La famiglia Piatti, risiedeva a Cernobbio sul lago di Como, in una casa dove, aprendo le finestre vedevi Villa d’Este, l’hotel di lusso riservato ai turisti più facoltosi. Il piccolo Riccardo ne era affascinato, non tanto per l’enorme struttura, quanto per i campi da tennis, dove signori in bianco giocavano partite infinite. Quel ragazzino era rapito da quel gioco. Passione che col tempo è diventata una fede e anche la sua professione. Non chiamatelo “guru” perché non lo è, semmai indicatelo come apostolo di un gioco che ha componenti infinite e che per arrivare alla vetta devi possedere qualità particolari. Scrive nel libro: “Solo un muro divideva il nostro giardino dall’enorme parco che si estendeva dietro la villa. Mi chiedevo quanto era difficile scavalcarlo. Quando ci provai avevo dieci anni. Dopo averlo scavalcato facilmente, mi misi a correre a perdifiato. Smisi quando vidi apparire davanti a me, rettangoli rossi che luccicavano nel verde del prato. Restai ad osservare i giocatori fino a sera, incurante del tempo che passava”. Questo il primo impatto del piccolo Riccardo con l’amore sportivo della sua vita. Il suo percorso da quel giorno del muro scavalcato è sempre rimasto legato al tennis e per molti anni Villa d’Este la scuola per farlo crescere, praticando l’iter classico dell’apprendistato per diventare un buon giocatore. Una volta fatta l’indispensabile esperienza sul campo, dovette superare l’esame più difficile. Diventare maestro di tennis o avvocato, come era nei desideri della famiglia? Dalle facce dei genitori che lo accompagnano alla stazione, sembra che il figlio sia in partenza per la guerra. Invece va a Roma per scoprire il suo destino. Diventare un tecnico dello sport che ama. E lavorare sodo per ottenere risultati. La Federtennis apprezza la sua professionalità e lo inserisce nei quadri tecnici. Qualche anno dopo nasce un progetto per far crescere le nuove leve. Vengono chiamati i “Piatti boys” e si chiamano Cristiano Caratti, Cristian Brandi, Renzo Furlan e Federico Mordegan. Quattro giovani caratterialmente diversi, ma uniti dalla voglia di crescere e salire nelle classifiche non solo italiane. Il traguardo era arrivare al livello di Narciso il numero uno italiano di quegli anni. Non fu per niente facile, ma alla fine di quel progetto, aveva portato ben 25 ragazzi nati nel 1970 nei primi cento al mondo. Primato ineguagliato. Anno dopo anno Riccardo Piatti è salito a sua volta ai piani alti nelle quotazioni che si ottengono con la fiducia degli addetti ai lavori e dei campioni. Oggi il suo centro tecnico è tra i più ambiti al mondo. Leggete nel libro i nomi dei suoi allievi e capirete quanto vale questo ex ragazzino che scavalcava il muro di Villa d’Este a Cernobbio per vedere i grandi giocare a tennis. L’ultima scoperta si chiama Jannik Sinner. Ricorda: “Era il 2014 e con Max Sartori, il coach storico di Seppe, ci eravamo appena stabiliti al Lawn Tennis Club 1878 di Bordighera. Ci chiamano da Brunico per informarci che un ragazzino di San Candido in Alta Val Pusteria è da vedere, perché davvero speciale. Prometto che andò a visionarlo ma poi me ne dimentico. Ci pensa Max a farmelo vedere, invitandolo ad uno stage a Bordighera. Quando lo osservo giocare capisco che è un predestinato. Madrelingua tedesca, timido e secco, oltre che silenzioso”. Lo fa trasferire a Bordighera e la sua crescita è sensazionale. La prima classifica lo indica numero1583. Un anno dopo, nel 2019 sale 546. Il resto è nelle vittorie e nella scalata ai vertici. Nelle ultime due stagioni affronta tutti i top e non tutti lo battono. La sua crescita è inarrestabile. Riccardo Piatti illustra il suo metodo nelle ultime pagine. “Negli ultimi quarant’anni non c’è stato un giorno per cui non abbia pensato al tennis”, un testamento emblematico e chiaro.
Giuliano Orlando