Murray, l'ultimo dei "fab four"

Pubblicato il 6 agosto 2012 alle 11:10:30
Categoria: Olimpiadi
Autore: Redazione Datasport.it

Una madre ingombrante - ex maestra di tennis, sempre presente in tribuna e giudice implacabile delle sue prestazioni - una certa propensione all'ira autodistruttiva, una tenuta fisica non sempre adeguata avevano finora bloccato l'esplosione di Andy Murray ai massimi livelli del tennis mondiale. Bloccato, si fa per dire. Ventidue titoli Atp non sono aria fritta, così come il numero 2 della classifica mondiale conquistato già nel 2009, ma lo 0/4 nelle finali Slam pesava come un macigno. "Murray è sempre lì - era il pensiero comune - ma non arriva mai".

Opinione per altro suffragata dai dati. L'anno scorso lo scozzese aveva raggiunto almeno le semifinali in tutte e 4 le prove dello Slam ma, arrivato al dunque, si era sempre trovato non a festeggiare con la coppa in mano, ma a spiegare i perché di una sconfitta. I brindisi spettavano a Federer, Djokovic e Nadal, capaci di monopolizzare 29 delle ultime 30 prove dello Slam. Mancava qualcosa, insomma. All'inizio di quest'anno Murray ha scelto una guida tecnica e psicologica celebre, quell'Ivan Lendl che negli anni '80, dopo un inizio di carriera con più schiaffi che trofei, era riuscito ad affrancarsi dalla tirannia dei vari Borg, Connors e McEnroe trionfando in ben 8 prove dello Slam. Chi meglio di Lendl poteva aiutarlo a colmare quel gap, che era così piccolo nel livello di gioco, ma enorme come effetti nell'albo d'oro? Lendl il duro, Lendl il glaciale, Lendl che in campo non sprizzava certo simpatia, ma vinceva tanto, tantissimo.

L'inizio non è stato facile. La semifinale persa con Djokovic in Australia a gennaio - un sanguinoso 7-5 al quinto set - sembrava un film già visto, così come il ko con Ferrer nei quarti del Roland Garros. Ma il 2012 per Murray iniziava lì. Due Wimbledon a distanza di un mese, il secondo valido per i Giochi, erano un'occasione troppo importante, erano il momento clou della stagione, da giocare sui prati di casa e davanti alla propria gente. Spiegare come si possa passare in 30 giorni dalla vittoria in 4 set di Federer (Wimbledon classico) al dominio di Murray alle Olimpiadi (8 giochi concessi allo svizzero) non è facile. Uno cala, l'altro cresce, sì, ma non basta, perché la rivoluzione è stata totale.

Murray non solo ha dominato Federer, ma soprattutto si è ribellato al destino scritto di eterno perdente. Ha battuto il pensiero che quel destino - che tanto gli aveva dato anni prima - gli dovesse sempre presentare il conto sui campi da tennis. Un tarlo più che un pensiero, un tarlo che nasceva dal ricordo. Era il 1996, Andy che aveva 8 anni e il fratello Jamie frequentavano la scuola elementare di Dunblane, in Scozia. Sembrava un giorno come tanti, ma a metà mattina un pazzo fece irruzione nella palestra della scuola e iniziò a sparare. Andy e il fratello si salvarono nascondendosi nell'ufficio del preside, ma sedici bambini di Dunblane non giocarono mai più. Andy evita sempre di parlarne, ma siamo certi che con la medaglia d'oro al collo avrà dedicato a loro più di un pensiero.