Storie maledette del basket – Violenza, tragedie e redenzioni del mondo della palla a spicchi

Pubblicato il 5 gennaio 2025 alle 16:01
Categoria: Libri di Sport
Autore: Wilma Gagliardi

 Storie maledette del basket – Violenza, tragedie e redenzioni del mondo della palla a spicchi 

Vite salvate per questione di centimetri, omicidi e suicidi, accuse infamanti e cadaveri spariti in fondo al mare - Salvatore Malfitano - Storie maledette del basket – Violenza, tragedie e redenzioni del mondo della palla a spicchi – Diarkos editore – Pag. 312 – Euro 18.00

di Giuliano Orlando

Dire Nba è come indicare Hollywood, il paradiso dove brillano le stelle. Le prime nel cinema, le seconde nel mondo della palla a spicchi. In entrambe albergano vertici e abissi. Se hai giocato almeno una volta nelle All-Star Game significa che hai firmato la storia della disciplina. Ma non sempre basta, come in ogni sport ci vuole costanza e anche pizzico di fortuna. C’è poi la sfiga che a volte supera ogni confine e ti distrugge, tuo malgrado. Drazen è un fenomeno fin da piccolissimo. Nasce a Sebenico, ancora Serbia, legatissimo al fratello Aleksandar, per tutti Aco, A tredici anni fa parte del settore giovanile del KK Sibenik e l’allenatore-giocatore Zoran Slavnic, si espone sul futuro del ragazzo: “A Sebenico c’è un bambino dotato di un talento naturale innato e una buona etica di lavoro. Ambizioso e sa fare cose incredibili, Si chiama Drazen Petrovic. Ricordate questo nome”.  Il basket è la sua vita, la sua religione, il sogno dorato. Un giornalista italiano lo definisce “Il Mozart della pallacanestro”, che Drazen gradisce parecchio. Nel Sibenik e poi nel Cibona Zagabria, trascina le squadre a traguardi assoluti. Come in Nazionale.

Bronzo ai mondiali 1986, idem agli europei l’anno dopo. Ai Giochi di Seul 1988 la Serbia è argento. Poco più che ventenne l’America si accorge di lui e lo invita, ma al momento preferisce l’Europa. A 24 anni gioca nel Real Madrid, che lo ha soffiato al Barcellona. Nella Liga è assoluto protagonista al punto che diventa un problema per gli altri, che non gradiscono la sua egemonia. Prima di partire per gli USA, a Zagabria, dal 20 al 25 giugno 1989, porta la Iugoslavia al titolo europeo. In America ritrova l’amico di sempre Vlade Divac, selezionato dai Los Angeles Lakers, mentre Drazen gioca nei Trail Blazers di Portland. Successivamente passa ai New Jersey, diventando il faro della squadra.  Nel ’92 con la Croazia indipendente, arriva all’argento a cinque cerchi. A quel punto entra nel suo destino Klara Szalantzy, che si dichiara sua fans sfegatata. I due si incontrano, si piacciono e mantengono i contatti anche quando rientra in Germania dove vive. Dal 30 maggio al 6 giugno 1993, la Croazia è impegnata nelle qualificazioni europee a Wroclaw in Polonia. Drazen conta di fermarsi in Germania per rivedere Klara. Si ritrovano a Francoforte, diretti a Monaco, dove intendono trascorrere la notte. Partono sulla Volkswagen Golf rossa, guida Klara, Drazen è al suo fianco, dietro l’amica Hilal. Piove forte, ma Klara viaggia a 180 all’ora. Sulla corsia opposta un camionista olandese, per evitare un tamponamento entra nell’altro senso di percorrenza. Esce dalla cabina per segnalare l’incidente.

Klara si accorge all’ultimo momento del pericolo, frena ma la strada è scivolosa, sbanda e finisce con violenza contro il veicolo fermo. Riportando traumi in varie parti del corpo, Hilal lesioni al cervello e fratture varie. Drazen viene sbalzato fuori, sbatte la testa e perde la vita. Il suo orologio, si rompe e segna le 17.20. Ha 31 anni. Tra i suoi oggetti ritrovati, un foglietto che riporta i nomi di tre franchigie: New Jersey Nets, Houston Rockets, New York Knicks. Che lo avevano contattato. Ma anche l’Europa era interessata e non poco. Al funerale partecipa il presidente Tudjman e oltre centomila persone. Qualche mese dopo, mamma Biserka si reca al cimitero come ogni giorno. Un uomo anziano si avvicina rispettosamente col nipote. Accende un cero. “Non essere triste. Tu l’hai messo al mondo, ma lui è di tutti noi”.                                                                                                           

    Paul Anthony Pierce, emette il primo vagito a Oakland il 13 ottobre 1977. Pochi anni dopo, con mamma Lorraine, i due fratellastri Jamal e Stephen Hosey si trasferisce a Inglewood. Del padre porta il cognome, senza averlo mai conosciuto. Cresce nel mito di Larry Bird e Earvin “Magic” Johnson. La povertà è una costante, l’agente di polizia Scott Collins la sua salvezza. “Una figura paterna per me e gli altri ragazzi del posto”. Quando era di servizio al Forum, li faceva entrare per guardare di nascosto i Lakers. Il giovanotto ha qualità e diventa protagonista. Inizia al liceo con i Sentinels, poi alla Inglewood High, dove ottiene il titolo di divisione. Arriva ai Boston Celtics a 22 anni. Il 25 settembre 2000 con due amici, entra in un locale notturno frequentato da sportivi e dalla comunità gay. Mentre cercano di contattare alcune ragazze, arriva un uomo che li apostrofa minacciosamente. Pierce risponde a tono e si scatena l’inferno. Lo assalgono in tre, gli spaccano una bottiglia in testa, viene colpito da undici coltellate e si ritrova in un lago di sangue. Al New England Medical Center è operato d’urgenza per il collasso di un polmone. Si salva anche se il recupero completo, in particolare a livello psicologico è un percorso lungo e difficile.

Alla fine la spunta e a 31 anni tocca il vertice assoluto. Nel febbraio 2018 la franchigia ritira la canotta 34 di Pierce. Nel 2021 l’NBA lo introduce nella Hall of Fame e lo inserisce nella lista dei 75 giocatori più forti della Lega. Due destini diversi nello stesso pianeta. Come quelli di Bill Robinzine, nato a Chicago il 20 gennaio 1953, figlio d‘arte, un gigante di due metri e 100 kg. che unisce talento e carattere. Poco oltre i vent’anni gioca nel Kansas City con rendimento altissimo. Tre anni dopo la discesa e il tracollo. A 29 anni si suicida, falciato dalla depressione. Darryl Dawkins, un centro dei Philadelphia 76ers, nell’occasione affronta i Kansas City Kings, dove gioca Bill. Darryl si distingue per l’ego estremo, catene d’oro al collo, orecchino e il vezzo di dare ad ogni sua schiacciata un nome. Una di queste è di tale violenza che il canestro si sgancia dalla tabella frantumandosi in mille pezzi. Sotto quella cascata di vetro c’è anche Bill, che corre via coprendosi il viso. Il pubblico si diverte vedendo quel gigante fuggire.

E’ l’unica volta che i due si incrociano. Darryl, resta ai Philadelphia fino al 1982, poi passa ai New Jersey Nets, alternando punti, donne e droga. Incontra la giovane e bella Kelly Barnes ed è un incendio dei sensi. Sembra l’approdo definitivo, ma non è così. Darryl va agli Utah Jazz e poi ai Detroit Pistons. La mattina del primo novembre 1987, Kelly si suicida a 28 anni. Due anni Darryl dopo lascia gli USA per l’Auxilium Torino, poi Milano e Forlì. Nel frattempo si risposa altre due volte. Muore nel 2015 a 58 anni. Il canovaccio sembra infinito, una pellicola con protagonisti eccellenti. Da Kobe Bryant accusato di aver violentato una giovane fans a Jayson Williams, figlio di Ej (nero) e Barbara (bianca), genitori violenti, un cattivo esempio. Come sovrapprezzo arriva l’Hiv. Nonostante ciò Jayson sale la vetta del basket. Quando smette trova collocazione come opinionista.

Poi l’inferno, alcool e altro, nel 2002 uccide accidentalmente un uomo, processato, esce dal carcere nel 2012. Inizia il percorso di redenzione. Ma la figlia Tryumph, lo accusa implacabilmente e non lo perdona. Il libro prosegue come un fiume in piena. Altri personaggi quali Bison Dele, Ricky Berry e la storica rissa della vergogna. I vari casi, da Christine Jasky a Castro, Davenport, Baylor, Housing Rights Center, fino al Dipartimento di Giustizia. Una disamina che coglie aspetti ignorati, di assoluta importanza, per capire e valutare un mondo esteriormente scintillante, spesso capace di scalate sociali pazzesche come di distruggere senza pietà carriere e speranze. Un lavoro imperdibile per gli appassionati della palla a spicchi.                                                                                                              

Giuliano Orlando