Arrigo Sacchi, storico ex allenatore del Milan, colui che secondo molti cambiò il calcio col suo modo di allenare, è l'attuale responsabile delle nazionali giovanili italiane. L'abbiamo ultimamente sentito parlare dei problemi del movimento calcistico tricolore, dove si fa poco gioco e si guarda più alla forza fisica, con le squadre che dimostrano in Europa che il nostro livello è mediamente inferiore rispetto alle concorrenti internazionali. Ma cosa sta facendo Sacchi, insieme alle Federazioni, per cambiare le cose dal “basso”?
“La nazionale se parte male non può finire bene, quindi bisogna costruire dalle fondamenta, dai ragazzi. C'è bisogno però che i club investano di più, che ci siano più corsi di aggiornamento per il settore tecnico, che si giochino più gare internazionali. La Federazione sta spendendo molti soldi in questo campo, ma ci vuole un lavoro più coordinato, più sinergico ed è quello che stiamo facendo. Ci sarebbe poi bisogno che i ragazzi guardassero meno le prime squadre e giocassero di più. Con lo staff stiamo cercando di fare del nostro meglio, aumentando il numero di gare internazionali, gli stage, ma siamo molto indietro rispetto all'estero".
C'è una grossa differenza nei modi di gestire le giovanili dei nostri club rispetto a quelli esteri?
“Se facciamo il paragone con le “academies” che ci sono in Svizzera, Germania, Inghilterra, non ci avviciniamo nemmeno. Li i ragazzi insieme a giocare studiano, vengono cresciuti anche tramite una sana cultura sportiva, da noi non succede, siamo indietro. Basti pensare anche al fatto che un allenatore in Italia può passare dalle giovanili direttamente alla serie A, che il “supercorso” di Coverciano dura un mese e mezzo mentre in Spagna dura un anno e mezzo, e lì un allenatore deve fare gavetta prima di arrivare su una panchina importante. Il nostro è un paese vecchio, tormentato da violenza e debiti. Si pensa tanto al singolo e mai al gioco, quando in realtà è proprio tramite il gioco di squadra che si diventa giocatori”.
Girando per campi di provincia a vedere squadre giovanili, si nota spesso che i genitori risultano essere un più un deterrente che un aiuto per i ragazzi, perché convinti che il proprio figlio “debba” diventare un campione. Lei cosa ne pensa?
“La maleducazione esiste, anche in questi frangenti. Spero che le società capiscano di dover investire maggiormente nei settori giovanili, iniziando magari dal rifare gli stadi. I nostri impianti sono vecchi e per la loro conformazione invitano i violenti, e questo è tutt'oggi il maggior deterrente del calcio italiano”.