A Riyad l’ucraino Usyk batte l’inglese Fury ed è re assoluto dei massimi.
Rivincita già sottoscritta. Il connazionale Denys Berinchyk campione leggeri WBO
di Giuliano Orlando
Il 18 maggio 2024 al Kingdom Arena di Riyad in Arabia Saudita, la boxe è tornata grande protagonista, restituendo a questo sport la dignità che le conviene. Il mondo dei giganti ha trovato un solo re, dopo dodici round di grande intensità e spettacolo. Dire che David ha battuto Golia non è proprio il caso. Più realistico confermare che nella sfida tra i due migliori massimi del momento, l’inglese Tyson Fury (34-1-1), 35 anni, origini Rom e irlandesi, il maggior tasso tecnico e soprattutto l’intelligenza tattica di Olek Usyk (22), ucraino di 37 anni, che calca il ring dal 2004 è stato premiato a giusta ragione, indicandolo come il re assoluto, visto che sfilando a Fury la cintura WBC e mantenendo (IBF, WBA, WBO e IBO) quelle già conquistate a spese di Anthony Joshua, la sera del 25 settembre 2021 a Londra, ha riunificato tutte le sigle. Non sappiamo quanto questa egemonia potrà durare, considerato che giocano interessi di parte. Nel 2011, l’allora giovane ucraino nato Sinferopoli in Crimea il 17 gennaio 1987, calciatore mancato, mi confessò nell’intervista fatta a Baku, in occasione dei mondiali: “Il mio primo amore è stato il calcio, ho giocato nei giovanili della Tavrija Simferopol, la squadra della mia città. Poi mi sono infortunato. Per recuperare mi hanno mandato in una palestra dove praticavano anche la boxe. Ci provai e me ne innamorai. Avevo 14 anni e da allora non ho più smesso. Spero che in futuro mi dia belle soddisfazioni”. Mai previsione fu più azzeccata. Dopo aver conquistato in maglietta il mondiale nel 2011 e l’oro olimpico a Londra l’anno dopo, oltre ad un record di 335 vittorie e 15 sconfitte, decide di passare professionista nel 2013 a 25 anni. Come ho scritto nella presentazione, nonostante un biglietto da visita così importante, la Top Rank di Bob Arum non lo ritiene all’altezza per investire sul suo futuro negli USA, rispedendolo al mittente. Torna a casa sotto la procura di Egis Klimas, lituano residente a Washington, agente di alcuni dei campioni provenienti dall’Europa dell’Est, Russia e Ucraina in particolare, mentre Alexander Ktassyuke e la K2 dei fratelli Klitshko fungono da promoter. Il suo futuro lo costruisce in Europa, bruciando le tappe nei cruiser. Il 7 settembre 2016 a Danzica in Polonia, scalza il locale Glowacki, fino ad allora imbattuto (26), diventando campione del mondo WBO. Sei difese sempre in trasferta, per la maggior parte in Inghilterra, con tappe a Riga e Mosca, si appropria di tutte le cinture e finalmente approda negli USA da campione. Prende residenza a Oxnard in California e inizia la seconda parte della carriera da peso massimo. Si costruisce atleticamente nella categoria superiore con pazienza e discernimento. La sfida negli Emirati Arabi, secondo gli allibratori e di quasi tutti gli esperti era una missione impossibile. Sbagliando i conti. Una vittoria memorabile per molteplici ragioni. Ha battuto il miglior Fury, presentatosi preparato come mai in passato, consapevole che non poteva permettersi la sottovalutazione come fece contro Francis Ngannou, camerunense residente negli USA, con licenza francese, sempre a Riyad. In quell’occasione Fury vinse di misura, venne contato e fu uno spettacolo indecoroso. Per affrontare Usyk ha svolto una preparazione come mai in passato. Compreso il nutrizionista e sparring mancini di qualità. Tutto questo non è bastato. Usyk ha vinto ed è stato vicino alla clamorosa affermazione prima del limite. E’ accaduto nell’ultimo minuto del nono tempo. Usyk evita il lungo sinistro di Fury appoggiato alle corde e lo incrocia con la serie di quattro colpi in sequenza, l’inglese tenta inutilmente di fuggire, viene raggiuto da altri pugni pesanti e resta in difesa passiva. L’arbitro lo conta, lui si rialza e termina il round facendo cenno di essersi ripreso bene. Gli ultimi tre tempi hanno lo stesso cliché: l’inglese tenta di tenere l’ucraino a distanza, ma le sue braccia non hanno più la velocità dei primi scambi, le gambe sono lente e deve stare quasi sempre in difesa. Usyk, una volta tamponata bene la ferita al sopracciglio destro dal settimo tempo, appare più fresco e sempre preciso. Infila destri e sinistri nella guardia di Fury che non è passivo, ma non riesce ad anticipare l’avversario. Impressionante è la coordinazione offensiva del mancino ucraino, il cui volto non tradisce fatica, nonostante da diversi round soffra per un problema alla mascella, che risulterà comunque non lesionata. Il risultato finale appare scontato per Olek, messo in discussione dal giudice canadese Craig Metcalfe con uno sconcertante 114-113 per Fury, mentre lo spagnolo Manuel Palomo (Spagna) 115-112 e Mike Fitzgerald (USA) 114-113 premiano Usyk. Per quello che può valere, avevo quattro punti per l’ucraino, segnando 10-8 il nono tempo e dando le ultime quattro riprese sempre al campione assoluto. Al termine dell’ottava ripresa avevo un punto per Fury. Dettagli in un contesto dove i massimi hanno ritrovato un campione unico, dopo oltre vent’anni di spartizione tra le sigle. Non solo, la vittoria di Usyk è anche il ritorno al vertice assoluto dell’Ucraina, che proprio Tyson aveva interrotto il 28 novembre 2015, battendo Wladimir Klitsckho sul ring di Dusseldorf in Germania. Quella sconfitta segnava lo stop ad un dominio iniziato col fratello Vitali nel 1999, quando tolse all’inglese Herbie Hide la cintura WBO. Vitali e Wladimir misero assieme qualcosa come 45 incontri titolati, riportando in Europa il vertice dei giganti, prima di allora esclusiva o quasi dei pugili statunitensi, in particolare di colore, salvo poche eccezioni. Usyk ha vendicato, sportivamente parlando quella sconfitta, battendo proprio l’autore dell’impresa, nove anni dopo. Se per molti è stata una sorpresa, facendo riferimento a misure e peso: altezza superiore di 15 cm., idem l’allungo di 18 cm, e quasi 19 kg. in più di Tyson, personalmente ho sempre pensato che Usyk avesse tutte le prerogative per vincere. Ognuno con le proprie caratteristiche. Marciano, mediomassimo naturale, ha battuto rivali che lo sovrastavano, ma non possedevano la sua carica agonistica, la resistenza e la granitica capacità di reggere i colpi. Risaputo che nel contratto figurava la rivincita, fissata sempre nella capitale degli Emirati il 12 ottobre, quindi avremo Usyk-Fury 2, e si potrebbe arrivare alla bella, imitando le serie dei Rocky. Nella mega riunione non sono mancate le sorprese. La più clamorosa riguarda la sconfitta di Joe Cordina (17-1), che difendeva la cintura IBF superpiuma, contro l’irlandese del Nord, Anthony Cacace (22-1), a sua volta titolare IBO, titolo conquistato a fine settembre 2022 a spese di Magnesi in quel di Manchester per split decision. Sulla carta pronostico da uno fisso. Sul ring è accaduto il contrario, complice l’errore marchiano dell’arbitro Bob Williams nel corso del terzo round. L’arbitro chiama il break che Cacace non rispetta, lasciando partire due colpi pesanti al viso di Cordina, impreparato a questa scorrettezza palese. A quel punto è d’obbligo il richiamo ufficiale. L’arbitro non lo fa e chiede a Cordina se va tutto bene, avuta risposta favorevole, riprende la lotta. In realtà per il campione non andava bene. Infatti la sfuriata di Cacace trova il gallese in evidente difficoltà che paga con un conteggio, la situazione. A quel punto il risultato è già scritto anche se la sfida dura fino all’ottavo round, quando l’arbitro ferma l’ormai impari battaglia. Cacace non ha rubato nulla, ma l’arbitro gli ha facilitato e non poco, il successo. Cordina e Cacace hanno origini italiane. Il papà del neo campione nato in Campania, quando il figlio militava ancora nei dilettanti, ventilò la possibilità di farlo diventare italiano, poi l’idea non ebbe seguito. Cacace pro dal 2012, ha 35 anni e questo successo dovrebbe consentirgli di guadagnare un bel gruzzoletto di sterline, che forse non aveva messo in preventivo. Spetta al suo procuratore Frank Warren trovare la giusta opportunità.
A tempi molto brevi, il primo giugno, sempre a Riyad, torna la boxe con altri giganti sul ring. Il croato Filip Hrgrovic che figura primo sfidante per l’IBF, incrocia i guantoni con l’inglese Daniel Dubois (20-2) e il vincitore dovrebbe risultare il prossimo avversario di Usyk. Altra sfida sui 12 round, tra il texano Deontay Wilder (43-3-1), che dopo la doppia batosta contro Tyson Fury (2020-2021), la sconfitta con l’australiano Joseph Parker lo scorso dicembre e la non più verde età (38 anni), intende riprovare a risalire la china. L’avversario è il cinese Zhilei Zhang (26-2-1), che di anni ne ha 41 e nel lontano 2008 ai Giochi di Pechino, nella finale olimpica, finì Ko contro il nostro Roberto Cammarelle. Passato pro nel 2015, trasferitosi negli USA, ha svolto attività relativamente facile, ma senza acuti. Battuto dal croato Pilip Hrgovic (17) di stretta misura, sale alla ribalta lo scorso anno, quando batte due volte il britannico Joe Joyce. Come il suo avversario, è reduce dalla sconfitta con Parker, sul filo del punto. Per il vincitore l’opportunità di restare nel grande giro, dove sono assicurate laute borse, nelle serate organizzate dagli emiri, che hanno trovato nella boxe un veicolo promozionale notevole. La riunione mette sul ring due mondiali WBA. Il primo nei mediomassimi, tra gli imbattuti Dmitri Bivol (22), russo campione e lo sfidante Mark Zinad (22), libico residente a Malta, sulla carta difesa di comodo, in attesa si realizzi la sfida contro il connazionale Bertebiev. Il secondo riguarda il piuma Raymond Ford (15-0-1) di Camden nel New Jersey, 25 anni, alla prima difesa, titolo conquistato lo scorso marzo a Verona a spese dell’uzbeko Otabey Kholmatov (12-1) messo KO al 12° round dopo una battaglia terribile. Non sarà da meno contro l’inglese Nick Ball (19-0-1), 27 anni, reduce dalla sconfitta con Rey Vargas che ha difeso la cintura superpiuma, rischiando parecchio, costretto a due conteggi nel corso della sfida.
Il ministro delle attività ludiche e sportive Turki Al-Sheikk degli Emirati ha già annunciato per il 12 ottobre, una serata di grande pugilato. Tra gli spettatori più interessati il titolare della Matchroom Eddie Hearn, che sogna di inserire il suo Anthony Joshua sfidante del vincitore tra Olek Usyk e Tyson Fury dopo la seconda puntata. Chiaro che l’ideale sarebbe Fury, altro inglese e al primo scontro, mentre con Usyk sarebbe la terza volta. Al Pechanga Arena di San Diego in California, un altro pugile ucraino, il leggero Denys Berinchyk (19), 36 anni, pro dal 2015, argento 2012 ai Giochi di Londra, dove Usyk conquistò l’oro nei 91 kg., battendo in finale il nostro Clemente Russo, ha conquistato il mondiale WBO vacante, superando il favorito messicano Emanuel Navarrete (38-2-1), già campione del mondo di tre categorie (supergallo, piuma e superpiuma), alla ricerca del poker. Match intenso ed equilibrato, che alla lunga ha orzato per l’ucraino più concreto e potente. Verdetto di 2-1 per il pugile europeo. Ma non ditelo al presidente russo, Vladimir Putin, che potrebbe innervosirsi.
Giuliano Orlando