso: arrivò alle Olimpiadi di Monaco, nel 1972, come uno dei componenti della squadra americana, ma non certo destinato a recitare il ruolo di primattore. Eppure, al termine di una impresa sportiva senza precedenti, Spitz ripartì per l’America con sette, dicasi sette, medagliaeoro al collo e con molteplici apprezzamenti da parte di tutti. Diversi non esitarono a definire l’esaltante ascesa di Mark Spitz come l’evento che salvò una delle edizioni olimpiche più tristi, funestata dall'attentato terroristico portato da alcuni dissidenti palestinesi che provocò la morte di due atleti della squadra israeliana, e momenti tristemente indimenticabili per i nove che furono tenuti in ostaggio. Mark Spitz, nato a Modesto, in California, il 10 febbraio del 1950, prende confidenza col nuoto nei quattro anni trascorsi alle Isole Hawaii. E’ il padre Arnold a far nascere nel giovane Mark la passione per la disciplina. Il nuoto comincia a diventare una cosa seria per Mark quando, a nove anni, incontra coach Sherm Chavoor alla Arden Hills Swim Club. Il padre vede del talento nel figlio e preme affinché dia sempre il meglio per diventare il numero uno. Mark Spitz si trasferisce a Santa Clara dove entra a far parte di uno dei più prestigiosi Swim Club.
La personale bacheca del ragazzo di Modesto inizia a riempirsi: nel 1967 vince 5 ori ai giochi Panamericani e stabilisce tutti i record della categoria Juniores. Con la convinzione a mille, nel 1968 Mark Spitz parte per le Olimpiadi di Città del Messico. Dichiara di voler vincere sei ori e di cancellare il record di 4 stabilito nel 1964 a Tokyo da Don Schollander. E’ talmente determinato che arriva a definire “un affronto alla mia classe” il solo pensiero di arrivare secondo. Purtroppo per Spitz, però, le cose vanno diversamente: raccoglie un argento ed un bronzo nelle gare individuali e due ori con le staffette. Delusione cocente che Mark Spitz dimentica sottoponendosi ad allenamenti durissimi. Entra alla Indiana University allenato da Don Counsilmann. Alla vigilia di Monaco 1972 è però più cauto. Ma le porte della leggenda, come noto, si stanno aprendo al suo cospetto. Il 28 agosto inizia il capolavori vincendo i 200 metri farfalla. Sulle ali dell’entusiasmo guadagna l’oro nei 200 metri stile libero e non fallisce nemmeno la sua gara preferita: i 100 metri farfalla. La “prova del nove” arriva subito dopo: i 100 stile, il suo “lato debole”. Ma l’entusiasmo e la convinzione escono rafforzati dai tre ori già vinti: Mark Spitz è puntualissimo all’appuntamento con il quarto oro che arriva, tra l’altro, con tanto di record.
E’ questo il momento che il nuotatore americano scolpì nella sua mente. Molto anni dopo ebbe a dire: «Sono convinto di essere riuscito a compiere una grande impresa perché dopo i primi tre ori, nella testa dei miei avversari vi era un'unica preoccupazione e un un'unica domanda: “Chi di noi arriverà secondo?”...». Ma non finisce qui, perché Mark Spitz fa parte delle tre staffette “Made in Usa” che lasciano le briciole agli avversari: 4x100 e 4x200 stile libero e 4x100 misti. Sette gare, sette ori: Mark Spitz diventa l’eroe di Monaco 1972. Un grande atleta o, come qualcuno sottolinea in quei giorni, un vero “extraterrestre”. Giorni indimenticabili che si chiusero nel peggiore dei modi: alloggiato a pochi metri dalla delegazione israeliana, Mark Spitz, di origini ebree, visse sulla propria pelle la tragedia dell’attentato al punto che, conclusi i Giochi, annunciò il suo ritiro: «Cosa potrei fare di più? Mi sento come un fabbricante di automobili – si giustificò di fronte all’insistenza dei giornalisti - che ha costruito una macchina perfetta». L’eco della sua impresa sportiva, però, non cessò nemmeno dopo il suo ritiro. Mark Spitz divenne uomo-immagine di prestigiosi sponsor e fu contattato anche da produttori cinematografici che lo fecero apparire in alcuni film. Mark Spitz cercò di stupire il mondo in una seconda occasione: a 42 anni dichiarò di voler entrare nella squadra USA per le Olimpiadi di Barcellona 1992. Partecipò ai Trials, ma non ottenne il tempo per rivivere il sogno a cinque cerchi.