Nel Milan che vince comodamente a Cesena e riconquista la vetta solitaria della classifica, a una settimana dalla sfida scudetto di sabato prossimo a San Siro contro la Juventus, c'è una nota stonata, una piccola macchia che guasta il pomeriggio rossonero al Manuzzi. Siamo al 90', il Milan sta vincendo 3-1 e manca poco al triplice fischio: Inzaghi, invocato come sempre dalla curva occupata dai tifosi rossoneri, si scalda ormai da diversi minuti insieme a El Shaarawy (tra i due ci sono 19 anni di differenza). El Shaarawy è entrato al 76', ha sostituito Robinho e ha già fatto in tempo a divorarsi un gol fatto.
Inzaghi no. Inzaghi si scalda, si scalda e basta. Fino a quando, al 91', Allegri decide che è arrivato il momento: fuori Maxi Lopez, dentro Superpippo. Solo pochi minuti, giusto il tempo di fargli celebrare le 200 presenze in campionato con la maglia del Milan. Solo pochi minuti nei quali mostra tutto il repertorio, tranne il gol: un paio di volte chiede di essere lanciato in profondità, poi urla verso i compagni che tardano a battere un corner, come se il risultato fosse ancora 0-0 e da quel calcio d'angolo dipendesse un campionato intero. E pensare che, senza le assenze forzate di Ibrahimovic, Pato e Cassano, probabilmente Superpippo non sarebbe nemmeno andato in panchina.
Inzaghi è stato, è e rimarrà un combattente, sia che giochi dall'inizio, sia che giochi per due minuti. La curva continuerà a cantare il suo nome, i tifosi del Milan lo ameranno sempre. Ma ad Allegri è doveroso rivolgere qualche domanda. E' giusto trattare Inzaghi come un giocatore utile solo a far passare i minuti di recupero? E' giusto farlo scaldare più di un quarto d'ora (non è la prima volta che succede) e, nella migliore delle ipotesi, farlo entrare quando la partita non ha più niente da dire e la vittoria è in cassaforte? E' giusto trattare così un attaccante che ha fatto la storia del Milan?
Probabilmente i patti tra Superpippo e Allegri sono chiari. A gennaio il giocatore avrebbe potuto lasciare i rossoneri dopo 11 anni di emozioni. Ha preferito rimanere, non se l'è sentita di andare via in un freddo inverno senza nemmeno salutare. Lui, miglior bomber italiano in Champions League (50 gol) e unico giocatore ad avere segnato in tutte le competizioni internazionali di club, non poteva lasciare così. Merita ben altro, merita un'uscita di scena con (minimo) una standing ovation. E così sarà a fine stagione, c'è da scommetterci. Ma, intanto, quegli scampoli di partita elemosinati da Allegri, come se Superpippo fosse l'ultimo arrivato, gridano vendetta. O no?
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