L’indimenticabile stagione granata 1964/66 ricca di grandi campioni. Paolo Ferrero – Il Toro del Paron. Alla corte di Nereo Rocco – bradipolibri Editore – Pag. 174 – Euro 15.00.
“Paron” Rocco era diventato una specie di fissazione per Orfeo Pianelli, il presidente del Torino, che riteneva il tecnico l’uomo giusto per guidare il Toro verso traguardi importanti. Il triestino Nereo aveva alle spalle una carriera da giocatore grintoso e generoso, mezz’ala dal tiro mortifero e poi una lunga carriera da tecnico iniziata prima nella Trestina e poi nel Padova, dove in otto anni costruisce una squadra invidiata e temuta da tutti. Un condensato di grinta ed esperienza, forte in ogni reparto, giungendo terza nella stagione 1957-58. Nel 1960 gli viene affidato il ruolo di direttore tecnico della nazionale olimpica e l’anno dopo diventa allenatore del Milan, chiamato da Gipo Viani, l’illuminato generale manager del club rossonero. Un sodalizio che porta il Milan a vincere campionato e Coppa Campioni. Nel 1964 il passaggio al Torino. Un cambio totale. In casa granata l’ambiente è casareccio, i rapporti esulano dal distacco tra le partite e il dopo. Rocco ama la buona tavola con gli amici ma anche con i giocatori che meglio conosce a cominciare dal capitano Giorgio Ferrini, triestino come lui. Tra gli amici Enzo Bearzot e don Francesco Ferraudo, parroco di Moncalieri, guida spirituale che sapeva interpretare il ruolo di amico nelle piole e quello di guida delle anime. Senza amai esagerare, filtrando le penitenze con un bicchiere di buona barbera. Il primo anno fu di rodaggio, conquistando un ottimo settimo posto. Rocco aveva capito che poteva lavorare su un ottimo materiale giovane e non solo. In squadra c’erano l’inglese Gerry Hitchens un attaccante di qualità e anche lo spagnolo Joaquin Peirò, molta classe ma poca disciplina, che doveva farli operare in simbiosi. Aveva fatto arrivare Gigi Simoni dal Mantova, dotato di buoni fondamentali. Il nuovo arrivato dal Genoa, Gigi Meroni di 21 anni, per la cifra pazzesca di 350 milioni. Rocco sapeva di poter costruire una bella squadra, seguendo una stretta gerarchia che partiva dai senatori ai quali consentiva perfino qualche critica, anche se poi non cambiava mai opinione, quindi quelli più affermati che stimava. Infine venivano i novellini, quelli che dovevano crescere, farsi le ossa e sottostare anche alle battute salaci del tecnico. Un tributo necessario per arrivare a conquistarsi la fiducia sul campo. In questo Rocco era un maestro unico, formando in tal modo una palestra di vita. Non sempre andava tutto bene. La squadra andava forte, era temuta, ma qualche volta scivolava su qualche buccia di banana. Dolorosa quando scivoli sulla buccia bianconera, i rivali storici. Un altro capitolo che fece tremare la tifoseria granata, quando il presidente bianconero Gianni Agnelli, per evitare che la battaglia sugli spalti tra le due tifoserie finisse sempre in risse pesanti, propose la fusione dei due club. Bocciata duramente da Pianelli. Vittorie molte, sconfitte poche in quel campionato indimenticabile che portò il Torino al terzo posto, propiziato dalla vittoria sul Cagliari in Sardegna, nonostante nella squadra isolana giocasse un certo Gigi Riva, eroe calcistico indimenticabile. Mentre la Juve dovette subire in casa la legge dell’Inter in quell’anno la più forte e non solo in Italia. Al termine del campionato, Nereo Rocco non ebbe esitazioni a dire che, tutto sommato poteva andare meglio, anche se in quel Torino erano spuntati fior di campioni. Pazienza se lo scudetto, la Coppa Italia e la Coppa delle Coppe vennero solo sfiorate. Quell’edizione 1964-65 resta una delle migliori in assoluto.
Giuliano Orlando