Il Topazio degli imperiali
DATA SPORT – Il marchese Cesare Stanga, voleva conquistare Cremona, ma qualcosa andò storto - Cesare Castellani – Il topazio degli Imperiali - Porto Seguro Editore - Pag. 854 - Euro 28.00
di Giuliano Orlando
Due considerazioni importanti davanti al tomo che l’amico da oltre mezzo secolo Cesare Castellani, ha scritto e che mi ha fatto pervenire per la recensione. Mi diverto, questo il termine più sincero, a dare il mio giudizio sui libri, in particolare quelli che riguardano lo sport, ma non rifiuto altre tematiche. Enumerare quanti ne abbia recensiti è impossibile, di certo oltre quota mille. Ebbene, non mi era mai capitato di cimentarmi con un libro di 853 pagine con un carattere piuttosto piccolo, che aumenta di fatto il tetto del volume. La seconda riguarda la scelta della recensione: sfogliarlo al volo, sottolineando quello che potrebbe interessare oppure prendere appunti, tenendo conto che non puoi tediare chi ti legge con lungaggini che ne annullerebbero la curiosità. Inoltre, la mia conoscenza con Cesare è legata al pugilato, passione comune, rafforzata da viaggi non solo in Italia e dalla stima, penso reciproca, come giornalisti con l’etica della sincerità, anche se scomoda. Poi è arrivato “Il topazio degli Imperiali”, pubblicato da Porto Seguro Editore, nata nel 2012 a Firenze, che non conoscevo e come primo impatto mi accingo a scalare un ottomila su carta. Romanzo di fantasia? In parte, con troppi riferimenti storici reali, per definirlo solo tale. Libro bifronte come il dio Giano, con la differenza che entrambi scorrono in contemporanea. Partiamo dal 1500 inoltrato, l’America era stata già scoperta, la Spagna era una delle potenze assolute dell’Europa, i successori della cattolicissima Isabella non disdegnavano lo schiavismo e Carlo V°, oltre ai traffici per mare, si era pure appropriato di quella parte che oggi è la Lombardia, calando come un falco, alla morte improvvisa di Francesco II° Sforza, avvenuta nel 1535, per issare il vessillo della Corona di Spagna. Come tutti gli usurpatori, a far pagare il prezzo più alto era il popolo e di conseguenza chi governava le città invase. Il romanzo inizia proprio in questo contesto. Cremona è nel vortice di questa situazione drammatica e l’autore è abile a inserire personaggi che rappresentano la spina dorsale del racconto. Su tutti il Marchese Cesare Stanga, tanto nobile quanto lestofante, la cui occupazione principale è quella di saccheggiare e non solo, tutto il territorio attorno a Cremona, spingendosi nel piacentino e nel parmense. Se Cesare Stanga può definirsi protagonista, le cosiddette spalle, usando un termine cinematografico, sono centinaia ed entrano nel romanzo chiedendo spazio e attenzione. Non manca nulla, ricordato il terremoto del 1646, come Filippo II° il successore di Spagna, il papa Paolo III Farnese che, dimenticando il voto di castità accettato col sacerdozio, aveva assegnato al figlio Pierluigi l’amministrazione dei territori di Parma e Piacenza. Le famiglie più in vista di Cremona, dai Plasio ai Trecchi e ancor più i Tinti. Ma il vero eroe è Giacomo Ferraguti, nato pescatore e diventato cacciatore, dotato di forza incredibile e grande intelligenza, viaggiatore instancabile, in nave aveva raggiunto la Siria e l’Anatolia in Turchia, fino all’India. Rientrato a casa, era tornato alla pesca lungo il Po, aveva trovato anche l’amore di Selvaggia, una ragazza dagli occhi azzurri, alta e passionale. Diventa padre di Margherita, ma finisce anche la passione. Due donne che il lettore non deve dimenticare. Torna ad essere solo, a vendere il pesce, poi la voglia di viaggiare lo riprende in un territorio dove battaglie a non finire, seguono la storia vera, che l’autore abilmente mischia stupendamente. La descrizione dei viaggi è una galleria variegata, dove vengono fissate emozioni, momenti lieti e tristi in un contesto che stimola e stuzzica per conoscere quanto accadrà dopo. L’uomo impiccato, le osterie dove si beve, ci si accapiglia si consuma l’amore d’una notte e dove scorrono cento nomi come coriandoli colorati che scivolano via senza lasciare tracce. Poteva mancare il contrabbando? Neppure per idea e pure le streghe, il cui racconto tocca punte di grande drammaticità e lascia capire quanto spesso fossero più colpevoli gli accusatori delle accusate e fa riflettere sulla crudeltà della religione che nel segno del perdono, risolveva ogni questione col fuoco e le torture. Non mi sono dimenticato di Cesare Stanga, il nobile con la vocazione al brigantaggio. Parto dallo Stato di Milano, invaso dalle armate di Filippo II°, che era succeduto al padre Carlo V°, dimostrandosi peggiore del genitore, imponendo tasselli su ogni bene. Cremona, la città più importante dopo Milano, vedeva svanire quel benessere che si era creato in decenni di operosità. Per questo cercava in tutti i modi di opporsi, compresi quelli scorretti. Ma Cremona aveva anche la sua nobiltà, le famiglie più in vista non se la passavano male, pur tra un’invasione e l’altra. In occasione di una grande festa, il marchese Lodovico Trecchi presentò agli ospiti la sua bellissima figlia Paolina, sulla quale mise gli occhi Cesare Stanga, marchese a sua volta, ma di dubbia moralità e altro. Sempre accompagnato dai fidi Scorticapreti, un ex frate, passato dall’altare e la penitenza, dopo aver ucciso un uomo e una donna, alle scorrerie dei briganti e Mariotto, piccolo e misterioso. Quando Cesare chiede la mano di Paolina e ne riceve un fermo rifiuto, l’orgoglio ne riporta uno schiaffo sonoro. Se prima era un poco di buono, dopo quell’affronto, peggiora e non di poco. Emblematico il suo ingresso nell’osteria “Vecchia Corona”, dopo il rifiuto. Davanti a tutti i presenti, possiede Lucia, che l’aveva stuzzicato pubblicamente. Venuto a sapere che il vero amore di Paolina era il cugino Goffredo, pronto a sposarla, gli tende un agguato, deciso ad ucciderlo. Il proposito fallisce, anche per merito di Giacomo, che in quel periodo fa l’aiutante in casa Trecchi, avvisando il giovane del pericolo. Il mancato attentato alla vita di Goffredo, rende il giovane Stanga ancor più rancoroso ma pure paziente e non meno esibizionista. Lucia è l’oggetto che presenta pubblicamente nelle vesti più varie: fidanzata, prossima sposa o donna di piacere. Uno dei suoi divertimenti preferiti è quello di lasciar credere che Lucia si concedesse ad amici occasionali, per intervenire, sfidarli a duello e ferirli. Sorte che tocca ad uno Sforza, a Giovanni Orsi di Valnure e a Gaetano Placchi, giureconsulto di Bobbio, senza rendersi conto di rischiare troppo. Inoltre, il fedele Mariotto, che il padre di Cesare aveva comprato da un saraceno al porto di Genova, donandolo al figlio come un giocattolo, diventa rivale in amore, essendosi invaghito di Lucia, ipotesi che Cesare non avrebbe mai immaginato. Il carattere esuberante e lo spirito battagliero si erano affacciati fin da giovanissimo. A 15 anni aveva ucciso un coetaneo in duello. Qualche anno dopo era diventato l’eroe della zona, uccidendo alcuni briganti che depredavano i contadini. Si era fatto notare anche in altre occasioni, come l’uccisione di un lupo che falcidiava le pecore. Castell’Arquato era il suo nido fin da ragazzo, sia quando doveva riposare come nascondersi da chi voleva, e non erano pochi, farlo fuori. Nel contempo Cesare prosegue nella sua attività di ribaldo, con grande furbizia. Diventa eroe del popolo, catturando quattro briganti sorpresi a violentare una donna, che poi vengono giustiziati, Anche Mariotto rischia di finire i suoi giorni, quando un paio di giovanotti lo sorprendono da solo, in viaggio segreto verso Cremona, per concordare l’ennesima pirateria di Stanga e compagni. Legato come un salame, viene appeso ad un albero per l’impiccagione e gli ricordano che lui è l’assassino della sorella di uno dei due. Anche in quell’occasione Cesare Stanga è complice del delitto, ma l’esecutore finale è lui. E lui deve pagare. Viene salvato, quando ormai non ci sperava più, da Guglielmone, gigante buono e ingenuo. Come dimenticare il viaggio iniziato da Genova, attraversando le Alpi, verso il Piemonte fino ad Aosta per arrivare in Belgio nelle Fiandre da parte di una lunghissima carovana composta da mercanti, soldati, popolani e nobili su lussuose carrozze, che avrebbero abbandonato entrando in Val d’Aosta dove le strade erano strette e impervie. In questo viaggio era presente la contessa Selvaggia Imperiali. Una vita avventurosa e non facile. Allevata da mamma Margherita nel convento della Clarisse a Biella, aveva trascorso a Genova il periodo più difficile e povero, per riscattarsi quando, accanto al padre dimostra eccezionale acume per gli affari nel difficile mondo delle attività mercantili al punto da diventare ricchissima. Dirige una flotta navale e una compagnia commerciale con agenzie in tutta Europa. Proprietaria di palazzi anche fuori dall’Italia. Torna a Bruges con la figlia Margherita, dove ha acquistato un palazzo per decidere sul futuro. Al suo fianco Camillo De Andreis, giovane notaio, di antica famiglia genovese, che Selvaggia ha voluto premiare per la dedizione e fare esperienza. Il percorso in Val d’Aosta diventa arduo e problematico, il maltempo ne ritarda il passo e l’assalto di briganti scozzesi mette in pericolo la carovana. Il comandante della scorta Gerard De Ollomont dirige la difesa in modo intelligente a porta tutti in salvo nel rifugio dei monaci di San Bernardo, mentre una valanga, prodotta dagli spari, travolge gli scozzesi che trovano la loro tomba tra neve e rocce. I sopravvissuti catturati e condannati al taglio della mano destra. Le avventure di Selvaggia proseguono da Yvoire a Ginevra col fido Camillo che sbriga con sempre maggiore abilità il suo compito. Selvaggia non è insensibile al fascino maschile, ma respinge chi le fa la corte (Marius) e accetta Cipriano di Graiana e Giacomo Ferraguti, sbagliando in apparenza, con entrambi. Anche Cesare Stanga era rimasto solo: scomparso Scorticapreti, come Mariotto che aveva ucciso Lucia, pagando con la vita quella folle gelosia. Nonostante tutto manteneva la certezza di essere un predestinato. Il mal francese, lo aveva scosso ma non vinto. Quando percorreva le strade con la sua banda, la gente lo guardava con ammirazione. Venne il giorno della Festa del Toro, che rinnovava una tradizione millenaria, partendo dalla curiosità di sapere perché dal soffitto del Duomo pendessero tanti pantaloni. E’ il nobiluomo Giambattista Mussi a raccontare la storia: “Nell’agosto del 1250, i cremonesi assediano Parma e conquistano la città. A guidare l’esercito vincitore un fuoriuscito parmense, Uberto Pelavicino che oltre ad impossessarsi della biancarosa, il carroccio che Parma aveva sempre difeso, porta a Cremona duemila prigionieri, ai quali fa togliere i pantaloni, rimandandoli a Parma in mutande. Talmente divertente l’episodio che vollero ricordarlo ogni anno, portando in piazza un torello, il simbolo di Parma, per schernirlo. Una giornata di divertimento e bagordi”.
Le autorità ispane temevano disordini e ne avevano piena ragione. Cesare Stanga, aveva ideato un piano pazzesco. Impossessarsi di Cremona e diventarne il governatore. Le cose non andarono così, ma stavolta lascio al lettore il resto del libro. Che reputo un lavoro pazzesco come il piano di Stanga, con la differenza che l’amico Cesare ha centrato il bersaglio, al contrario del marchese di Cremona, che finirà male anche se resterà nel racconto fino all’ultimo o quasi. Mentre appare finalmente il topazio degli Imperiali, torna Selvaggia e la figlia Margherita, il fido Camillo e ancor più Giacomo che risulta il vero vincitore di questa storia infinita.
Giuliano Orlando