Conclusi gli europei U22 a Vladikavkaz in Russia, con numeri record, presenti 37 nazioni maschili e 27 femminili. Livello tecnico notevole, in netta contrapposizione ad arbitri e giudici, responsabili di verdetti e conduzioni totalmente negativi, falsando la realtà vista sul ring. Ma il guaio peggiore e che a livello ufficiale, va tutto benissimo e il silenzio regna sovrano. Nessuno si chiede se lo squilibrio di valori tra la Russia che ha ospitato l’evento e conquista da sola il 60% dell’oro in palio, lasciando alle altre 36 nazioni il restante 40% (diviso fra solo 10 Paesi), sia dovuto ad una reale superiorità o ci sia lo zampino di giudici e arbitri compiacenti. Nel solo settore maschile, la Russia conquista sette ori, restando imbattuta tra semifinali e finali! Un salto di qualità incredibile, rispetto alla due edizioni precedenti: nel 2017 un oro, nel 2018 tre ori, quasi il doppio stavolta. L’aria di casa fa miracoli. O, forse, i giudici sono gli autori di questi prodigi? Conteggiando anche le 5 vittorie nel settore femminile, dove la Russia si è presentata per la prima volta, il 60% dell’oro disponibile è finito nelle casse russe. Vincitori di ben dodici titoli sui 20 in palio. Alla concorrenza solo briciole. Nei maschi come già detto sopra, sette ori e cinque con le donne. Su 37 nazioni presenti, solo tre hanno raccolto un oro (Bulgaria, Ucraina e Azerbajan) nei maschi e 5 tra le donne (Italia, Armenia, Turchia, Irlanda e Francia), otto nazioni sul podio più alto, meno della metà del totale dei paesi contro il 60% di una sola nazione! Quando la superiorità è così schiacciante non si fa il bene del pugilato. L’egemonia scoraggia la concorrenza, se poi è aggravata da verdetti sempre favorevoli ai padroni di casa, cresce la rabbia e il disgusto. La Russia già è più forte, perché stendere un tappeto rosso per farla stravincere? A questi campionati si è registrato il record dei 3-2. Tra gli uomini addirittura 36! Nel settore femminile solo 7. Molti contrassegnati da 30-27 discordanti, lo stesso punteggio a vincitori e sconfitti. Segno di una difformità di giudizio pericoloso. Ma c’è un altro aspetto che allarma. Dei dieci 3-2 riguardanti i russi, ben nove hanno visto vincitori i pugili di casa. Gli ultimi due nelle finali maschili. Segno di un condizionamento assurdo. Che il presidente della Federazione, Vittorio Lai, abbia rifiutato di premiare le atlete medagliste nei 60 kg. è un segnale molto forte, che potrebbe e dovrebbe avere un seguito. Perché se l’Italia da tempo non gode certo di favori, anche altre nazioni hanno lasciato la Russia con la certezza di essere state defraudate da verdetti ingiusti. Per citare i più clamorosi, il romeno Girleanu (49) non aveva perso per l’oro contro il russo Mnatsakanyan, lo stesso pensano i tecnici moldovi, nella sfida tra Bucsa e il russo Khamzaev. Chiedete ai turchi se il loro Erdemir aveva perso con Abaev , altro russo. Vittima dei giudici anche il gallese Lee (81), uno dei pochi ad aver battuto il russo, che sia pure in match rissoso e confuso, aveva superato netto l’ucraino Pokhrebnyak, vincitore (3-2) incredulo del regalo. Tra le donne, dei cinque ori russi, almeno due sono stati rubacchiati. Nei 64 kg. la Dynnik, una brevilinea che combatte di forza, destinata a frenare e non poco quando passerà elite, in semifinale aveva perso netto contro l’olandese Hejinen, che ha la stessa forza e un pizzico di fantasia in più. Il solito 3-2, con l’italiano che aveva dato il vantaggio giustamente alla tulipana, la metteva out. Negli 81 kg. la brevilinea polacca Smukler in una finale di grande modestia, aveva perlomeno portato più colpi a bersaglio, di fronte alla giraffona Shishamareva, che ha sfruttato l’allungo in rarissimi casi. I giudici l’hanno premiata con un 4-1 che non fa neppure più notizia. Solo malinconia. Non mi illudo che quanto scritto faccia cambiare qualcosa. Semplicemente resterà a futura memoria. Anche gli arbitri non sono stati da meno. Salvo rari casi hanno lasciato correre tutto: colpi alla nuca, testate e altro. Richiami inesistenti.
Il russo Jakulin nei 56 kg., ad ogni sfida ha ferito gli avversari, compreso il nostro Gianluca Russo. Così, tra una testata e l’altra ha vinto l’oro. Senza mai un richiamo. Il punto dolente è che la Commissione Tecnica sembra ignorare questa situazione. Come se il problema non esistesse. Nel settore domina l’aspetto politico e una sudditanza che dura da decenni. Dopo la pulizia successiva a Rio, a pagare sono stati non solo i famosi stipendiati, ma tutti quelli che hanno preso parte ai Giochi. In realtà incolpevoli. Sostituiti da nuove leve decisamente modeste. Visti i disastri che combinano da anni in ogni torneo. Il presidente europeo Franco Falcinelli, per diplomazia non commenta la situazione, riguardante giudici e arbitri, anche se pensiamo sia al corrente della situazione. Purtroppo di questo passo la credibilità della boxe dilettantistica perde punti importanti. Inoltre, ci sono situazioni come la presenza nel settore femminile delle categorie 81 e +81, dove il valore tecnico è nullo. Si tratta di atlete che andrebbero bene nel sumo, spesso più larghe che alte, con un bagaglio tecnico vicino allo zero. Più che dare spettacolo fanno ridere. Inoltre che valore può avere una medaglia che ottieni prima di combattere, visto che erano presenti tre atlete per categoria. Decenni addietro, ai campionati italiani, non venne assegnato il titolo massimi a Vidoz per mancanza di avversari. L’EUBC cosa aspetta? L’Italia è tornata a casa con cinque medaglie al femminile, nessuna con i maschi. La squadra del c.t. Giulio Coletta è stata inferiore alle previsioni, pagando lo scotto della forzata rinuncia del massimo Mouhiidine, vincitore nel 2018 nei +91 kg. La compagine maschile si è rivelata di livello modesto, solo due giovani elementi promettenti come Russo (56) e Malanga (64) ancora troppo inesperti, mentre Cordella (49), Zara (52), Sarchioto (75), e Antonaci (81) hanno confermato i limiti in un contesto europeo pur di seconda fascia. Sauli (69) e Scala (+91) hanno fatto atto di presenza, con resa immediata, non all’altezza di un simile torneo. Unico a vendere cara la pelle, il leggero Iozia, che avrebbe meritato almeno il bronzo. Punito con un 3-2 che faceva a pugni con la logica del ring, contro l’armeno Shahverdyan nei quarti. Diverso il rendimento delle azzurre, che dopo la delusione ai mondiali di New Delhi (India), hanno dimostrato quello spirito battagliero insito nella squadra. Il c.t. Emanuele Renzini, ottimamente coadiuvato da Caldarella e Stecca, ha saputo spronarle e se le giurie, un vero disastro, non le avesse fermate troppe volte in modo ingiusto, avrebbero conquistato più medaglie. Iniziamo da Giordana Sorrentino (54) che a giudizio unanime dei tecnici stranieri, aveva battuto la russa Artamonova, ma i giudici l’hanno pensata diversamente. La Martusciello (64) ha pagato il pedaggio di una categoria non sua ed è uscita contro l’armena Hovsepyan giunta poi in finale. Le altre cinque hanno conquistato il podio, impresa notevole, considerando che in questa edizione si è presentata la Russia, che ha fatto quasi piazza pulita, con 5 ori, 2 argenti e un bronzo. Da notare che le uniche due russe battute prima delle semifinali sono state ad opera delle italiane Testa e Nicoli. Il bronzo lo hanno conquistato la piacentina Bonatti, cedendo in semifinale alla turca Yamak, dopo un battaglia equilibrata. Come ha fatto la casertana Giovanna Marchese (classe 2000) battendosi alla pari con l’armena Grigoyan di tre anni più anziana, vincitrice dell’oro nei 51 kg. Per la campana il segnale di un recupero importante e vista l’età, se mostrerà quella tenacia che sembrava perduta lo scorso anno, oltre alla qualità, può aspirare a traguardi importanti. Veniamo alle tre finaliste. Nei 69 kg. l’altra casertana Angela Carini, non può rimproverarsi nulla. Dopo aver battuto la norvegese Angelsen e la bielorussa Asmalouskaya, ha ceduto con tutti gli onori alla turca Sermeneli, meno elegante della Carini, ma dotata di pugno pesante, maggior mestiere e qualità combattive quasi esagerate. Stona comunque l’atteggiamento teatrale che tiene sul ring. Su questo incontro c’è un episodio che non fa onore all’addetto stampa che redige l’andamento del torneo, delegato in teoria ad informare in modo equo. Alla vigilia delle finali è uscito sul sito EUBC un lungo articolo, tessendo le lodi della Turchia e in particolare della Surmeneli, indicata come la vera mattatrice del torneo. L’aspetto negativo e che il testo viene letto soprattutto da giudici e arbitri, comunque sia, influenzati da simile giudizio. Purtroppo non è la prima volta che vengono pubblicati articoli di questo tipo. Non sarebbe il caso di intervenire? Nell’EUBC non esiste una sola nazione, ma una quarantina. Veniamo al verdetto della finale di Rebecca Nicoli (60) contro l’irlandese Broadhurst. L’incontro ha avuto una visione chiara e lineare. Primo round di poco ma giustamente all’irlandese, dal secondo in avanti, spronata dall’angolo da Renzini e Stecca, la milanese ha cambiato ritmo facendo sue la seconda e terza tornata in modo chiaro. Purtroppo quattro giudici non hanno fatto una piega assegnando il round all’irlandese, accorgendosi del cambiamento solo al terzo tempo, unanime alla Nicoli. Considerato che i due round sono stati speculari, che differenza hanno trovato? Un 4-1 beffardo, col particolare che il bulgaro ha segnato 30-27 all’italiana. Il problema è l’incapacità della quasi totalità dei giudici a leggere gli incontri. Voglio escludere la malafede, ma questi giudici continuano a compiere disastri a non finire. Con la conseguenza che falsano la realtà del ring. Premiando i peggiori. Per quanto riguarda Irma Testa, non era possibile sbagliare. L’unico match equilibrato, giustamente vinto dall’italiana, riguarda i quarti, contro la russa Vorontsova, finito 3-2. Il resto è stata una marcia trionfale. In semifinale contro la svedese Thour e in finale di fronte all’inglese Scotney , mandata a farfalle per buona parte del match. Irma ha confermato che quando è serena, concentrata e decisa non ci sono ostacoli insuperabili. Il suo talento è indiscutibile, smentendo coloro cercavano di intorbidire le acque parlando di dissapori con il tecnico. Commenti in perfetta malafede. La squadra ha fatto zittire tutti con i risultati. La risposta migliore per i disfattisti. Aggiungendo che l’Italia in rosa ha conquistato il secondo posto nel medagliere, preceduta solo dalla corazzata russa. In un contesto con 27 nazioni presenti. Per quanto riguarda i maschi, non sarà facile per Giulio Coletta portare ai prossimi impegni una squadra molto competitiva. Gli anziani non sono molti e si conoscono, i giovani sembrano ancora teneri, anche se promettenti. Faccio gli auguri per riuscire ad operare un piccolo miracolo. Comunque la comitiva italiana, guidata dal consigliere Fabrizio Baldantoni, ha riportato a casa oltre alle medaglie, anche la Coppa conquistata da Irma Testa quale migliore atleta del torneo. Un riconoscimento importante in un contesto dove erano presenti un centinaio di atlete, tra le quali campionesse del mondo e d’Europa.
A cura di Giuliano Orlando
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