Il Paese dei manghi con oltre 200 milioni di abitanti tra deserti e le cime più alte del mondo – Marco Rizzini – Pakistan dreaming. Un’avventura da Islamabad alle montagne del Karakorum – edicicloeditore – Pag. 230 -Euro 17.00.
di Giuliano Orlando
Il Pakistan, un mondo sconosciuto eppure affascinante, ricco di contrasti, rovinato da eventi che hanno cambiato il rapporto tra nazioni, dopo il tragico 11 settembre 2001, con l’attentato alle Torri Gemelle di New York e l’accoglienza di Osama Bin Laden in quella terra. Il viaggio di Marco Rizzini e la compagna Federica è una provocazione controcorrente, che merita il plauso del lettore, al quale si aprono porte sconosciute e sorprese a non finire. Nella prefazione viene definito il Paese dei manghi, troppo riduttivo. Una nazione infinita, nata come stato indipendente di fede mussulmana nel 1947, staccandosi dall’India degli indù, ma restando divisa nel suo stesso corpo, staccando la parte occidentale diventato Bangladesh. Confini che fanno venire i brividi: India, Iran, Afganistan e Cina. Anche se le lingue ufficiali sono due: inglese e urdu, all’interno se ne parlano una sessantina con milioni di persone che le usano in modo esclusivo. Ci troviamo in un territorio con oltre 220 milioni di abitanti, che la Farnesina sconsiglia, ritenendolo insicuro. Marco e Federica hanno corso il rischio e sono tornati in Italia sicuramente più ricchi, dentro e fuori. Dal caldo insopportabile di Lahore dove atterrano, unici italiani nella marea di pakistani che tornano a casa, fino a Islamabad dove il sudore è il compagno che non ti lascia mai. Ma questo clima non scoraggia il terzetto italiano - con Federica e Marco c’è pure Roberto, fedele compagno di viaggio – che trova sempre il modo per arricchire l’esperienza locale parlando anche a gesti, con la popolazione. In maggioranza il dialogo è amichevole, qualche volta arcigno, sempre nel rispetto di un popolo profondamente mussulmano. Le cime himalayane sono l’apparizione di un cosmo magico e misterioso, generoso nel contempo di panorami pazzeschi e indimenticabili. Il freddo li accoglie come una benedizione, anche se i viaggi su vecchie jeep e strade antiche come le montagne che giganteggiano davanti ai loro occhi, sono una sorta di favole grottesche scritte sulle pareti infinite. Scoprendo che ai piedi di questi giganti ci sono pattuglie di escursionisti. Il segreto per la sopravvivenza di questo popolo che vive ai piedi dell’Hindu Kush e del Karakorum, facendo affidamento su questi vetusti fuoristrada che il tempo non ha scalfito, niente plastica ma solido ferro. Vita difficile, ma accettata col sorriso e la serenità di chi è felice con poco, o nulla. I contadini iniziano a lavorare prestissimo, caproni neri brucano l’erba rada, i pastori vivono in tende enormi che ospitano più famiglie. Gli ovini hanno recinti chiusi da pietre. Ci sono campi base per le spedizioni e il nostro terzetto vuole arrivare a Babusar Pass, quota 4000 metri, che unisce la valle del Kaghan con quella del Chilas. Qui è tutto spartano, dalla latrina a cielo aperto fatta di una tela cerata che si appoggia a quattro pali al resto. Ma è anche la zona del Gilgit-Baltistan, un tempo indiano, annesso al Pakistan nel 1947, che resta territorio autonomo. Dove qualche giorno prima del loro arrivo, c’è stato un attentato terroristico. Il viaggio verso il Nanga Parbat, la montagna killer è imperdibile. La traversata sul fianco della valle, ha strapiombi pazzeschi, alla guida della jeep un pakistano sdentato di età indefinibile che strilla a chi lo sorpassa, sfiorando il bordo della stradina. Un brivido senza fine. Non poteva mancare la tempesta per completare il quadro. Oltre che scoprire che per attraversare il Myanmar e la Thailandia in auto, devi pagare 2500 dollari, come il Turkmenistan. Una volta tornati a casa, la domanda d’obbligo: perché il Pakistan? La risposta è ampia e dettagliata. La più vera ritengo sia la curiosità di vedere in diretta il regno dei “cattivi”. Tutto il resto lo troverete nelle oltre 200 pagine del libro.
Giuliano Orlando