È difficile capire quanto forte possa essere la passione per il basket finché non si vedono all’opera giocatori che si impegnano nel maxibasket, ossia la pallacanestro dai 40 ai 70 anni e passa. Il nome maxibasket richiama il minibasket; il ‘maxi’ è un ritorno alla gioia e alla purezza del ‘mini’, agonismo allo stato puro, il gioco per il gioco. In giro per il mondo le squadre azzurre delle categorie più giovani (40, 45, 50) hanno fatto incetta di medaglie d’oro e di allori internazionali, 10 titoli europei e 5 mondiali. Benissimo, ma mai finora erano state allestite squadre delle categorie più anziane, Over 65 e Over 70, che fra tre settimane scenderanno in campo per disputare i mondiali a Montecatini.
Per la verità era stata organizzata anche la formazione Over 75, ma guai fisici, esami medici, patologie varie l’hanno decimata. Perché gli avversari più tosti per giocatori dai 65 anni in su non sono gli avversari in campo, ma quelli che si trovano nei loro stessi organismi datati, diciamo così. ‘La vecchiaia è di per se stessa una malattia’, osservava Cicerone. Con l’avanzare dell’età, aumentano fatalmente rischi e malattie. Dall’artrosi alle disfunzioni della circolazione, dalla sciatica alla perdita di massa e potenza muscolare, ai guai cardiaci, sono tante le patologia in agguato, che si oppongono alla pratica del basket.
E tuttavia il basket può davvero salvare la vita. Come è accaduto a Marco Veronesi, 67 anni. Questo duemetri che si è conservato atletico, con un passato importante in serie A con Mobilquattro e Xerox Milano, si è impegnato fin da febbraio con passione e grinta negli allenamenti, riuscendo perfino a dotarsi di un buon tiro, lui che eccelleva più come rimbalzista che come tiratore. Nell’ennesimo allenamento a Verona, nel bel mezzo di una partita, Marco cade a terra a faccia in giù e rimane immobile sul parquet. Tre medici compagni di squadra (Papetti, Cavallini e Bortolozzi) subito lo assistono, si mette in azione il defibrillatore, e un preparatore atletico, Paolo Mazzon, gli pratica a regola d’arte il massaggio cardiaco.
Il cuore riprende a battere, risuona un applauso dei giocatori in campo, poi via in ambulanza all’ospedale veronese di Borgo Trento, nel reparto di Rianimazione. Infarto acuto, è la sentenza. Chi aveva organizzato le formazioni azzurre Over 65 e 70 è distrutto, e sente pesare la responsabilità di quanto è successo. Ma sono gli stessi medici a sdrammatizzare l’accaduto e a spiegare che Marco Veronesi in realtà è stato salvato dal basket, dal fatto di trovarsi in palestra e di essere stato subito assistito, e bene. Lo sforzo dell’allenamento ha probabilmente favorito l’ischemia. Ma l’infarto sarebbe comunque arrivato – spiegano – e se lo avesse sorpreso mentre stava guidando, o mentre era solo a casa, Marco non avrebbe avuto scampo.
Il lieto fine è arrivato in capo a pochi giorni. Oltre alla coincidenza favorevole di essere stato subito soccorso nel modo migliore, Marco ha avuto anche la fortuna di essere curato in un reparto di Rianimazione all’avanguardia in campo internazionale, con attrezzature modernissime e medici esemplari. Tanti casi favorevoli, come si vede. Ai quali se ne aggiunge un altro: era stato proprio Marco a indicare Verona come sede ideale per gli allenamenti, visto che è facilmente raggiungibile da altre regioni sia in treno, sia in autostrada. Ci piace pensare – come recita un adagio popolare - che “caso” è il nome che Dio si dà quando vuole agire in incognito. Marco Veronesi sarà a Montecatini con i suoi compagni azzurri. Certo, non potrà giocare – almeno per quest’anno - ma sarà accanto a loro a tifare e a condividere la loro avventura mondiale e i loro sogni.