Perché dietro alla Sharapova si cela una "Guerra Fredda" in vista di Rio 2016

Pubblicato il 11 marzo 2016 alle 18:30:40
Categoria: Tennis
Autore: Piergiuseppe Pinto

Che ci crediate o meno, Stati Uniti e Russia sono tornati a giocare a chi ce l’ha più lungo. Maria Sharapova sbuca da una tenda anonima, manco fosse quella che nascondeva le segretissime caverne di Bin Laden, e con un sobrio - tutt’altro che casuale - vestito nero confessa al mondo il suo piccolo grande segreto, ma nel farlo porta a galla una nuova "Guerra Fredda" sportiva che promette di infiammare le prossime Olimpiadi di Rio 2016.

La bomba nucleare si chiama "Meldonium", anche se sarebbe riduttivo pensare che il seme della discordia sia solo questo farmaco. Prodotto in Lettonia e usato come medicinale per curare sostanzialmente problemi cardiaci, è diventato il "Gatorade" più utilizzato dagli atleti russi negli ultimi anni: su 4316 campioni esaminati nel 2015, ben 724 contenevano Meldonium (circa il 17%). Un’esponenziale diffusione tra gli sportivi professionisti dell’ex blocco sovietico che ha insospettito la Wada (l’agenzia mondiale del controllo anti-doping con sede in Canada), tanto da inserirlo nella celebre "black list" dei farmaci proibiti e considerati dopanti dal 1 gennaio 2016. I suoi benefici? Migliora le prestazioni di resistenza e accelera i tempi di recupero. Ecco cosa ha fermato la Sharapova, forse - addirittura - più di cosa l’ha spinta. Con la sua faccia angelica, in fondo, si è presentata di fronte alle telecamere da sola, senza nemmeno un legale accanto per tenerle la mano o tapparle la bocca. Non ha pianto, dato la colpa a medici e staff, nemmeno a fidanzati o genitori esigenti. Si è presa le sue responsabilità, ha ammesso l’errore e chiesto scusa. Dobbiamo dircelo, qualunque cosa si possa pensare, non siamo abituati a una scena del genere. Senza contare, che è riuscita a tenerlo nascosto per quasi un mese e mezzo ai giornalisti di tutto il mondo, i quali invece addirittura si aspettavano l’annuncio del suo ritiro.



Ma questa è un’altra storia, quello che conta qui invece sono sopratutto le tempistiche. Perché il caso Sharapova non è isolato, gli atleti russi fermati per lo stesso farmaco in soli due mesi sono numerosi e abbastanza noti. Dal ciclista Eduard Vorganov alla pattinatrice Ekaterina Bobrova, la quale con Dmitri Soloviev, forma una delle coppie leader della danza mondiale. Fino ai "last-minute": Alexander Markin, lo schiacciatore della Nazionale russa di volley, e altri due atleti del ghiaccio Semion Elistratov (short track) e Pavel Kulizhnikov (pattinaggio velocità). "Ci potrebbero essere altri casi di squalifica", ha detto, mettendo le mani avanti, il ministro dello sport russo Vitalij Mutko il giorno dopo lo scandalo Sharapova. Mentre l'inventore del Meldonium, Ivar Kalninsh, dà un'interpretazione tutta politica alla vicenda: "La Wada non adduce prove, prende solo le decisioni - afferma all'agenzia Tass - . Penso che in un certo senso sia un atto diretto verso gli atleti dell'est". Il Washington Post ha anche recuperato un'intervista che lo stesso Kalninsh rilasciò nel 2009 al quotidiano lituano Diena, nella quale spiegava che il farmaco era nato per rendere più forti i soldati durante la guerra in Afghanistan.

Ecco le prime tracce di un vero clima da "Guerra Fredda", ma se i russi sono i "cattivi" perché vengono fuori tutti adesso? Perché tutti insieme? Se questo farmaco era così dopante, perché non è stato studiato e proibito prima? Per trovare delle risposte non si può trascurare il fatto che ciò avvenga alla fine di un anno dove la Wada ha dichiarato apertamente guerra alle Federazioni sportive russe e ai loro controlli di anti-doping, con un report di fuoco nel novembre del 2015 che chiama in causa persino i servizi segreti del Cremlino. Fino alla richiesta di sospendere ed estrometterà l’atletica russa dai prossimi Giochi olimpici a Rio. E anche qui, sorge un’altra domanda: perché la Wada si sarebbe svegliata solo adesso, se - come ha confessato la stessa Sharapova - sono almeno 10 anni che si fa uso di questo medicinale? La risposta potrebbe celarsi nelle Olimpiadi di Sochi 2014, in particolare nel medagliere finale.

I russi si sono inventati quei Giochi Olimpici nel mar Nero dal niente. L’assegnazione non è stata esente da sospetti di corruzione - questa non è certo una novità, basti pensare ai recenti scandali che hanno colpito la Fifa di Blatter con l’assegnazione di Mondiali di calcio -, così come le spese gonfiate per la costruzione del villaggio olimpico. Un vero parco giochi nel deserto. Putin ha voluto trasformare un luogo di villeggiatura per russi non particolarmente abbienti, in un circo per solo poco più di due settimane e poi smantellare tutto. Una dimostrazione di forza che non poteva non essere supportata dai successi dei propri atleti. E così il medagliere finale non ha deluso: prima la Russia con 33 medaglie, più del doppio rispetto all’edizione precedente dei Giochi invernali a Vancouver nel 2010. Non solo, con gli ori che passano dai soli 3 dell’edizione canadese, ai 13 di quella russa. Un exploit probabilmente figlio del sudore e del sacrificio ma che lascia più di un dubbio. In particolare dopo le inchieste della tv tedesca Adr in collaborazione con il Sunday Times del 2014, che hanno svelato diffuse pratiche illecite di Mosca riguardanti un vero "doping di stato", innescando il clamoroso report della Wada nel 2015.



Qualcosa evidentemente difficile da digerire per gli Stati Uniti, guarda un po’ passati dall’essere la nazione regina di Vancouver per numero di medaglie (37, anche se con meno ori rispetto a Canada e Germania) a un bottino decisamente più ridotto nell’edizione tenutasi nella terra di Putin nel 2014 (con 28 medaglie, cinque in meno dei russi). Perché i prossimi Giochi promettono scintille? Perché il report della Wada dello scorso novembre ha portato la Iaaf (Associazione Internazionale delle Federazioni di Atletica Leggera) a sospendere la Federazione atletica russa dalle manifestazioni internazionali - comprese le Olimpiadi - e fra pochi giorni, la stessa Iaaf, dovrà decidere se riammetterla in vista di Rio 2016 o meno. Una decisione dagli importantissimi risvolti politici, non solo sportivi. Ecco perché il tempismo dello scandalo Sharapova e del riconoscimento del Meldonium come farmaco dopante non risulta poi del tutto casuale.

Dopo la vittoria russa del medagliere di Sochi, gli Usa non avrebbero potuto accettare un’altra sconfitta olimpica con tutte queste zone d’ombra sul tavolo. Ecco forse il perché di un risveglio così improvviso degli organi di controllo solo nella seconda metà del 2015, su pratiche - come il Meldonium - diffuse da anni. Basti pensare che agli ultimi Giochi estivi di Londra 2012, il team a stelle e strisce aveva collezionato ben 104 medaglie e 46 ori, praticamente il doppio rispetto ai 24 russi. L’idea di ritrovarsi ancora dietro nel medagliere, dopo l’edizione dei Giochi in Russia, con il sospetto di un "doping di stato" avvallato dal Cremlino è qualcosa che il Governo Usa non avrebbe mai accettato di ingoiare senza nemmeno emettere qualche urlo di rabbia.

Ora alla Iaaf una decisione che potrebbe cambiare le Olimpiadi di Rio e gli equilibri politici legati allo sport dei prossimi anni.