Raccontare la vita di Fausto Coppi a 100 anni dalla nascita è un atto di coraggio o forse di amore infinito per il più grande del ciclismo, visto che è stato passato ai raggi X da centinaia di autori più o meno attendibili. Ho letto il libro, curioso di capire il perché di questa decisione. La prima sorpresa è arrivata già alla prime pagine. Infatti la storia di Fausto inizia con un’affascinante intervista a Bartali, mettendo in risalto il carattere impulsivo del Ginettaccio, anche se ormai la sua figura pagava il peso degli anni, non certo della dialettica. Emblematica la conclusione della chiacchierata, in riferimento all’ineluttabile simbiosi tra i due. “Ricorda il cappuccino? C’è il latte e il caffè, ma mischiati non si possono separare più… è una condanna”. Per quanto riguarda Bartali anche se non inedita, la telefonata di Alcide De Gasperi il capo del Governo, dopo l’attentato a Palmiro Togliatti, il leader del Partito Comunista Italiano, fu determinante della riscossa al Tour 1948, per una vittoria che in qualche modo calmò i bollori di una certa parte dell’Italia, resta sempre una chicca.
A quel punto forse ho capito il perché di questo libro. L’autore ha voluto raccontare la vita di un campione straordinario, senza iperbole, ma tenendo i toni bassi lungo in percorso dove acuti e naufragi si alternano, per concludersi con una morte così assurda che a distanza di quasi 60 anni, ci sono ancora domande senza risposte. Un bel libro in punta di parole, cercando di dare l’idea di chi era realmente quel giovane costruito fisicamente non certo al meglio, il naso pronunciato, la cassa toracica carente, eppure polmoni e cuore straordinari, gambe lunghe dalle fasce muscolari che sprigionavano la forza di una fuori serie. Un ragazzo timido e introverso, figlio e fratello di contadini, ma capace di dire no al destino che sembrava immutabile in casa Coppi. Garzone nella drogheria del signor Merlano, il primo passo verso un futuro diverso, scritto nel libro del destino. Pedala per consegnare le ordinazioni, quando torna a casa si nutre del libro di Eberardo Pavesi “Manuale del perfetto ciclista”. L’incontro col massaggiatore Cavanna, che leggeva oltre la cecità col tatto delle mani le qualità dei giovani ciclisti, risulta determinante per il suo futuro sportivo. A quel punto inizia l’avventura di Fausto, tra conquiste impreviste, come il Giro d’Italia 1940 destinato al suo capitano Gino Bartali, la chiamata alle armi, l’incontro con la maestrina Bruna Ciampolini di Sestri Levante, che diventerà sua moglie, la prima sfida vittoriosa a Zurigo contro Ferdi Kubler, l’idolo svizzero, l’ultima volta accanto al padre che perderà poco dopo. Per rinviare la partenza al fronte di guerra, batte il record dell’ora, siamo al 1942. Questo non basta e viene spedito nel Nord Africa, finisce prigioniero degli inglesi dove resterà fino all’inizio del ’45. L’anno dopo si sposa, riprende la vita da ciclista e in un alternarsi di vittorie, cadute e recuperi, riprende la strada per confermarsi un grande campione. Tra il 1948 e la fine del ’50 Fausto diventa il Campionissimo, ma sopporta anche e soprattutto la svolta che segnerà il resto della sua vita. L’incontro con Giulia Occhini, e le relative conseguenze, fino alla scomparsa avvenuta il 2 gennaio 1960. Sono passati tanti anni, ma sulla memoria di questo eroe magnifico e malinconico, non è mai scesa la polvere. Il libro lo attualizza non solo agli appassionati, ma principalmente alle giovani leve, ignare del reale valore di un giovane timido che ha saputo volare come un insuperabile airone.
Giuliano Orlando