Usyk-Fury: pugni e milioni a Ryad.
Due talenti agli antipodi. La loro storia
di Giuliano Orlando
Kingdom Arena di Ryad (Arabia Saudita), sabato notte Usyk contro Fury: chi vincerà? La domanda sta girando in tutto il mondo e mai come in questa occasione la bilancia è in parità. Olek Usyk è il campione che mette in palio tre cinture (WBC, WBO e IBO) la quarta che era in palio nella precedente sfida, l’ha consegnata la IBF all’inglese Daniel Dubois (21-1) l’astro emergente del momento, dopo la vittoria su Anthony Joshua (28-4), finito KO al quinto round. Il montepremi è stellare, disintegrato ogni record. Il ministro saudita Turko Alalshikh, ha messo sul piatto una montagna di dollari: 190 milioni. Da dividere tra il campione (60%) e lo sfidante (40%). A questo punto va calcolato il lordo e il netto. Fury, dedotto quanto il famelico fisco inglese preleverà alla fonte, oltre il 40%, dai 76 milioni, ne porterà a casa poco più di 40. Usyk tratta direttamente col fisco ucraino, attorno al 20%, informando come in passato, che buona parte del guadagno (90 milioni) sarà destinato ai connazionali che difendono la patria dall’invasione della Russia. Chi sono i protagonisti di questo confronto, o meglio della rivincita? Per conoscerli, propongo alcuni passaggi di quanto pubblicai, in occasione del primo match. Il 18 maggio 2024 al Kingdom Arena di Riyad in Arabia Saudita, la boxe è tornata grande protagonista, restituendo a questo sport la dignità che le conviene. Il mondo dei giganti ha trovato un solo re, dopo dodici round di grande intensità e spettacolo. Dire che David ha battuto Golia non è proprio il caso.
Più realistico confermare che nella sfida tra l’inglese Tyson Fury (34-1-1), 35 anni, origini Rom e irlandesi e il maggior tasso tecnico, ma soprattutto l’intelligenza tattica di Olek Usyk (22), ucraino di 37 anni, che calca il ring dal 2004 sono stati giustamente premiati. Oggi Usyk è il re assoluto. Sfilando a Fury la cintura WBC e mantenendo (IBF, WBA, WBO e IBO) quelle già conquistate a spese di Anthony Joshua, la sera del 25 settembre 2021 a Londra, ha riunificato tutte le sigle. Nel 2011, l’allora giovane ucraino nato Sinferopoli in Crimea il 17 gennaio 1987, calciatore mancato, mi confessò nell’intervista fatta a Baku, in occasione dei mondiali: “Il mio primo amore è stato il calcio, ho giocato con i giovani della Tavrija Simferopol, la squadra della mia città. Poi mi sono infortunato. Per recuperare mi hanno mandato in una palestra dove praticavano anche la boxe. Ci provai e me ne innamorai. Avevo 14 anni e da allora non ho più smesso. Spero che in futuro mi dia belle soddisfazioni”. Mai previsione fu più azzeccata, anche se l’avvio al professionismo non risultò così promettente. Da Baku 2011, inizia per Olek, la carriera di vertice in maglietta. Dopo l’iride in Azerbajan, nel 2012 vince l’oro olimpico a Londra, prende parte con l’amico Vasyl Lomachenko alle World Series ottenendo vittorie e le prime borse, sia pure modeste. A quel punto lo sbocco successivo è il professionismo. Ha 25 anni, un record impressionante in maglietta (335 vittorie e 15 sconfitte), lungo dieci stagioni, dal 2004 al 2013. Il contatto con la Top Rank è opera di Egis Klimas, lituano residente a Washington, agente di alcuni dei campioni provenienti dall’Europa dell’Est, Russia e Ucraina in particolare. Bob Arum li riceve nel suo ufficio a New York, ascolta le richieste di entrambi ma accoglie solo quelle di Lomachenko. La categoria di Usyk non è ancora appetibile negli USA, che torna a casa e debutta nel novembre 2013 a Kiev, sotto la procura di Klimas, mentre i promoter sono Alexander Ktassyuke e la K2 dei fratelli Klitshko. Dopo soli cinque match conquista l’Intercontinentale cruiser e il 7 settembre 2016, sul ring di Danzica in Polonia, diventa campione del mondo WBO, scalzando il locale Glowacki, fino ad allora imbattuto (26), dominato largamente. Nel proseguo della carriera, lungo le sei difese, combattendo sempre fuori casa, a Mosca e Riga, ma principalmente in Inghilterra, accorpa le altre tre cinture di sigla e dopo il successo contro Bellew a Manchester, ottiene il primo invito negli USA, stavolta da campione, dove ritrova il maestro Anatoly, il papà di Lomachenko.
Prende residenza a Oxnard in California. Debuttando nei massimi incrocia Chazz Witherspoon, eterna promessa con un buon record (38-3), stoppato al settimo round in quel di Chicago. L’unico fight disputato nel 2019. Nel 2020 combatte nella storica Arena di Wembley a Londra e conquista l’Intercontinentale WBO dei massimi a spese del battagliero Dereck Chisora, che getta il cuore oltre l’ostacolo ma non basta per battere uno che usa il cervello meglio dei guantoni. Qualche tempo dopo, la fortuna gli viene incontro, portandolo ad affrontare Anthony Joshua, il campione delle quattro sigle, sostituendosi a Tyson Fury, il rivale previsto, ma impossibilitato al confronto per l’impegno con Deontay Wilder, come da contratto, dopo averlo battuto l’anno prima. La Matchroom di Eddie Hearn, che guida il campione, sa che il mancino ucraino è tosto e intelligente ma confida che la diversa struttura a gioco lungo avrà l’affetto voluto. Usyk lo smentisce di brutto. Il 25 settembre 2021, allo stadio del Tottenham Hotspur, nella parte settentrionale della capitale, il mancino ucraino impartisce una lezione di boxe ad Anthony Joshua, battendolo in modo chiaro e diventando campione di quattro sigle (WBA, WBO, IBF e IBO), la quinta (WBC) la detiene appunto Tyson Fury. Usyk si conferma nella rivincita con Joshua anche se deve faticare di più, vincendo per split decision, col solito giudice che favorisce il pugile di casa. Prima di Tyson, il 26 agosto 2023, a Breslavia in Polonia, stoppa l’aitante inglese Daniele Dubois, che dopo qualche fiammata, deve arrendersi al nono round. Ed eccoci a Tyson, lo sfidante che ritrova a distanza di sette mesi dalla prima sfida.
Questo gigante di metri 2.06, allungo in proporzione, ha dimostrato lungo una carriera iniziata da pro nel 2008, dopo una breve parentesi in maglietta (2005-2008) con 31 vittorie e quattro sconfitte, di essere genio e sregolatezza a non finire. Il focus assoluto lo raggiunge alla fine di novembre 2015 sul ring di Dusseldorf in Germania, mettendo fine al lunghissimo regno di Vladimir Klischko, che a 39 anni, dopo 27 difese, deve lasciare il passo ad un gigante più alto e nell’occasione più bravo di lui, capace di tenerlo a bada e perfino a irriderlo, salvo prendere il microfono a fine incontro per dedicare una canzone alla moglie. Un capolavoro che gli assicura tre cinture (WBA, IBF e WBO) e che con la stessa disinvoltura riesce a distruggerlo con le proprie mani. Per festeggiare quel successo, inizia a drogarsi senza ritegno, inutili i tentativi di riportarlo in ragione. Il risultato è che perde tutto il capitale, ma quando sembra irrecuperabile, la famiglia e il suo procuratore Frank Warren, lo riportano a galla. Il 9 giugno 2018, dopo due anni e mezzo di latitanza, si ripresenta sul ring di Manchester, per riprovare l’atmosfera del combattimento. Non è certo al top, le adiposità lo incorniciano, ha la pancetta del ‘cummenda’ milanese, ma gambe e braccia funzionano benino. Dopo aver battuto Sefer Seferi e Francesco Pianeta, un italiano residente in Germania, annuncia che si sente pronto addirittura per Deontay Wilder, campione USA imbattuto (40 match quasi tutti vinti per KO) per il WBC. Il primo dicembre 2018 a Los Angeles i due si affrontano. Sembra un suicidio annunciato, invece per dieci round l’americano vede le streghe e finisce al tappeto nel terzo e quinto tempo. Nei round finali, Wilder tenta di capovolgere la situazione e Fury rischia non poco.
Alla fine viene fuori un pari che assomiglia ad un regalo. Per l’americano. Rivincita d’obbligo, fissata a Las Vegas il 22 febbraio 2020. Fury spedisce KO Wilder al settimo round, dopo averlo picchiato selvaggiamente e fatto contare svariate volte. Dimostrando una testardaggine incredibile e anche pericolosa, il texano ottiene un terzo match, il 9 ottobre 2021 sempre a Las Vegas, che diventa una mattanza. Wilder tira fuori l’orgoglio del campione che non ci sta alla resa e riesce a far contare Fury alla quarta tornata, dopo essere finito sull’orlo del KO in quella precedente. L’inglese d’Irlanda che in fatto d’orgoglio non è da meno, si riprende e inizia una punizione crudele, uno stillicidio di pugni precisi e pungenti, che sfiniscono l’americano, contato nella decima ripresa e finito in quella successiva, con un destro devastante e impressionante. Fury sale ancora sul ring sei mesi dopo e mette out il connazionale Dillian Whyte al sesto round, altri sei mesi e a finire KO tocca a Derek Chisora, che era al terzo confronto con Fury. A quel punto il campione si diverte ad annunciare il ritiro dall’attività la domenica, per ripensarsi il lunedì. Un balletto che la stampa incoraggia anche se sa benissimo che l’ormai non più giovanissimo pugile (35 anni) quello che cerca è una sfida che gli porti tanti soldoni. Prima di averla trovata, lo scorso ottobre combatte contro Francis Ngannou, campione MMA, che approfittando della condizione penosa di Fury, si permette di metterlo a sedere, sfiorando l’impresa clamorosa, battuto per split decision. Sette mesi addietro ha giocato la carta più importante e per la prima volta, ha trovato un rivale che lo ha scavalcato, nonostante si fosse presentato sul ring al meglio.
Con tutti i numeri a suo favore. Più alto di 15 cm. allungo superiore di 18, più picchiatore: 24 KO sulle 34 vittorie, media del 70%, contro il 50% dell’ucraino. Venti kg. a suo vantaggio. Il nutrizionista e sparring di qualità. Eppure alla fine della battaglia il verdetto ha sorriso all’ucraino dagli occhi di ghiaccio, che non fa proclami, ma che lungo una carriera ultradecennale da pro, ha sempre vinto. E convinto. La volta scorsa ha sfiorato il successo prima del limite. E’ accaduto nell’ultimo minuto del nono tempo. Usyk evita il lungo sinistro di Fury appoggiato alle corde e lo incrocia con la serie di quattro colpi in sequenza, l’inglese tenta inutilmente di fuggire, viene raggiuto da altri pugni pesanti e resta in difesa passiva. L’arbitro lo conta, lui si rialza e termina il round facendo cenno di essersi ripreso bene. Gli ultimi tre tempi hanno lo stesso cliché: l’inglese tenta di tenere l’ucraino a distanza, ma le sue braccia non hanno più la velocità dei primi scambi, le gambe sono lente e deve stare quasi sempre in difesa. Usyk, una volta tamponata bene la ferita al sopracciglio destro dal settimo tempo, appare più fresco e sempre preciso. Infila destri e sinistri nella guardia di Fury che non è passivo, ma non riesce ad anticipare l’avversario. Impressionante è la coordinazione offensiva del mancino ucraino, il cui volto non tradisce fatica, nonostante da diversi round soffra per un problema alla mascella, che risulterà comunque non lesionata. Il risultato finale appare scontato per Olek, messo in discussione dal giudice canadese Craig Metcalfe con uno sconcertante 114-113 per Fury, mentre lo spagnolo Manuel Palomo (Spagna) 115-112 e Mike Fitzgerald (USA) 114-113 premiano Usyk. Per quello che può valere, avevo quattro punti per l’ucraino. La rivincita tra sabato notte e domenica mattina, ritengo ripeterà le orme della prima e, alla fine sapremo se avremo la bella, oppure nei programmi in prospettiva spunterà il nome di Daniel Dubois, il nuovo che avanza, mentre in zona recupero dei battuti, andrà in scena la sfida tra Fury e Joshua, derby inglese da tutto esaurito. Nel segno di un business infinito.
Giuliano Orlando