Il 25 giugno è una data importante per lo sport italiano e mondiale. In questo giorno del 1968, infatti, nasceva Paolo Maldini, colui che sarebbe diventato il capitano del Milan e uno dei giocatori più forti e vincenti della storia del pallone nostrano ed internazionale. Con i rossoneri ha vinto sette scudetti, una Coppa Italia, cinque Supercoppe Italiane, cinque Champions League, cinque Supercoppe Uefa, tre Mondiali per Club (due intercontinentali). E' entrato nella Hall of Fame del calcio italiano nel 2012, e subito dopo il ritiro ha ricevuto il premio Uefa alla carriera in occasione dei sorteggi della fase a gironi dell'edizione 2009/2010.
Un monumento dello sport italiano che ha ripercorso la sua carriera in un'intervista alla Gazzetta dello Sport. "Ho un ricordo sportivo ed extrasportivo per ogni decade. Prima dei 10 anni ricordi l'inizio della scuola e i primi contatti con il pallone, 11-20 l'incontro con Adriana e il mio esordio in Serie A, 21-30 la nascita di mio figlio Cristian, la prima Champions League e il Mondiale del 1990. 31-40: la nascita di Daniel e la finale di Manchester, e infine 41-50 la morte dei miei genitori e la fine della mia carriera. Ho avuto solo due maglie, quella del Milan e quella dell'Italia, una scelta dovuta alla convergenza sugli obiettivi. Non ho mai pensato di lasciare questa società, né è successo il contrario. Su Berlusconi speravo avesse ragione, era un visionario, mentre Sacchi era un pazzo, ma ha segnato un'epoca del Milan, e questo vuol dire che un po' di follia ci vuole. Fisicamente mi sentivo bene nel 1991/1992 e nel 1993/1994, ma l'annata migliore è stata quella 2002/2003, una forza mentale incredibile. Il miglior Milan è stato quello, insieme al primo di Sacchi".
Come una sorta di "Maldini awards", l'ex capitano rossonero sceglie i migliori sportivi che lo hanno accompagnato, da allenatori a compagni. "Ho avuto tanti grandi maestri, tra cui Capello in Primavera, Liedholm e Sacchi, ma mi sono goduto anche Zaccheroni. Il più forte con cui ho giocato è stato Baresi per volontà, agonismo e tecnica, mentre mi sono divertito tanto con Weah in campo, fuori con De Napoli, Carbone, Gattuso e tanti altri, mentre di altri sport ammiro Edwin Moses, Bjorn Borg e Michael Jordan. Rigiocherei Italia-Argentina, meritavamo noi la finale con la Germania, e a Roma avremmo vinto. Nel 1994, il Brasile giocava meglio, mentre la finale con il Liverpool l'ho rivissuta e vinta due anni dopo. Al Pallone d'Oro preferisco il Mondiale, che dipende da quanto fai, e non da giudizi personali. Mi hanno ferito le critiche dopo quello del 2002, che chi pensava che giocassi perché raccomandato".
Infine, un bilancio sul calcio italiano e sul Milan al giorno d'oggi, con uno sguardo al futuro. "Il calcio non era al centro del progetto della Federazione, e il mondo del pallone ci ha presentato il conto degli ultimi quattro anni facendoci saltare il Mondiale. Non c'è cultura sportiva, non si accetta la sconfitta: ancora ricordo i tifosi del Liverpool sullo 0-3 ad Istanbul. Da tifoso, sono preoccupato per il Milan. Io non credo che l'Uefa ce l'abbia con la società, anzi agisce proprio per far sì che la squadra diventi più forte, poi vedremo gli sviluppi. Un futuro in Federazione? E' tutto un grande punto interrogativo".