Se qualcuno avesse avuto qualche dubbio sul risultato tra Anthony Joshua (24-2) e Oleksandr Usyk (19) a cancellarli è stata l’ultima ripresa, con Joshua in affanno e sull’orlo del KO. Che poi, oltre alla superiorità dell’ucraino, si fosse aggiunto il problema all’occhio destro, non cambia nulla. La realtà della sfida è che il maggior tasso tecnico di Usyk ha determinato la vittoria dello sfidante, andando oltre ogni situazione meno favorevole secondo i pronostici della vigilia. Smentendo gli incompetenti delegati alla presentazione dell’evento che avevano anticipato trattarsi di un match già scritto, esclusivamente a favore di Joshua! Allo stadio del Tottenham Hotspur, a Nord di Londra, rinnovato nel 2019, il calcio ha lasciato il posto alla grande boxe, che non ha tradito le attese, offrendo una partecipazione degna delle grandi sfide degli Spur, creando l’atmosfera che solo la boxe assicura. Gli oltre 60.000 spettatori hanno sperato che Anthony Joshua, la punta di diamante della Matchroome di Eddie Hearn, mantenesse le quattro sigle (WBO, WBA, IBF e IBO), ma hanno anche capito che la strada per farcela si faceva sempre più in salita, ripresa dopo ripresa. Nonostante il gap del peso, quasi nove kg. a favore di Joshua, l’età: 34 dell’ucraino contro i non ancora 32 dell’inglese e la struttura decisamente inferiore, il nuovo campione ha dettato i tempi dell’incontro con una sicurezza incredibile. Al contrario di Joshua che non ha mai messo in pericolo lo sfidante, il nuovo campione quando affondava i colpi, creava situazioni allarmanti al rivale. Incontro condotto su ritmi non eccezionali, comunque di buon livello, che alla soglia dell’ottavo round poteva definirsi in parità. Dalla nona tornata la bilancia del rendimento ha iniziato ad orzare verso il già campione cruiser, ancora pimpante e sempre più veloce nell’esecuzione dei colpi, che si infittivano minuto dopo minuto. Concordi i giudici sul risultato a favore di Usyk, anche se i cinque punti assegnati dall’ucraino Fesenko (117-112) per il connazionale sono forse troppo generosi, mentre i quattro di Wisfeld (Usa) come i tre di Foster (G.B.) rispecchiano la realtà di quanto si è visto sul ring. Usyk, con questa vittoria conferma di essere un campione dall’incredibile longevità e rendimento. Nato il 17 gennaio 1987 a Simferopoli in Crimea, salito sul ring a 15 anni, disputando in maglietta 350 incontri, lungo i quali ha vinto l’oro olimpico a Londra 2012, titoli mondiali ed europei, decidendo nel 2013 di passare professionista, assieme al suo grande amico Vasyl Lomachenko. Accompagnati da Anatoly, il papà di Vasyl, si presentarono a Bob Arum (Top Rank) che accolse la richiesta di Lomachenko, declinando quella di Usyk, che ritenne pugile non adatto al professionismo e in una categoria poco appetibile come quella dei cruiser. Infatti, mentre Lomachenko debuttava a Las Vegas, pagatissimo, Usyk faceva altrettanto a Kiev dove disputò i primi nove incontri col promoter Alexander Krassyuk e il manager lituano Egis Klimaz che gestisce alcuni dei più forti pugili dell’Est Europa. Oggi il vecchio Arum si morderà le mani e l’ucraino si è tolto un altro sasso dalle scarpe. Mentre il promoter Eddie Hearn, anche se avrebbe preferito che Joshua mantenesse le cinture, non si preoccupa più di tanto. Intanto ha già annunciato che nel contratto era prevista la rivincita in caso di sconfitta dell’inglese. Non solo, dal 2018 la Matchroom ha il 50% del contratto, il resto appartiene alla K2, ovvero ai fratelli Klitschko, presenti a Londra e felicissimi del risultato.
Joshua era all’undicesima difesa, ed ha accettato la sconfitta quasi con rassegnazione, una specie di fatalità accolta col sorriso. Ha riconosciuto la superiorità del rivale e assicurato che nella rivincita sarà un’altra musica: “Non mi era mai accaduto di disputare quattro riprese, vedendo da un occhio solo. Con questo riconosco in questa occasione la superiorità di Usyk. Da questo momento inizio a pensare alla rivincita che non fallirò”. A questo punto si tratta di capire se e quando si arriverà al confronto bis. Il 9 ottobre a Las Vegas, Tyson Fury (30-0-1), 32 anni che detiene la cintura WBC, trova Deontay Wilder (42-1-1) per la terza volta. Il primo confronto avvenne il primo dicembre 2018 a Los Angeles e fu un pareggio incredibile, visto che Tyson rientrava dopo lo stop di tre anni, dove aveva toccato il fondo sia da uomo che da atleta e quel pari fu una grande impresa. Il bis a Las Vegas il 22 febbraio 2020 a Las Vegas e Tyson umiliò il campione che non aveva mai conosciuto la sconfitta da professionista. Rispettando il contratto di rivincita, Tyson offre un’opportunità all’americano che sulla carta è solo il rischio di una sconfitta pesante. Vedremo chi ha ragione. E quale programma avrà il vincitore. Nell’importante locandina figurava il welter Maxim Prodan (19-1-1), ucraino residente a Milano da oltre un decennio. Allievo di Alessandro Cherchi, che lo ha fatto crescere nella OPI GYM 82, con la giusta gradualità, assicurandogli un lavoro, all’interno del gym e nel contempo programmandolo nel Teatro Principe, la bomboniera della boxe milanese, tornata in vita dopo oltre mezzo secolo di silenzio, debuttando nel 2015 e diventando uno dei beniamini della struttura, vittoria dopo vittoria, fino al grande salto di qualità, quale l’inserimento nel cartellone londinese, dove ha messo in palio la cintura internazionale IBF dei welter, conquistata nel 2019 e difesa due volte sempre nella sua Milano, la città di residenza. Il match contro l’albanese Florian Marku (9-0-1), residente a Londra, professionista dal 2018, molto apprezzato dal pubblico per il temperamento da guerriero. Nell’ultimo match disputato il 20 febbraio scorso, aveva battuto Rylan Charlton (6-1-1) per getto della spugna all’ottavo round, dopo essere stato contato nella sesta ripresa. La reazione di Marku è stata furiosa, portandolo al successo prima del limite. Lo stesso temperamento battagliero che distingue Prodan, ucraino di nascita, licenza romena e residenza italiana. Nel suo record figura un solo pari, contro il panamense Manuel Largacha, di stanza in Spagna, il 17 febbraio 2018, nella rivincita Prodan ottenne il successo per KO al sesto round.
L’incontro me lo descrive Alessandro Cherchi che era all’angolo di Prodan. “Due giudici su tre hanno premiato l’albanese, mentre il terzo ha scelto alla grande Maxim, forse esagerando. Io dico che il mio ragazzo non aveva perduto, al massimo potevano dare il pari e avrebbero tolto qualcosa a Maxim. C’è amarezza per la sconfitta immeritata, come hanno confermato i fischi del pubblico al verdetto. Purtroppo i giudici inglesi non perdono mai l’occasione di confermare uno sciovinismo atavico e deleterio. Maxim ha tenuto l’iniziativa e colpito con più precisione di Marku, che nonostante le struttura da superwelter, non ha mai messo in pericolo l’ucraino di Milano. Mentre l’albanese in alcuni momenti ha sofferto la pressione del rivale. Aver perduto la cintura Internazionale IBF welter in questo modo spiace e non poco. Abbiamo chiesto subito la rivincita e speriamo che ci venga concessa. Siamo disposti ad ospitarla in Italia, visto che siamo andati in Inghilterra e abbiamo pagato scotto. Chi aveva scritto che era una battaglia perduta in partenza sbagliava e non di poco. Maxim sapeva che questa opportunità significava il salto di qualità per uscire dai confini nazionali. Si è allenato sia in Italia che in Ucraina, ha capito che doveva migliorare sul piano tecnico e tattico e lo ha dimostrato a Londra. Il verdetto gli ha dato torto, ma il pubblico e la critica lo hanno promosso e questo è più importante. Ci sono sconfitte che valgono più di vittorie fasulle”.
Giuliano Orlando