Il ct locale Carlos Queiroz si è lamentato in conferenza stampa per questa decisione, per la quale in realtà Nike non ha colpe, dato che viene obbligata dalle norme del proprio stato: nella fattispecie, il tecnico portoghese ed ex Real Madrid ha definito la mossa della casa statunitense (ha la sua sede a Portland) ''ingiusta, dannosa e discriminante''. Nel mentre, però, i giocatori che avevano una fornitura Nike sono stati costretti ad acquistare di tasca propria le scarpe griffate con la V nera in uno negozio di articoli sportivi russo, e vivere giornate insolite per un'atleta professionista. Nessun problema sulle maglie, fornite da Adidas, ma il caso delle scarpe iraniane è uscito al di fuori dei confini russi, scatenando l'indignazione mondiale e costringendo Nike a una rettifica a mezzo stampa. Nel comunicato, l'azienda di Portland si difende così: ''La decisione non è avvenuta una settimana fa. Nike, in quanto americana, non può fornire la nazionale iraniana dal 2015. Le sanzioni esistono da allora, e come ogni azienda statunitense, dobbiamo sottostare alle leggi federali. Legalmente - spiega Nike - possiamo rifornire i giocatori quando si trovano nei club (al di fuori dell'Iran) e firmare con loro dei contratti di sponsorizzazione: abbiamo dunque fornito a questi elementi regolare fornitura quando si trovavano nei club d'appartenenza. La legge, però ci vieta di rifornirli in club iraniani e in Nazionale: abbiamo sempre agito in questo modo, non abbiamo iniziato sette giorni fa''. Il caso, però, è esploso in maniera particolare con l'inizio dei Mondiali, e continuerà a far discutere fino alle prime apparizioni in campo dell'Iran.